Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


Pochi mesi dopo la partenza dalla Sicilia del colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa, a due passi dalla sua caserma di Palermo viene ritrovato il cadavere di un ragazzo con un cartello appeso al collo: «Così muoiono i vermi che infangano la Sicilia».

Dieci giorni prima la ballerina cecoslovacca Jirina Kottova, in vacanza con il fidanzato Jiri Lansky, è stata sfregiata con un coltello da un «malacarne» che vuole scipparla. La polizia ferma Jiri, lo accusa del ferimento della ragazza «per motivi di gelosia». Poi però, il boss del quartiere scopre la verità e punisce il rapinatore: ha osato rubare senza la sua «autorizzazione».

In una sola mossa la mafia ha difeso la ballerina, scagionato il fidanzato e inflitto la pena massima al vero colpevole.

Anche la giustizia, a Palermo, è amministrata da Cosa Nostra.

In fondo all’Italia, è lontana la paura che sta sconvolgendo le grandi città del Nord. Le bombe sui treni, le stragi nere, l’apparizione delle Brigate Rosse. Carlo Alberto dalla Chiesa è da un anno – siamo nel 1974 – comandante della Brigata di Torino, quella che ha giurisdizione su Piemonte, Liguria e Val d’Aosta.

È tornato da generale nella città dove in passato ha sofferto le pene dell’inferno. È al centro di quell’Italia che da lì a poco sarà gelata dal terrorismo.

Entra in un altro mondo dalla Chiesa, quello che lo farà diventare il carabiniere più famoso e «famigerato» del Paese.

Accusato di protagonismo, guardato con sospetto dai garantisti, sempre ostacolato dai Comandi Generali e sempre alla testa dei suoi uomini. Come un condottiero.

In quell’alba di terrorismo il generale intuisce che per combattere le Br servono reparti speciali, un po’ come ha fatto in Sicilia con i mafiosi. Ci vogliono «schedature», inchieste mirate, investigatori esperti della materia. Pensa a una sezione autonoma, indipendente dalle scale gerarchiche. I vertici dell’Arma sono contrari, sospettano che una squadra «separata» possa andare facilmente «fuori controllo». Temono quel generale ormai così celebre e così poco militare. Dalla Chiesa è avvisato.

Ma la sua idea piace al ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani.

Il 22 maggio 1974 nasce ufficialmente il Nucleo Speciale Antiterrorismo. Al Comando Generale dell’Arma sono furiosi.

Appena quattro mesi dopo, a settembre, i carabinieri di dalla Chiesa arrestano a Pinerolo due capi delle Br, Renato Curcio e Alberto Franceschini. È un trionfo. Ma l’operazione nasconde un retroscena. Sono le stesse Brigate Rosse a svelarlo successivamente, in uno dei loro volantini con la stella a cinque punte. Curcio e Franceschini sono stati catturati – non come ha raccontato il generale, che ha fornito alla stampa una stramba versione dei fatti per coprire la sua fonte – ma con la collaborazione di un «infiltrato», un ex legionario ed ex frate francescano che ha vissuto in Sudamerica con i guerriglieri boliviani. Il suo nome è Silvano Girotto, si fa chiamare Frate mitra.

Il generale dalla Chiesa lo avvicina, lui si conquista la fiducia dei brigatisti e poi consegna Curcio e Franceschini ai carabinieri.

Le polemiche sono roventi. Dalla Chiesa è attaccato violentemente per i suoi «metodi», da più parti si grida allo scandalo, s’invoca lo stato di diritto.

«Gli infiltrati esistono dai tempi dei Babilonesi», replica il generale.

L’operazione di Pinerolo rivela fin da subito la «tecnica» delle sue indagini. C’è la sua impronta.

Renato Curcio torna presto in clandestinità. Viene liberato nel febbraio del 1975 da un commando nel carcere di Casale Monferrato. È un assalto facile. Sua moglie, Margherita Mara Cagol, che ha guidato l’irruzione nella prigione, tre mesi dopo muore sotto una sventaglia di mitra degli uomini dell’Antiterrorismo che liberano l’industriale Vittorio Vallarino Gancia. Nello scontro a fuoco cade anche un carabiniere, l’appuntato Giovanni D’Alfonso. Tornano a scoppiare le polemiche sui «sistemi» di dalla Chiesa.

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