Fontana e i conti in Svizzera. Il presidente leghista della regione è ufficialmente indagato. L’ipotesi di reato è autoriciclaggio e falsa dichiarazione in sede di voluntary disclosure, lo scudo fiscale, cioè, firmato nel 2016 per regolarizzare il conto da 5,3 milioni di euro ereditato dall’anziana madre scomparsa nel 2015.

Con Fontana sul registro degli indagati la procura ha chiesto la rogatoria alle autorità elvetiche per verificare la documentazione sulla regolarizzazione dei 5,3 milioni ereditati dalla madre, titolare ufficiale dei depositi esteri. Se i magistrati e la guardia di finanza sono quasi certi che 3 milioni siano della madre, hanno forti dubbi sull’origine di almeno 2,2 milioni di euro. Sospetti alimentati dalle attività di indagine condotte in questi mesi. Per diradare la nebbia su questa parte sostanziosa di tesoro di casa Fontana chi indaga cercherà risposte in Svizzera. 

«La difesa di Fontana si è dichiarata disponibile a fornire ogni chiarimento», ha fatto sapere il procuratore capo di Milano Francesco Greco.

Quella del patrimonio svizzero è un’inchiesta che scorre parallela a quella sui camici alla regione Lombardia, prima venduti dall’azienda del cognato e della moglie, poi donati e infine sequestrati dalla procura di Milano. In quest’ultimo filone Fontana è sotto inchiesta per frode in pubbliche forniture.

È dall’inchiesta sui camici che i magistrati incrociano il tesoro svizzero: Fontana, infatti, tenta di pagare i camici all’azienda dei familiari con un bonifico di 250mila euro ordinato dalla fiduciaria che gestisce il suo conto elvetico ereditato. Tutto per far credere che fosse un pagamento Italia su Italia, ma «di fatto proveniente da un conto estero», si legge in una relazione pubblicata per la prima volta da Domani alcuni mesi fa, quando avevamo svelato l’esistenza di un conto estero acceso nel 1997 sul quale Fontana era delegato a operare.

Il bonifico tentato dal presidente in carica per pagare l’azienda della moglie e del cognato ha permesso ai magistrati di scoprire il patrimonio in una banca elvetica, a pochi chilometri dalla città, Varese, di cui Fontana è stato sindaco.

L’inchiesta, perciò, nasce da una fornitura destinata ad Aria, la centrale di acquisto della regione al centro di vari scandali e polemiche per la gestione della pandemia. Fornitura di 75mila camici e 7mila kit prodotti dalla Dama, l'azienda di abbigliamento del cognato e della moglie di Fontana. Nel corso di questa indagine sono emersi i 5,3 milioni del presidente custoditi in un conto svizzero.

Scudo di famiglia

Detenere un conto all’estero non è automaticamente reato. Non dichiararlo, nemmeno, perché potrebbe risolversi tutto in un illecito amministrativo. Cosa che, peraltro, il governatore ha sanato nel 2015 grazie alla voluntary disclosure varata dal governo Renzi per far emergere i capitali all'estero. Tuttavia la versione di Fontana è incompleta. Ha raccontato di un’eredità lasciata dalla madre e regolarizzata nel 2015, ma non ha mai spiegato perché, come rivelato da Domani, dal 1997 al 2005 era delegato a operare su un altro conto della madre. Anomalie sulle quali indagano i magistrati.

Il pool applicato a questa indagine è coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. Questa sul tesoretto del governatore si sta rivelando complessa perché gli attrezzi usati da Fontana per proteggerlo fuori dai confini italiani rallentano i detective, che vogliono capire con precisione quale sia la reale storia di quel conto corrente milionario, denunciato nel 2015 come eredità lasciata dalla mamma Maria Giovanna Brunella, l’anziana madre scomparsa nel 2015, che, stando alla versione di Fontana, ha aperto personalmente ben due conti, il primo a 74 anni, sul quale era delegato a compiere operazioni anche il futuro presidente della regione all’epoca solo sindaco di un paese della provincia di Varese. Il secondo conto è del 2005, la madre aveva 82 anni e Fontana risultava solo erede.

I tasselli mancanti

Le domande alle quali gli inquirenti vorrebbero trovare risposte sono molte: è l'unico conto estero di Fontana? Le sue presunte movimentazioni negli ultimi anni sono lecite? Dopo il 2015, l'anno dello scudo fiscale, cosa è successo? Quando è stato acceso, nel 1997, era destinato solo a preservare i risparmi della mamma, dentista di Varese e all’epoca ultrasettantenne? O, visto che lo stesso Fontana aveva una delega a operare sul questo deposito estero vi confluivano soldi da altre sorgenti?

Per capire qualcosa di più la procura ha già fatto visita nei mesi scorsi ai commercialisti Frattini di Varese e Vallefuoco di Roma, che collabora anche con uno studio legale svizzero di Lugano.

Ora il passo successivo: la richiesta di accedere ai documenti depositati nella banca svizzera, segno che dal materiale acquisito dai commercialisti è emerso qualcosa di interessante e da approfondire. E che solo un viaggio degli investigatori a Lugano può chiarire.

Affare di famiglia

Di certo c’è, come raccontato dal nostro giornale nei mesi scorsi, non erano solo i Fontana ad avere i conti in Svizzera. L’antiriciclaggio ha effettuato numerose segnalazioni sospette su flussi finanziari anomali che riguardano la moglie del presidente, Roberta Dini, nonché socia dell’azienda dell’affare camici, il cognato, titolare della medesima impresa, e la famiglia Dini. Anche in questo caso le indagini finanziarie avevano evidenziato lo scudo fiscale per i patrimoni dei genitori della moglie del governatore. Le carte dei detective dell’antiriciclaggio rivelano che nel 2015 anche i due suoceri di Fontana hanno usato la voluntary disclosure per far rientrare capitali nascosti in Estonia, Svizzera e a Curaçao, nelle Antille olandesi «in violazione degli obblighi di dichiarazione dei redditi e di monitoraggio fiscale». Milioni di euro legati proprio alle attività della Dama, la società del caso camici, oggi controllata dalla moglie e dal cognato di Fontana, dopo la morte del capostipite Paolo Dini. Insomma, la Svizzera sembra essere un grande affare di famiglia.

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