«Come illustratrice ho paura dell’intelligenza artificiale». L’intelligenza artificiale che si sta progressivamente integrando nei processi ha oggi un valore ambivalente, dice l’illustratrice Francesca Gastone, ospite di Michela Rossi al panel dell’evento di Domani. «Non ho mai visto così tante persone fare persone così basilari di scienza. Tantissimi stanno passando esami usando chatgpt, questo mi fa pensare che vedremo un’erosione del vocabolario con cui apprezzare l’arte, si va verso un modello di arte di bassa qualità, “fast food” e l’arte generata dagli umani sarà una cosa sempre più di nicchia» dice la divulgatrice Adrian Fartade. 

Nella prima giornata del festival che il quotidiano Domani sta dedicando alla cultura, all’arte, al cinema, alla musica e alla letteratura “Le sfide di Domani”, al Teatro Franco Parenti di Milano, Adrian Fartade e Francesca Gastone moderati da Michela Rossi si confrontano sull’intelligenza artificiale e sulle conseguenze sulle illustrazioni e sui fumetti.

Diventa difficile capire perché gli umani siano insostituibili e continuino a essere interessante per i committenti: «È più facile avere un pubblico appiattito» dice ancora Gastone. Per essere disponibili a un investimento superiore c’è bisogno innanzitutto della capacità di riconoscere il valore aggiunto che può offrire un illustratore umano. «Creare una metafora è ancora quello che ci differenzia dall’intelligenza artificiale». 

Bruttezza ed emozioni

Altro tema, “il brutto”. Fartade spiega come l’intelligenza artificiale non sia capace a creare qualcosa di brutto o di sbagliato: «Nei prossimi anni potremmo assistere a un intero rovesciamento del concetto di bello o brutto, perché brutto sarà associato a “fatto da umani”, il che sarà un gigantesco dito medio a tutte le corporation». 

Il rischio è anche che le corporation utilizzino le informazioni che hanno su di noi per sapere quali tasti premere per suscitare le nostre emozioni, sostiene la divulgatrice. «Interagire con l’Ai sarà mille volte più facile e soddisfacente che farlo con gli umani». Una grossa arma nel periodo in cui l’umanità deve affrontare un’epidemia di solitudine. 

Rossi esplora anche il tema della regolamentazione necessaria per creare una intelligenza artificiale etica citando Egair, messa in piedi dall’illustratore Lorenzo Ceccotti. «Non so quanto sia etica l’Ia ma la comunità scientifica sta attuando tutta una serie di interventi propositivi nei suoi confronti»: la tecnologia non si può ignorare, ma va dato un argine. Anche perché, continua Gastone, «attualmente i dataset utilizzati dalle aziende non hanno interesse a includere le minoranze, motivo per cui bisogna intervenire dalla base». 

L’aspetto politico

La nuova tecnologia è inscindibile dai diritti, aggiunge Fartade. «Con l’intelligenza artificiale abbiamo anche la responsabilità di chiederci già da ora come vivranno gli umani in futuro. Pensiamo che si debba lavorare per vivere, se non lavori non ti meriti tutte le cose che servono per vivere. Questo è molto pericoloso perché le prime persone che saranno lasciate fuori saranno le più vulnerabili». Tra le prime categorie prese di mira ci sono gli artisti, dice la divulgatrice. «Possediamo sempre meno, tutto è in abbonamento, stiamo andando nella direzione in cui tutto sarà in affitto ed è già successo, quando eravamo servi della gleba. Il Ceo è un nobile, e se Zuckerberg ti concede un pezzo di terra digitale e tu ogni mattina devi produrre un contenuto per sopravvivere, tu sei un servo della gleba digitale». 

E poi, le manie social che lanciano la nuova tecnologia in maniera “pop”, per esempio con le immagini modificate à la studio Ghibli. Per Gastone, l’intelligenza artificiale consente la «democratizzazione della creatività» permettendo l’accesso anche a chi non se ne occupa quotidianamente. Ma l’altra faccia della medaglia per chi lavora nell’arte è il rischio di ridurre la propria produzione a un algoritmo riproducibile: insomma, serve un’analisi a livello di diritto d’autore. 

Rapportarsi con l’intelligenza artificiale rischia anche di semplificare sempre di più il linguaggio con cui l’utente si approccia allo strumento: tutto questo, in cambio di indicazioni decisamente povere. «La macchina ci dice di andare da A a B, ma quanto ci perdiamo nel percorso?» si chiede l’illustratrice. Anche per Fartade, «il processo (produttore) è la parte che ti rende diverso, perché ci metti la tua vita». 

Prospettive complesse e che cambiano in fretta. L’autenticità umana riuscirà a continuare a fare la differenza? La responsabilità di coglierla, però, dice Gastone, resta comunque in capo all’utenza. Accontentarsi del sentimento che un prodotto produce in noi, conclude Fartade, non basta: «Dobbiamo tornare a vedere gli artisti come persone che producono arte. Se perdiamo gli artisti, chi farà il canarino nella miniera? Questa nuova rivoluzione prende subito di mira gli artisti: c’è bisogno di persone che ci facciano sentire a disagio con la loro arte. La prossima volta che incontrate artisti che vi dicono quanto siete belli, sputategli in un occhio». 

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