Nella città in festa dopo 33 anni per lo scudetto riconquistato non ci sono solo i volti sorridenti dei bambini con la maglia azzurra del loro bomber Viktor Osimhen, o le lacrime dei papà che da piccoli hanno avuto la fortuna di celebrare il trionfo tricolore con Diego Armando Maradona in campo. C’è pure un substrato di violenza organizzata che ha creduto di poter dettare legge all’interno e fuori dallo stadio nell’anno magico di Napoli e del Napoli. L’ultima indagine della procura e della Digos della polizia partenopea scatta una foto limpida della strategia dei gruppi ultras «impegnati nell’organizzazione e attuare azioni violente finalizzate agli scontri con omologhi gruppi di tifoserie antagoniste e a conseguire il controllo territoriale delle Curve».

In questo scenario si innestano anche le verifiche condotte col massimo riserbo dalla procura nazionale antimafia guidata da Giovanni Melillo, che coordina un gruppo ad hoc su tifo e clan assieme ai magistrati Antonello Ardituro e Cristina Palaia. Un’istruttoria che ha lo scopo di illuminare le zone d’ombra dei rapporti tra gruppi organizzati, contaminati spesso dalle mafie, e società calcistiche. Una pista investigativa che dal sud arriva fino al nord del paese.

Lo scontro

Un nuovo capitolo, insomma, della storia del calcio italiano inquinata da bande criminali che nulla hanno a che fare con lo spirito agonistico del pallone. Eppure questa consapevolezza condivisa ufficialmente anche tra i vertici della federazione e delle società non è sufficiente ad arginare lo strapotere occulto che le frange estreme del tifo, non solo napoletano, esercitano sulle dirigenze delle squadre. Per capire meglio questa osmosi tra picchiatori delle curve, con precedenti penali che riempiono pagine e pagine di verbali, e società calcistiche è utile partire da un’immagine del 15 aprile scorso. Lo scatto ritrae Aurelio De Laurentiis, il presidente del Napoli calcio, all’hotel Britannique in mezzo a una nutrita delegazione di leader ultras. L’obiettivo del primo di una serie di confronti era riappacificarsi dopo la tensione delle settimane precedenti. De Laurentis aveva, infatti, iniziato uno duro scontro con i gruppi ultras, aveva cioè deciso di applicare la linea dura che nessun governo in Italia aveva mai attuato.

Tra marzo ed aprile, mentre la squadra di Spalletti incantava i tifosi e macinava gioco e avversari, De Laurentiis ha vissuto uno dei suoi momenti più difficili: bersagliato dai cori, osteggiato dai gruppi organizzati, gli ultrà gli contestavano parole e azioni che «nulla hanno a che fare con il rispetto di chi sacrifica soldi e tempo per la maglia azzurra», hanno scritto su un volantino dal titolo

Contestato anche perché il regolamento interno, quello relativo ai posti a sedere e all’ingresso dei tamburi, è applicato dalle autorità con particolare rigore nel silenzio complice del patron azzurro. Il presidente si era così intestato la battaglia e contrattaccava con una frase che scaverà un solco ancor più profondo: «Il tifo deve essere assolutamente sano perché allo stadio ci vanno famiglie, bambini, adolescenti ai quali non bisogna assolutamente far fare un giro di cocaina, fumare marijuana, né far vedere un’arma o dire che in fondo “il Napoli siamo noi”, perché questo è il leitmotiv di 300-400 persone. Queste persone probabilmente ieri erano fuori dal Maradona, vivendo come cani sciolti dietro alle forze dell'ordine con la scusa di fronteggiarsi con i tedeschi», diceva il 16 marzo.

Il volantino citato e gli scontri con i tedeschi, gli ultrà dell’Eintracht, sono elementi presenti all’interno delle carte dell’inchiesta. Il giorno dopo, il 17 marzo, i gruppi organizzati hanno risposto al presidente senza giri di parole: «Accetta un consiglio, smettila prima tu con la droga», recitava uno striscione apparso in città. Si arriva ad aprile con lo scontro che si è acuito: la prefettura ha assegnato a De Laurentiis la scorta. I gruppi ultras avevano imposto il silenzio in curva per i prezzi dei biglietti e l’applicazione rigida sulle misure per portare striscioni e bandiere allo stadio. Quel giorno il Napoli era impegnato contro il Milan, la sconfitta più dura dell’anno, 4-0 per i rossoneri.

La pace con Gennaro “Micio”

Era il 2 aprile, tredici giorni più tardi, il15 aprile, il presidente ha incontrato i leader dei delle curve all’hotel Britannique.Il presidente ha ceduto alle pressioni? Perché si passa dall’intransigenza al pace? Della questione se ne occupa anche il quotidiano inglese The Guardian che riferisce di una mediazione alla quale avrebbero preso parte, con la finalità di distendere gli animi, anche «politici di alto rango come il ministro degli interni italiano, Matteo Piantedosi». Di certo c'è che hanno lavorato a una soluzione conciliativa non solo le alte sfere, ma soprattutto quelle locali, come il sindaco, Gaetano Manfredi, e la prefettura.

Il problema però è che la pace raggiunta la siglano personaggi del calibro di Gennaro Grosso, immortalato in uno scatto al Britannique insieme agli altri capi ultras accanto a De Laurentiis. Grosso “Micio” è uno dei capi del gruppo “Masseria”, sigla della Curva A dello stadio Maradona, arrestato nell’ultima inchiesta della procura di Napoli, iniziata a ottobre 2022 dopo che in città gli ultras del gruppo “Masseria” avevano organizzato la caccia ai tifosi olandesi dell’Ajax, contro cui il Napoli ha giocato nei giorni di Champions League.

«E ma vanno bastonati. Per amico di Feynnord», scriveva Grosso nella chat WhatsApp del gruppo, intendendo il Feyenord, avversaria storica dell’Ajax e la cui tifoseria è gemellata con quella del Napoli. Secondo la Digos «a quel punto, Grosso, inizia a dettare la linea operativa che è, chiaramente, quella di colpire sin da subito i tifosi dell' Ajax ovunque vengano localizzati». Per investigatori e procura non c’è dubbio che sia Grosso il condottiero delle spedizioni.

«Il tenore delle chat non lascia adito a dubbi sulla partecipazione diretta all’azione violenta di Grosso, che in posizione apicale organizza l’azione e subito dopo intima la ritirata, è lui, infatti, ad impartire le direttive organizzative ed operative quanto, in particolare, alla necessità di scendere in strada immediatamente sin dalla sera del 10 ottobre, all’individuazione dei posti da monitorare o raggiungere, alle modalità di spostamento sul territorio, alla necessità di armarsi». Grosso ha preso parte, inoltre, all’azione conclusa con l’accoltellamento di un tifoso olandese.

La leadership di Grosso è certificata non solo dagli scontri, ma dalla presenza alla riunione per siglare la pace con De Laurentiis: «Grosso assume un ruolo di rappresentante del gruppo “Masseria” sia in occasione del viaggio in Bulgaria del settembre 2022 sia in occasione dell’ “incontro di pace" con il Presidente De Laurentis (al Britannique, ndr)», scrivono i magistrati nelle loro carte. Fonti investigative confermano che sono in corso verifiche coperte dal più assoluto segreto su questa sorta di patto con gli impresentabili della curva.

L’antimafia su tifo e società

I ricatti e le pressioni delle curve va oltre Napoli. Per la prima volta però c’è l’intenzione di osservare il fenomeno dei rapporti opachi con le società in maniera organica. Lo sta facendo la direzione nazionale antimafia, che indaga sui recenti episodi che hanno nuovamente svelato i rapporti stretti tra tifoseria organizzata e dirigenza calcistica. Una verifica iniziata di recente, condotta da un pool di magistrati esperti della materia: vogliono capire dove si ferma la passione e dove iniziano gli interessi economici, le intimidazioni, i favori.

Una delle immagini su cui sono in corso approfondimenti è recente e racconta la geografia del potere di alcuni gruppi ultrà. Arriva da Milano con il Milan, che lo scorso anno aveva vinto il campionato. Dopo la sconfitta con lo Spezia è stata chiamata a rapporto sotto la curva per un confronto. I volti tesi dei giocatori, in alcuni era visibile la smorfia della paura. Intimiditi al cospetto dei padroni della curva. La partita era in trasferta, il diavolo aveva appena perso due a zero e i tra i leader che si sporgevano dalle balaustre c’era anche Francesco Lucci, fratello del più noto Luca condannato a sette anni di carcere, in primo grado, in un’indagine per traffico di droga: celebre per la foto abbracciato a Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno. Anche Francesco Lucci è stato condannato a tre anni per estorsione, guai di stadio e da codice penale che condivide con altri esponenti della tifoseria, protagonisti dell’incontro dell’incontro sotto curva a Spezia.

Il campionato si era aperto con un’altra foto eloquente di certe logiche e certi poteri: gli ultras dell’Inter che avevano obbligato i presenti a lasciare la curva Nord per rispetto di Vittorio Boiocchi, lo “Zio”, ucciso quel giorno sotto casa da due killer. Attorno allo “Zio” girava l’affare dei biglietti, dei venditori ambulanti di salamelle, dei parcheggi. Soldi e potere, il tutto farcito di interferenze mafiose. Un nuovo capitolo sul quale ha deciso di indagare l’antimafia.

© Riproduzione riservata