Danilo Iervolino, nuovo proprietario dell’Espresso, chiede due milioni di euro al gruppo Gedi che edita Repubblica, a Ezio Mauro, storica firma e per due decenni direttore del quotidiano nazionale, a Luigi Vicinanza, ex direttore dell’Espresso e a due cronisti (chi scrive e Corrado Zunino). Dal primo luglio, il settimanale L’Espresso è di proprietà del gruppo di Danilo Iervolino, proprietario della Salernitana, quadra di calcio in Serie A, e fondatore dell’università telematica Pegaso. L’accordo che ha sancito il passaggio da Gedi al Bfc Media spa prevede che il settimanale mantenga un legame con i cugini di Repubblica. Il settimanale, diretto da Lirio Abbate, esce ogni settimana in edicola abbinato al quotidiano, diretto da Maurizio Molinari.

Un matrimonio che rende la separazione societaria meno sofferta, ma sotto la calma apparente c’è una guerra legale da due milioni di euro. I termini del contenzioso legale sono contenuti nel ricorso in appello presentato dall’avvocato Franceco Fimmanò per conto di Danilo Iervolino. Saranno i giudici di secondo grado a stabilire la fondatezza o meno del ricorso.

L’impatto devastante

Luigi Vicinanza ed Ezio Mauro vengono citati in giudizio in quanto direttori all’epoca dei fatti e tenuti a vigilare sul contenuto delle pubblicazioni. Vicinanza, Mauro e i cronisti sarebbero responsabili di aver danneggiato la vita a Iervolino. «L’impatto mediatico denigratorio delle pubblicazioni è stato devastante per Danilo Iervolino determinando stati di ansia persistenti, perdite di concentrazioni, rinvii di appuntamenti, rinuncia a uscite pubbliche (etc.)», si legge nel ricorso. 

Mauro e Vicinanza e, ovviamente i cronisti, sarebbero responsabili «di tali paturnie e dell’assoluto senso di abbandono e solitudine determinati dagli articoli diffamanti de L’Espresso e de La Repubblica, Danilo Iervolino dovrà ottenere un congruo ristoro nella misura non inferiore a 2.000.000,00 euro in considerazione della rete di rapporti professionali intrattenuta, della persistente pubblicazione degli articoli, della defatigante opera di ricostruzione dei rapporti familiari (che ancora oggi risultano compromessi)», si legge nel ricorso.

Gli articoli contestati

La materia del contendere sono due articoli, definiti nel ricorso «opera di infangamento». Il primo è un’inchiesta pubblicata a novembre 2014 e intitolata “Pegaso, l’ateneo dove la laurea volta”, il secondo è un lavoro, firmato da Corrado Zunino, nel 2015, dal titolo “Il Consiglio di stato ferma l’università telematica Pegaso”.

Nel ricorso in appello, Fimmanò fa riferimento anche a Domani che ha dedicato un’inchiesta a Danilo Iervolino. Si parla di una «specie di crociata» che il sottoscritto avrebbe mosso contro Iervolino. In primo grado, il tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta risarcitoria, pari a 38 milioni di euro, evidenziando la veridicità dei fatti riportati, la correttezza del lavoro svolto e che si tratta di diritto di cronaca e critica, costituzionalmente garantiti, nulla più. 

Il ricorso sarà valutato dai giudici d'appello, ma quello che emerge è un contenzioso legale che racconta di due realtà editoriali, Repubblica e L’Espresso, unite in edicola e una contro l’altra in tribunale. I fatti si riferiscono a un periodo antecedente al passaggio del settimanale nelle mani di Danilo Iervolino, ma la situazione che si è generata è a dir poco paradossale con Iervolino contro giornalisti, ex direttore e gruppo Gedi che controlla Repubblica.

Il nuovo Espresso

Il gruppo che edita l’Espresso è la Bfc Media Spa, una società quotata allo Euronext Growth Milan di Borsa Italiana, fondata da Denis Masetti e controllata da Danilo Iervolino. «(L’Espresso) dispone di un bacino ideale di milioni di italiani e, anche grazie all’abbinamento con il quotidiano La Repubblica, la sua diffusione in edicola supera le centomila copie, oltre ai 50mila abbonati cartacei e digitali, con una readership di oltre un milione di lettori», si legge nel comunicato dell’editore pubblicato sul sito del settimanale lo scorso 28 giugno.

Bfc Media ha acquistato L’Espresso, il periodico Le Guide de L’Espresso e i relativi asset editoriali e digitali, «per un valore complessivo di 4,5 milioni di euro, da corrispondere in due tranche (la prima da 2,8 milioni all’atto del closing, la seconda entro il 31 agosto 2022)».

Nel comunicato veniva anche presentato il Consiglio di amministrazione composto dal presidente Denis Masetti, dall’amministratore delegato Marco Forlani e dai consiglieri Mirko Bertucci, Mario Rosario Miele, Maurizio Milan, Massimiliano Muneghina, Paola Picilli, Alessandro Mauro Rossi.

Pacilli dimissionaria

Un cda che ha subìto, lunedì scorso, un primo inaspettato addio, quello di Paola Picilli. «Il consigliere indipendente di Bfc Media, Paola Picilli, ha rassegnato, nella serata di ieri, le dimissioni per motivi personali. Le dimissioni, su richiesta di Picilli, hanno effetto immediato. Il presidente Denis Masetti, l’amministratore Marco Forlani e la società ringraziano Paola per la dedizione mostrata al gruppo. Picilli non detiene azioni di Bfc Media Spa», si legge in un comunicato del gruppo.

Le dimissioni arrivano poche ore dopo la pubblicazione da parte di Domani di un articolo nel quale si ricordava il lavoro svolto in passato da Paola Pacilli, professionista dell’informazione che aveva collaborato con Nicola Cosentino, l’ex plenipotenziario di Forza Italia in Campania, sottosegretario all’Economia, considerato dalla procura antimafia partenopea referente nazionale del clan dei Casalesi.

Un altro paradosso in questa storia, visto che L’Espresso, nel 2008, aveva dedicato al caso una storica copertina dal titolo “La Camorra nel governo”, raffigurante il volto di Nicola Cosentino, anticipando i verbali del collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo che lo indicava come braccio politico del clan.

«Cosentino oggi produce vini in Campania, è fuori dalla politica, non capisco cosa c’entra la mia nomina da indipendente nel cda dell’Espresso con le mie collaborazioni che ho avuto con diversi politici da Scajola a Cosentino», diceva Picilli a Domani poche ore prima di dimettersi.

Picilli a settembre 2020 gioiva per l’assoluzione di Cosentino in uno dei tanti filoni aperti: «Vorrei solo che i nove anni di vita e di carriera qualcuno li restituisse a Nicola Cosentino, solo chi ha parlato con i suoi figli prova rabbia per un’assoluzione scontata. Povera Italia», scriveva. Con lei hanno twittato il direttore del Foglio Claudio Cerasa, quello del Riformista Piero Sansonetti e tutti i politici di Forza Italia.

Nessuno aveva ricordato gli altri procedimenti aperti a carico di Nick ‘o mericano, al secolo Nicola Cosentino, già condannato in via definitiva per aver corrotto un agente penitenziario. Nel 2021, i giudici della corte d’Appello di Napoli lo hanno condannato per concorso esterno in associazione mafiosa a dieci anni di carcere, ora si è in attesa del pronunciamento della corte di Cassazione.

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