Con la ritirata strategica di Luca Morisi dalla scena la Lega di Matteo Salvini non ha intenzione di archiviare la stagione della “Bestia”, l’architettura della propaganda che ha resto il leader una star dei social network. La macchina del proselitismo nazionalista di cui Morisi è stato uno degli inventori e degli ideologi ha un motore ancora funzionante. Ed è pronta a nuove sfide. Ad arginare, per esempio, i contraccolpi dell’affaire Morisi, o di indagini sui soldi al partito. Temi che Morisi & co. hanno sempre affrontato con un piano preciso.

Dopo di lui, quindi, non c’è il nulla, ma la continuità. Un esempio: ieri Salvini ha proseguito nella difesa del suo amico guru informatico e ha sferrato una bastonata alla magistratura e alla stampa colpevoli di voler colpire l’unico partito antisistema del paese. Per difendere Morisi ha persino archiviato una storia che chiusa non è: quella dei fondi russi e della trattativa di Mosca dell’ottobre 2018. Quella in cui un suo uomo era al tavolo con persone vicine al presidente Vladimir Putin per parlare di finanziamenti destinati alla campagna elettorale delle europee del maggio successivo.

Negli stessi minuti in cui evocava complotti contro la Lega ha lanciato anche un messaggio chiaro al suo vice Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico e referente della fronda nordista della Lega. Giorgetti aveva fatto capire che il candidato del centrodestra a sindaco di Roma, Enrico Michetti, è inadeguato e che invece Carlo Calenda è un avversario credibile. «Michetti è credibile, Roma non deve ripartire dai salotti di Calenda», la replica di Salvini.

Inchiesta: Quanti soldi a Morisi e alla sua Bestia

Il socio di Morisi

La fragilità politica reale del leader della Lega è in parte compensata dal team che lo assiste nel costruire la sua immagine virtuale. Anche senza Morisi, sicuramente il più creativo del gruppo. Perché ad avere trasformato la rabbia sociale in consenso reale e virtuale c’è anche un meno conosciuto signore che di nome fa Andrea Paganella. Il socio, in pratica, di Morisi nella Sistemaintranet.com, l’azienda che ha fatturato milioni nel giro di tre anni alla Lega. Per la precisione la coppia, attraverso l’impresa e con incarichi personali e retribuzioni mediate da altre società riconducibili alla galassia degli uomini del partito, ha incamerato 1,5 milioni dal 2017 alla fine del 2020. E se Morisi è la mente della propaganda fondata sugli algoritmi in grado di leggere i sentimenti degli utenti che navigano sul web, Paganella è il consigliere numero uno dell’ex ministro dell’Interno e lo è tuttora con Salvini leader semplice e senatore.

Insomma, l’indagine per droga che ha portato Morisi fuori dal cerchio magico pubblico di Salvini non ha cambiato la strategia comunicativa del movimento, che resta in modalità aggressiva. I post su Facebook continuano a parlare alla pancia dei fruitori dei canali della Lega, prede da trasformare in elettori e dunque in consenso reale. Da questa linea la squadra social non arretra, le grafiche che accompagnano i testi pubblicati sul social network, soprattutto sulla pagine personale di Salvini, sono sempre le stesse. Così come il linguaggio, violento soprattutto quando si tratta di immigrati.

La squadra che porta avanti la “dottrina Morisi” è la stessa che ha sempre composto lo staff del “Capitano”: Paganella, appunto, Fabio Montoli, Daniele Bertana, Marco Messa, Alessandro Pansera, Andrea Zanelli. Unica defezione, ben prima di Morisi, quella di Leonardo Foa, il figlio di Marcello già presidente della Rai nominato dal governo gialloverde di Salvini e Conte.

Foa junior ha lasciato il gruppo per nuove esperienze: dai primi mesi del 2021, sul suo profilo LinkedIn, si definisce «digital communications strategist» e «Aspen junior fellow», cioè membro del network di giovani dell’Aspen Istitute, l’organizzazione finanziata dall’élite del capitalismo mondiale la cui succursale italiana è guidata dall’ex ministro Giulio Tremonti. Dallo scatenare gli odiatori del web contro i tecnocrati a collaborare con il “nemico” il passo è stato breve.

Neutralizzare il clamore

Ora che Morisi attende nelle retrovie e si limiterà a gestire l’ordinaria amministrazione della società Sistemaintranet.com è Paganella il frontman della propaganda. Proprio lui che aveva fatto di tutto per rimanere nell’anonimato seppure attivissimo nel suggerire a Matteo la strada da seguire, gli interventi da fare, le relazioni da mantenere. Paganella è il portavoce ombra di Salvini, lo ha seguito ovunque. Ufficialmente è inquadrato nel ruolo di capo segreteria, anche quando Salvini era al Viminale.

Paganella così come Morisi e altri del team hanno percepito nel periodo di governo gialloverde soldi dal partito e contemporaneamente dalle casse dello stato per incarichi fiduciari affidati dal ministro. Ma Paganella era anche sul volo Roma-Mosca del 17 ottobre 2018. Insieme a Salvini era diretto a una conferenza organizzata da Confindustria Russia in cui l’allora vicepremier e ministro era l’ospite d’onore. Il giorno dopo veniva documentata la trattativa tra uno dei leghisti più fedeli a Salvini, Gianluca Savoini, e personaggi molto vicini all’entourage del presidente russo Putin.

La trattativa era incentrata su una partita di gasolio la cui vendita serviva a mascherare un finanziamento milionario alla Lega in vista delle elezioni europee del maggio 2019. All’incontro del 18 ottobre nella hall dell’hotel Metropol c’erano Savoini, altri due italiani, e tre russi. Non c’erano Salvini e Paganella, che però il giorno prima aveva incontrato Savoini nella sala conferenze che ospitava l’allora ministro dell’Interno: una foto li ritrae sorridenti mentre chiacchierano. Se Savoini abbia informato Paganella dell’incontro al Metropol del giorno successivo resta un mistero, che certamente i magistrati della procura di Milano avranno provato a risolvere nella loro indagine per corruzione internazionale avviata dopo lo scoop sul Russiagate leghista pubblicato il 28 febbraio 2019.

Un’inchiesta in fase di conclusione, in cui è indagato Savoini insieme agli altri due italiani protagonisti della trattativa moscovita. I pm hanno sentito numerosi testimoni, anche russi, per contestualizzare la vicenda e capire se i vertici del partito fossero a conoscenza delle manovre di Savoini, che fino a due anni fa alcuni media russi definivano «consigliere di Salvini».

A Milano non c’è solo la partita russa che preoccupa la Lega già tesa per la caduta di Morisi. Un altro filone di indagine riguarda i conti del partito dai quali sono usciti milioni di euro per pagare fornitori vari. Operazioni che sono state segnalate in questi anni in decine di relazioni dell’antiriciclaggio alla Guardia di finanza e ai magistrati che si sono occupati dell’indagine sui commercialisti del partito condannati in primo grado per peculato nell’affare Lombardia film commission (soldi pubblici della regione Lombardia finiti a società riconducibili ai contabili scelti da Salvini e dal tesoriere, Giulio Centemero, per amministrare le finanze della Lega).

Quella sui professionisti di cui Salvini «si fida ciecamente», per citare parole sue, era solo un anticipo di un’inchiesta più ampia che sta ricostruendo flussi di denaro che anche dal partito e da società controllate da esso sono finiti a imprese fornitrici. Movimenti bancari per svariati milioni considerate anomali soprattutto per un motivo: l’arco temporale in cui questi soldi lasciavano i conti della Lega coincideva con le sentenze che condannavano il partito alla restituzione dei 49 milioni di euro frutto della truffa sui rimborsi elettorali della gestione precedente, con Umberto Bossi capo politico e Francesco Belsito tesoriere.

Il fronte milanese è dunque quello che più preoccupa Salvini e lo staff comunicazione, che studia le contromosse. Di fronte a guai giudiziari relativi ad affari di soldi e potere il principio cardine della propaganda leghista, firmata Morisi-Paganella, è sempre stato uno: spostare l’attenzione su altro. Il processo contro l’ex ministro per il sequestro dei migranti bloccati in mezzo al mare sulla nave Open Arms è l’esempio di questa strategia.

L’unico processo e l’unica inchiesta che Salvini e l’apparato comunicativo non hanno paura di affrontare. Anzi, lo portano come esempio di una magistratura ideologizzata, che ha l’obiettivo di mettere in difficoltà il partito. Esasperare il ruolo di vittima di Salvini serve a compattare un movimento assai sfilacciato e a ridurre l’impatto delle altre grane su temi più delicati da spiegare e sui quali il leader quasi sempre evita di dare risposte serie scevre da battute da bar sport: dai 49 milioni alla Russia fino ai fondi amministrati dai commercialisti della Lega condannati.

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