Alla fine, le proteste non sono servite. La Georgia ha approvato la legge sui cosiddetti “agenti stranieri” che prevede che i media e le ong che ricevono almeno il 20 per cento dei propri fondi dall’estero debbano registrarsi come entità che «perseguono gli interessi di una potenza straniera».

Da tempo i manifestanti georgiani affollano le strade e le piazze della capitale Tblisi per dire no a questo ordinamento votato da un parlamento in cui domina il partito populista e filorusso Sogno Georgiano (la stessa norma è attiva in Russia da dodici anni).

La paura è che questa approvazione costituisca non solo un pericolo per la democrazia e la libertà di espressione nel paese caucasico, ma che possa rappresentare un ostacolo all'ingresso della Georgia nell'Unione europea (lo scorso 14 dicembre il Consiglio europeo ha concesso lo status di candidato Ue al paese).

Il percorso verso l’Ue

Di Europa si è parlato anche a Zero Comprimise, la fiera dei vini naturali georgiani svoltasi a Tblisi il 9 e 10 maggio scorsi. Un evento partecipato soprattutto da giovani, gli stessi che sono scesi in piazza contro una legge considerata liberticida.

La pensa così Nino Gvantseladze, proprietaria insieme al marito Bastien dell'azienda Ori Marani nata nel 2017 nel villaggio di Igoeti, nella regione di Shida Kartli. Una coppia giovane, lei georgiana, lui francese della Champagne, che fa vini fermi ma anche bollicine fermentate e affinate nelle qvevri, le tradizionali anfore georgiane: «Le decisioni del governo – spiega la produttrice – causeranno una situazione economica difficile. C'è stata subito una variazione negativa del tasso di cambio, il potere d’acquisto della nostra moneta diminuirà, il prezzo dei beni importati aumenterà e, alla fine, ci saranno conseguenze negative per tutti. Tutto ciò influenzerà negativamente anche il turismo: tante persone infatti hanno già iniziato a cancellare i loro viaggi in Georgia, in un momento in cui l'enoturismo cominciava a funzionare. L'adesione alla Ue favorirebbe la crescita economica, il rispetto dei diritti umani e civili, gli scambi culturali e educativi. Noi ci sentiamo europei da tempo, ma so che il riconoscimento è un percorso lungo difficile».

Cittadini prima che viticoltori

Lo spettro di sanzioni come contromisura alla decisione del governo georgiano preoccupa quindi anche i produttori di vino, il cui export, dopo il Covid e la guerra in Ucraina, era ripartito bene. Secondo la Lepl National Wine Agency (Legal Entity of Public Law) l'inizio del 2024 ha segnato un aumento delle esportazioni del 38 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023 verso Germania, Paesi Baltici e Polonia in testa.

Sono cresciuti anche i mercati asiatici come Giappone e Corea del Sud e l'Ucraina è tornata a essere – seppur timidamente – un mercato di riferimento. Non sorprende quindi che, tra le associazioni della società civile che hanno lanciato dichiarazioni di sfida nei confronti del partito Sogno Georgiano, ce ne siano alcune legate al mondo del vino. Una di queste è la Georgia's Association Wine Artisans and artisan winemakers che, con parole chiare, dice «NO alla legge russa! NO al governo traditore!».

Andro Barnovi è produttore e direttore dell'associazione che raccoglie oltre cinquanta adesioni tra i viticoltori del paese: «Questa legge promossa dal governo – sottolinea Barnovi – è stata giustamente chiamata “legge russa” perché mina l'indipendenza e la libertà dei cittadini georgiani. È una chiara provocazione da parte della Federazione russa occupante e vuole colpire con l'intimidazione la parte più giovane e politicamente attiva del paese».

Andro produce da dieci anni vini naturali a Gori, nella regione dello Shida Kartli, ma non nasce vignaiolo. Attivista nelle lotte civili del paese, Barnovi è un ex leader del Movimento per l'indipendenza e l'integrazione europea ed è membro del consiglio politico del Movimento nazionale unito, il principale partito di opposizione in Georgia.

Come sia passato al vino ce lo spiega lui: «Ho sempre amato il vino, ma a un certo punto della mia carriera politica mi sono reso conto che era complicato cambiare le cose. Alla presidenza era salito Giorgi Margvelashvili, sostenuto dal partito Sogno Georgiano, (Barnovi ha lavorato a fianco dell'ex presidente Mikheil Saakashvili, europeista e sostenitore di una politica di derussificazione dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia, ndr). Ho scelto così una cosa più semplice in cui impegnarmi, nell'attesa che l'opinione pubblica fosse pronta al cambiamento, ma prima di essere un viticoltore sono un cittadino e oggi questo desiderio di Europa e di futuro è forte e lo dimostrano le manifestazioni oceaniche cha vanno avanti da più di un anno nelle strade della capitale».

Meno Russia, più qualità

Il mercato di riferimento dei vini georgiani è ancora oggi la Russia, parliamo però etichette di bassa qualità e dal prezzo irrisorio. È stato l'embargo del 2006 voluto da Vladimir Putin su alcuni prodotti georgiani – tra cui il vino – a cambiare le sorti di quella che veniva chiamata “la cantina dell'Unione sovietica”. Da allora la ricerca di altri sbocchi commerciali ha spinto molte cantine a investire sulla qualità. Un percorso portato avanti da tanti piccoli vigneron, ma anche da grandi nomi come Tblivino, azienda da otto milioni di bottiglie che coltiva le sue uve nella zona di Kakheti.

Zurab Margvelashvili è uno dei fondatori: «Questo è il paese delle ottomila vendemmie (l'archeologia enologica parla di produzione di vino in zona già nel Neolitico, ndr) ma a causa del dominio sovietico non ha avuto uno sviluppo importante. Anche noi vendevamo alla Russia più del cinquanta per cento della nostra produzione e dopo lo stop il rischio di fallimento è stato reale. A quel punto abbiamo investito in tecnologia e conoscenza scientifica e ci siamo affidati a un team italiano».

Da quasi cinque anni il consulente enologico di Tblivino è Alessandro Bellotto, dipendente della società veneta Giotto Consulting, che vola a Tblisi diverse volte all'anno: «Lavoriamo solo su varietà autoctone – in Georgia ce ne sono più di quattrocento – ma abbiamo dato ai vini un gusto più contemporaneo e comprensibile al mercato internazionale. Siamo così arrivati a vendere in trenta paesi». Due anni fa, con l'inizio della guerra in Ucraina, Tblivino ha scelto di non vendere più vino alla Federazione russa in segno di protesta: «Abbiamo ripreso da poco un canale commerciale – spiega Zurab – ma non andremo oltre il venti per cento e non venderemo più a basso costo». La voglia di Europa la sente anche l'enologo Alessandro che in città ha ormai molti amici. Anche la squadra tra vigna e cantina è formata da dipendenti giovani: «I nostri operai dai 40 anni in su – racconta Bellotto - parlano russo, ma le nuove generazioni si rifiutano di impararlo o di parlarlo. Preferiscono di gran lunga l'inglese».

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