La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha graziato i fedelissimi Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro Delle Vedove, protagonisti delle rivelazioni sui colloqui in carcere tra l’anarchico-terrorista, Alfredo Cospito, e i mafiosi. Per il momento restano al loro posto, uno vicepresidente del Copasir e l’altro a via Arenula come sottosegretario alla Giustizia. 

Il ministro, Carlo Nordio, ha salvato i pupilli della presidente parlando di documenti ostensibili perché protocollati come a «limitata divulgazione», limitata non significa pubblica come è accaduto con la diffusione dei contenuti alla camera dei Deputati. 

Ma la vicenda è solo all’inizio visto che c’è un’indagine della procura di Roma, coordinata dall’aggiunto Paolo Ielo, che ha acquisito le relazioni del gom, il gruppo operativo mobile, girate al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e poi finite sul tavolo del sottosegretario e declamate in aula da Donzelli. Ma ci sono anche vicende pregresse che raccontano la delicatezza di quanto avviene in carcere e l’avvio di indagini per fatti di gran lunga meno gravi. 

C’è un precedente che racconta di una magistratura inquirente intransigente e di quanto siano riservate quelle relazioni e, più in generale, quanto accade negli istituti di pena. I fatti risalgono al 2020 e non riportano certo le conversazioni tra un terrorista e criminali mafiosi che parlano di carcere duro, ma fanno riferimento al semplice ritrovamento di un cellulare. 

Il cellulare e l’inchiesta

Nel settembre 2021, Gennarino De Fazio,  il segretario del sindacato Uilpa, la sigla della Uil che si occupa di polizia penitenziaria, viene ascoltato dagli ufficiali del nucleo investigativo regionale, gli agenti che si occupano delle indagini interne.

Gli investigatori indagano in merito a un comunicato diramato dal sindacato nell’ambito di un procedimento «penale della procura della repubblica presso il tribunale di Vibo Valentia, emesso dal comandante di reparto della casa circondariale di Vibo e dal comandante N.i.r. Calabria in data primo settembre 2021», si legge negli atti. 

E quali informazioni riservatissime erano contenute in quel comunicato? «Nel pomeriggio odierno la polizia penitenziaria del
reparto della casa Circondariale di Vibo Valentia al comando del commissario coordinatore, con una meticolosa operazione di polizia, ha rinvenuto un micro-telefono cellulare abilmente occultato negli orifizi intimi da un detenuto di origine campana del circuito
ad “alta sicurezza”», si leggeva nella nota stampa diffusa il 5 febbraio 2020.

Il comunicato continuava con le dichiarazioni del referente sindacale che esaltava l’operazione di rinvenimento e conteneva alcune critiche mosse all’organizzazione dell’istituto. Si concludeva così: «A quelle donne e quegli uomini il plauso e l’apprezzamento di tutta la Uilpa Polizia Penitenziaria». 

Per questo comunicato vengono ascoltati il referente regionale del sindacato e Gennarino De Fazio, segretario nazionale. La domanda che viene posta a entrambi dagli inquirenti è finalizzata a scoprire la fonte, chi aveva svelato ai sindacalisti la notizia del ritrovamento del cellulare.

Un approfondimento che non ha portato da nessuna parte, entrambi non ricordavano il passaggio di informazioni e così l’autore della ‘soffiata’ è rimasto anonimo. Sono passati tre anni da quella convocazione come persone informate sui fatti e non ci sono stati ulteriori risvolti. 

Un precedente che spiega la delicatezza, ma soprattutto la riservatezza di quanto accade negli istituti di pena, nel comunicato non c’era alcun riferimento al nominativo del detenuto eppure ha originato un’indagine. 

«Confermo, che i fatti sono andati come lei ha ricostruito. Esprimo ora come allora, peraltro, grossa sorpresa per un’indagine conseguente a un comunicato, come tanti se ne leggono, che dava notizia del mero ritrovamento di un telefono cellulare, dopo che era stato contestato e dunque dopo che la notizia stessa era inevitabilmente conosciuta anche dal detenuto che lo aveva con sé illecitamente», dice Di Fazio. Il sindacalista aggiunge un altro particolare interessante: «All’epoca dei fatti, peraltro, il fatto (la detenzione di un telefono cellulare in carcere) non costituiva neppure reato, atteso che la fattispecie è stata prevista come illecito penale solo dall’ottobre del 2020. Insomma, a noi è sembrato più come un maldestro tentativo di mettere il bavaglio al sindacato, un tentativo fallito», conclude. 

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