Come in ogni sceneggiatura che si rispetti contano i dialoghi. E in quella gigantesca rappresentazione che è diventato il calcio nell’epoca del Var mancava proprio questo: i frammenti di parlato.

Ciò che si dicono l’arbitro di campo e i suoi supervisori che se ne stanno rintanati nell’iperspazio tecnologico di Lissone, a esercitare il potere panottico che però poi deve prendere forma di verbo. Farsi parola, appunto.

Proprio lì è concentrato l’ultimo tabù: cosa si dicono l’arbitro di campo e i suoi lord protettori che sono anche super-vedenti? Ma soprattutto: come se lo dicono? Perché magari sarà una suggestione tutta nostra, ma ci immaginiamo che quei frammenti di parlato vengano scanditi con un timbro e una metrica da signora della centrale dei taxi (che a sua volta era certamente la mamma delle gemelle Alexa e Cortana). «Step on foot in area della Lazio – verificare – verificare – attesa revisione 30 secondi».

Sì, meglio prenderla a ridere piuttosto che cedere all’emotività. Perché tanto, da tifosi, prima o poi è toccato a tutti subire la beffa della tecnologia che fallisce, che dovrebbe star lì per cogliere le minuzie ma poi si arrende davanti all’episodio eclatante. Come quello che ha segnato la scorsa giornata di campionato: il chiarissimo rigore non assegnato al Bologna sul campo della Juventus per fallo di Iling Jr. su Ndoye.

Come è stato possibile non vedere? Risposta: proviamo a sentire. Cioè, scopriamo cosa si sono detti l’arbitro di campo, Marco Di Bello da Brindisi, e il suo collega al Var, Francesco Fourneau da Roma. Che l’hanno combinata in coppia e per questo se ne staranno un mesetto a casa. Ma almeno capire come sia maturata la decisione di non andare a rivedere l’episodio sul monitor di bordocampo, quello sì.

Per questo dal mondo arbitrale è arrivato un segnale di apertura. Il designatore Gianluca Rocchi ha fatto sapere che quegli audio verranno resi pubblici. Sarebbe anche stato individuato il momento in cui il disvelamento avverrà: venerdì 1° settembre a Coverciano, in occasione della conferenza durante la quale gli arbitri faranno il punto sulle prime due giornate del campionato.

Punti ciechi e sordi

La voce degli arbitri è sempre stata un tabù. Da decenni si spinge affinché possano dire la loro, e proprio loro sarebbero i primi a esserne lieti. Che poi riescano anche a essere dei bravi comunicatori, o che quanto dicono non rischi di nuocere anziché farli uscire meglio dalle situazioni d’imbarazzo, è cosa tutta da verificare.

In questi senso, l’unico precedente è per niente incoraggiante e manco a farlo apposta richiama un caso in cui le polemiche si accesero anche intorno agli audio del Var. Era febbraio del 2021 e l’arbitro Daniele Orsato da Schio fu ospite a 90° minuto, lo storico programma Rai. Per la prima e unica volta. Tutto avveniva nel quadro di un’operazione trasparenza voluta dall’allora presidente dell’Associazione italiana arbitri (Aia), Alfredo Trentalange. 

E di cosa si finì a parlare quella volta? Della mancata espulsione, da parte dello stesso Orsato, del centrocampista juventino Pjanic per fallo su Rafinha, in quell’Inter-Juventus 2-3 di marzo 2018 che segnò la corsa verso lo scudetto. Un episodio allora vecchio di quasi tre anni, che nel frattempo aveva provocato il disappunto dell’ex procuratore della Figc, Giuseppe Pecoraro. Motivo: l’audio della conversazione fra Orsato e il Var era sparito.

Una manina provvidenziale? Certamente un punto sordo nella gigantesca macchina di controllo tecnologico che viene montata intorno alla partita di calcio per rendere più razionale l’assunzione delle decisioni e ridurre al minimo l’incidenza dell’errore. E come esistono punti sordi ne esistono anche di ciechi, come dimostrato in occasione di Juventus-Salernitana 2-2 di settembre 2022. In quell’occasione il gol del 3-2 juventino segnato da Milik venne annullato per fuorigioco di Bomucci, ma alle occhiutissime telecamere del Var sfuggì la posizione del granata Antonio Candreva, che teneva in gioco il difensore bianconero.

L’immagine venne ripescata soltanto nel dopo-gara e servì a dimostrare che non esiste possibilità di coprire perfettamente e in tempo reale ogni angolo del campo, salvo ingolfare sempre più il tempo di gioco dilatandolo con lunghissime attese. E tra punti sordi e punti ciechi l’utilizzo del mezzo tecnologico, presentato come la soluzione contro polemiche e decisioni errate, si è trasformato in ulteriore strumento d’incertezza e opacità.

L’oggettività che non c’è

La possibilità di intervenire immediatamente, a gioco in corso, grazie all’ausilio della tecnologia televisiva era stata salutata come un passaggio che avrebbe reso oggettività al calcio. Che dal canto suo è lo sport dove più che altrove il singolo episodio può essere decisivo, e dunque anche decisione arbitrale errata.

Si è scoperto invece che nel calcio l’oggettività è impossibile. Perché rimane una dimensione di arbitrio (e scusate il gioco di parole) che viene trasferita dall’arbitro di campo alla procedura attraverso cui scaturisce la decisione. E in questo caso l’arbitrio non sta più nel decidere sul merito dell’episodio, quanto sulla sua valutabilità secondo il criterio della prova tecnologica. Chi decide quali episodi ammettere a revisione?

Ecco il buco nero che, episodio dopo episodio, sta corrodendo la credibilità dello strumento tecnologico come supporto della decisione arbitrale. Fermo restando che l’arbitro di campo rimane decisore ultimo, disposto a assumersi il rischio di errore qualora sia convinto di avere visto meglio di quanto abbiano fatto le telecamere e i colleghi in sala Var.

L’equilibrio che ne è sortito ha peggiorato la situazione. La decisione avrebbe dovuto essere resa oggettiva e semplificata e invece, oltre alle lungaggini da revisione e alle continue interruzioni del tempo di gara, si è ottenuto soltanto di complicare la catena della decisioni senza metterla al riparo dall’errore. Si è passati dall’errore individuale all’errore cooperativo.

Soluzioni

Ma allora, quale soluzione sarebbe possibile? Quella più brutale, forse già programmata in una logica da progetto di lungo corso, prevede l’assegnazione della direzione di gara a un’intelligenza artificiale. Soluzione che, oltre a essere ovviamente temuta dagli arbitri, porterebbe un passo oltre verso la de-umanizzazione del calcio; ma che in realtà è già presente in forma infrastrutturale, se si pensa a quanto si sia spinta avanti l’invasione del mezzo televisivo nello spazio sacro della partita di calcio. Il fuorigioco semiautomatico è stato un netto passo in questa direzione. 

Altrimenti, se si vuole evitare il definitivo avvento della civiltà delle macchine, bisognerebbe prendere sul serio l’idea di assegnare almeno una chiamata Var a ogni squadra, con un meccanismo simile a quello del tennis. Sarebbe una garanzia per tutte le parti, compresa la sempre più corposa e bilocata squadra arbitrale. Il meccanismo della chiamata l’avrebbe messa al riparo dal grave errore di domenica pomeriggio allo Stadium e da tutte le polemiche successive. Basterebbe questo, anziché curarsi di cosa si siano detti fra arbitro di campo e sala Var

© Riproduzione riservata