Quando ventiquattro anni fa cominciarono a tirare su i capannoni, per Bomporto giravano delle voci. «Tutti volevano andare a lavorare in quell’azienda nuova. Vado a fare i panini per McDonald’s, si diceva in paese». Daniela ha 43 anni e fa i turni alla Bimbo da quasi diciotto. Abita a tre chilometri da lì, e questa non è una cosa da poco perché le spese sono tante, lei ha un mutuo da pagare, la vita è sempre più cara, il potere d’acquisto sempre più basso, e se puoi risparmiare qualcosa sulla benzina non è mica male. «Qualche anno fa avevo pensato di cambiare lavoro. Ma se cominci a spostarti lontano devi metterci anche gli euro di carburante».

Daniela è una delle lavoratrici che hanno scioperato fuori dai cancelli dello stabilimento in provincia di Modena. In stato di agitazione è entrata anche la sede di Monterotondo, dove da otto anni esiste una specie di filiale. Sono 200 in tutto, al lavoro. Giovani, veterane, esperti. A Bomporto martedì scorso erano in 50 a tenere un presidio, mercoledì il bis. A far andare le macchine ci hanno provato un dirigente e quelli degli uffici, spiazzati dal primo sciopero nella storia della fabbrica, dopo tutti questi anni. «La cosa che ci rende fieri è che tutti ma proprio tutti hanno aderito. Il 100% dei lavoratori». Pare che l’azienda abbia dovuto rimediare comprando forniture di panini extra dall’estero.

L’azienda

La Bimbo Qsr Italia è il fornitore ufficiale di panini per McDonald’s e per Burger King. Ne producono circa 1 milione al giorno, 45mila ogni ora. Fermare produzione e rifornimento significa creare un guaio da molte migliaia di euro a quella che da cinque anni è un’azienda di proprietà di una multinazionale messicana. I lavoratori e le lavoratrici hanno chiesto un adeguamento salariale, si sono trovati di fronte a un muro. Con un comunicato firmato da Elisabetta Anna Ghislanzoni, la general manager, l’azienda ha preso atto «con rammarico dello sciopero», assicurando che avrebbe lavorato per «evitare disagi ai clienti».

Gli operai della Bimbo hanno chiesto aiuto alla Flai Cgil di Modena. «Sostanzialmente - spiegava nei giorni scorsi Rosa Damicco della Flai -, l’azienda aveva messo sul piatto risorse aggiuntive insufficienti e inadeguate a rispondere alle aspettative dei lavoratori e alla nuova definizione delle professionalità».

La vertenza

È stato stilato un mansionario interno, con livelli intermedi rispetto a quelli del contratto dei panificatori (più fumoso rispetto al contratto dell’industria alimentare, che gli operai richiedono), ma con un budget di circa 25mila euro, giudicato troppo basso dai sindacati. Diviso fra tutti i lavoratori e le lavoratrici avrebbe portato a un aumento di circa 17 euro netti al mese in busta paga. Così, è stata bloccata la produzione. Non era mai successo. «Le maestranze della Bimbo di Bomporto hanno esperienza anche ventennale, il turnover è basso, lavorano su tre turni, compresi notturni, fine settimana, festivi e domeniche». Daniela aiutava la madre in un negozio, poi aveva trovato lavoro alla Coop di Carpi. Nel 2006 è stata assunta qui. All’epoca sua figlia aveva già 6 anni. «Con il padre è finita subito. Più tardi ho avuto una lunga convivenza. Il vero aiuto è arrivato dai miei genitori. Volevo fare l’alberghiero perché mi piace la manualità. Ma i professori erano troppo severi e non avevo voglia di studiare, e così sono andata a lavorare. Mi piace, ma è dura. Con i turni fai sempre una vita sacrificata, pochi amici, week-end occupati». L'ultimo incontro, giovedì pomeriggio, ha sbloccato la vertenza. Per ora. Il rientro in fabbrica è stato ottenuto con la promessa di una serie di premi di produzione.

La storia

Qui si lavora da lunedì a domenica. Ma sono le notti la cosa più estenuante. Quando l’azienda aprì, nel 1999, si chiamava East Balt Italia e aveva una proprietà americana. L’ex ad Tommaso De Marco, che guidava la sede italiana di Bomporto, è ancora considerato da tutti un unicum nel grande valzer dei manager. «Uno di quelli che ci sono una volta e mai più. Lui chiedeva, era rigido. Ma sapeva anche dare. Premi, gite, parole di elogio», raccontano i dipendenti più anziani. All’inizio non esistevano i turni di notte, adesso coprono orari standard e girano su tre settimane, con una pausa di 30 minuti al giorno, compresa quella di 10 per il caffè. «Quando sei giovane ce la fai - dice ancora Daniela – negli anni è diventata una fatica. Di giorno devi riposare, se hai qualche problema a casa salti il sonno. Negli ultimi anni mi è capitato di andare in ferie quando mi toccava il turno di notte. Fisicamente sentivo la differenza».

Quando gli americani hanno deciso di vendere i tanti stabilimenti in giro per il mondo, sono arrivati i messicani (2017). La Bimbo è un’azienda di eccellenza. Gli standard di qualità sono altissimi. Produrre un panino per Mc costa meno di un euro, ma perché arrivi (già tagliato) in uno dei fast food sparsi per la Penisola deve superare parametri rigidissimi: la glassa deve essere uniforme, il sesamo deve essere applicato in un certo modo. Gli standard così alti che capita di dover scartare chili e chili di produzione, anche mille panini al giorno. L’azienda scelse i terreni di Bomporto perché costavano meno e perché il punto era strategico per la distribuzione. Dentro però c’è una storia assai italiana di lavoratori e lavoratrici. Una storia di orgoglio, resistenza, umanità. Anna lavora alla Bimbo da 24 anni. Oggi ne ha più di cinquant’anni. Non aveva figli all’inizio, sono arrivati dopo. È campana, aveva 14 anni quando la famiglia si è trasferita in Emilia. «Papà era andato in pensione, mio fratello aveva già trovato lavoro da queste parti e così ci siamo spostati tutti». Ma rispetto a qualche anno fa la vita è più cara, non si trova casa in affitto, molti traslocano da Modena a Bomporto. «C’è un po’ di campagna e niente traffico».

Le aziende come la Bimbo hanno contribuito a tenere agile l’occupazione. «Abbiamo lavorato duramente per permettere di aprire a Roma. Ci avevano promesso che saremmo tornati a fare dal lunedì al venerdì». Cose passate, le proprietà cambiano, molti lavoratori sono gli stessi. Dal 2003 sono cominciate le notti, l’azienda ha chiesto di più. «Però da ventiquattro anni prendo sempre lo stesso stipendio - dice Anna -, è la prima volta che facciamo sciopero. Ci avevano provato un’altra volta, la vecchia proprietà voleva farci lavorare a Pasqua. Dicemmo no, ci siamo imposti». Anche stavolta.

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