Dopo i Mondiali indoor di Glasgow, aperto il dibattito su chi sia il più brillante talento dell’atletica italiana: i primi exit poll indicano Lorenzo Simonelli, 21 anni, papà romano, antropologo, mamma tanzaniana, secondo solo a Grant Holloway, imbattuto e imbattibile nella distanza al coperto, 60 metri e cinque ostacoli. Su 110 metri e dieci barriere, Lorenzo, che ama i manga giapponesi, punta al titolo europeo, inizio giugno a Roma, alla finale olimpica di Parigi e a un tempo appena sopra i 13 secondi. Tutto molto possibile quando alle spalle c’è un tecnico come Giorgio Frinolli, figlio di Roberto.

Aperto anche il dibattito per l’etichetta di prodigio e qui non è il caso di aspettare i primi risultati: l’etichetta è da stampare a fuoco su Mattia Furlani, 19 anni, nato nei Castelli Romani, Marino, da papà Marcello, saltatore in alto da 2,27, e da Kathy Seck, velocista senegalese, fratello di Erika, saltatrice da 1,90, reatino per luogo di allenamento. Mattia sembra la vecchia pubblicità di un’acqua minerale: altissimo, leggerissimo, velocissimo.

Le parole più belle, più eloquenti, vengono da Miltiadis Tentoglou, greco di Macedonia, campione di tutto e giunto alla settima corona dopo aver pareggiato con Mattia (a 8,22) e aver avuto la meglio solo grazie alla secondo miglior salto, 8,19 a 8,10. «Furlani è una bestia, ci rivedremo agli Europei di Roma e alle Olimpiadi di Parigi». Miltiadis non ha chiarito il tipo di bestia in cui si è incarnato Furlani. Ci pensa Mattia: «Spider Man, l’Uomo Ragno: gli amici dicono che l’ultimo interprete, Miles Morales, mi somiglia».

Sa tessere la sua rete alto nell’aria: quei 65 chili che porta addosso gli permettono parabole precluse agli altri. In un nullo (molto nullo per la verità: 14 centimetri oltre l’asse di battuta) era atterrato attorno agli 8,50. È sempre molto allegro, come il ciuffo che porta sulla testa, disponibile, dotato di eccellente dialettica e di sinceri sentimenti: «La gratitudine verso mamma (che lo allena) è enorme e questa è la prima tappa di un lungo viaggio».

A metà maggio tornerà in pedana a Savona. È una scelta in cui prevale il ricordo di poco meno di un anno fa quando 18enne, con un vento appena oltre la legalità, +2,2, andò a prender sabbia a 8,44, una misura che ha avvicinato quest’inverno ad Ancona, 8,31 e 8,34, raccogliendo in una botta il record italiano indoor sottratto a Andrew Howe e il record europeo under 20. Il mondiale giovanile gli ha resistito per un centimetro. Può saltare 8,50: se la misura arriverà al momento giusto, a Parigi, eguaglierà l’impresa, riuscita a Monaco di Baviera 1972, di Randy Williams, campione olimpico a 19 anni.

Italia, punti e medaglie. Sponsorizzati da Frecciarossa, gli azzurri si sono mossi in velocità (Zaynab Dosso terza nei 60) e con giuste accelerazioni: un secondo e un quarto è sufficiente a Leonardo Fabbri per rilasciar il peso da sedici libbre e farlo atterrare attorno ai 22 metri. Nel medagliere, che offre una fotografia non attendibile dello scenario, l’Italia è sedicesima, nella classifica a punti, basata sui piazzamenti tra i primi (sono stati undici) è terza, a un punto dalla Gran Bretagna e davanti al resto d’Europa.

Belgio e Olanda da piani alti

In questi Mondiali di formato ridotto (e non solo per la misura della pista) il paese piatto e quello sotto il livello del mare hanno raccolto cinque titoli. Sono movimenti piccoli - senza i cospicui interventi statali consueti nello sport italiano – che puntano sulla qualità, individuando settori, specialità, distanze. Non è un caso abbiano fatto razzia nei 400 e nelle due staffette. Il titolo di stella spetta a Femke Bol, record mondiale dei 400 a 49”17 e candidata, se l’orario lo permetterà, alla doppietta 400-400hs a Parigi. Tutto il resto d’Europa, a cominciare da tradizionali potenze come Francia, Germana, la stessa Gran Bretagna che ha giocato in casa, è alle prese con una netta crisi.

Thea Lafond

Isole. Per la prima volta nella storia (dello sport, non solo dell’atletica), Dominica e St Lucia, Piccole Antille, 175.000 abitanti in due, hanno messo le mani su un titolo mondiale grazie a Tia Lafond, l’unica ad aver superato i 15 metri nel triplo, e a Julian Alfred, cresciuta in Texas, pluricampionessa Ncaa all’aperto e indoor, riuscita nell’impresa di bruciare sui 60 la tatuatissima donna-razzo di Polonia, Ewa Swoboda. Bilancio positivo anche per l’arcipelago del mondo di sotto, la Nuova Zelanda che ha raccolto nel peso (Tom Walsh), nell’asta (Liza McCarthy), nell’alto (Hamish Kerr 2,36, vertice mondiale di stagione) e ha rinverdito la tradizione del mezzofondo (Lovelock, Snell, Walker i magnifici protagonisti di epoche diverse) con Geordie Beamish: la sua intuizione nel tumultuoso finale dei 1500 gli assegna il titolo di Man of the Championships. Emozioni del genere valgono più di un record del mondo.

Geordie Beamish

Usa al vertice

La nouvelle vague del mezzofondo americano (sette medaglie nella dimensione degli 800, 1500 e 3000 maschili e femminili) ha messo ko l’Etiopia che sognava un Grande Slam e si è ritrovata con atleti asfissiati dai troppi meeting. Il dominio è stato totale, nel numero di medaglie conquistate e di punti messi a segno. Noah Lyles torna a casa con due secondi posti: la rimonta su Christian Coleman questa volta non è riuscita e i 60 si sino dimostrati troppo brevi perché il Labbro di Gainesville scatenasse il suo crescendo. In compenso è riuscito ad assaggiare il clima della 4x400, uno dei suoi obiettivi per centrare a Parigi un poker olimpico di nuovo formato: 100, 200 e due staffette. Qualcuno – Fred Kerley – ha mugugnato via social. Invidia?

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