Dietro alle procedure burocratiche ci sono le persone, quelle che ascoltano per ore e ore al giorno le storie drammatiche di violenza e sofferenza dei migranti che arrivano in Italia. Formalmente sono dipendenti pubblici come tanti, ma nei fatti non lo sono per niente. Le loro competenze, la loro esperienza e la loro professionalità possono cambiare la vita di molte persone. Sono i funzionari del ministero degli interni che esaminano le richieste di asilo, quelli che in pratica decidono se un essere umano è meritevole di restare nel nostro paese o meno. Il governo e l’Europa impongono la riduzione dei tempi di risposta da parte delle commissioni. Ma il personale è sempre meno. Molti dei funzionari usano una metafora per definire la loro situazione: come truppe tornate decimate dalla guerra. 

C’è chi dice no

Per far fronte alla sempre crescente pressione migratoria alla quale è sottoposta l’Italia lungo la rotta del Mediterraneo, il governo ha adottato e adotterà misure speciali, come, ad esempio, l’ampliamento della lista dei Paesi di origine ritenuti sicuri, su cui applicare le cosiddette procedure «accelerate» direttamente «in frontiera», con l’obiettivo di trattenere i richiedenti asilo provenienti da questi Paesi (ad esempio la Costa d’Avorio e la Nigeria) in centri chiusi, ancora in gran parte da individuare e/o allestire per l’intera durata della procedura di esame delle domande, che si vorrebbe rapidissima. Ma fanno i conti senza l’oste. Chi esaminerà concretamente  le migliaia di richieste di domande che vengono registrate in Italia? La Presidente della Commissione Europea in occasione della sua visita a Lampedusa ha accennato all’invio da parte dell’Unione di personale che supporti l’Italia che in questo momento non potrebbe farcela da sola. Ai funzionari specializzati del ministero degli Interni viene chiesto di accelerare i tempi di esame delle domande di asilo, aumentare il numero di interviste quotidiane e le relative decisioni, come se si potesse fare una semplice proporzione tra numero di ore lavorate e numero di colloqui effettuabili.

Sciopero

Loro non ci stanno. Stabilire se un richiedente asilo ha diritto o meno alla protezione richiede un colloquio approfondito e impegnativo che può durare anche molte ore. Un richiedente pakistano ad esempio potrebbe aver lasciato il suo paese per motivazioni economiche ma magari è appartenente alla minoranza cristiana e per questo è stato, o rischia di essere, perseguitato nel suo paese a maggioranza musulmana. La richiedente ivoriana soggetta a procedura accelerata perché proveniente da un paese di origine ritenuto sicuro potrebbe essere vittima di tratta di esseri umani o di matrimonio forzato o di mutilazione genitale femminile. In tanti richiedenti asilo egiziani partiti a causa della crisi economica ci potrebbe essere un Patrick Zaki.

«Pretendere che questi colloqui vengano svolti in fretta sarebbe come chiedere al medico di diagnosticare una malattia con una visita sommaria senza ricorrere ad esami specifici perché il pronto soccorso è pieno», dicono i funzionari che, viste le continue richieste mai ascoltate hanno proclamato uno sciopero generale, previsto per il 9 novembre.

I numeri richiesti mal si addicono al tipo di missione che hanno questi funzionari per cui non esiste una giornata tipo. Un giorno potrebbero trovarsi di fronte una donna vittima di violenza, l’altro una persona vittima di discriminazione per il suo orientamento sessuale. Ogni intervista ha una carica di emotività travolgente, una responsabilità precisa e molti di loro hanno scelto questo lavoro per passione e oggi si sentono traditi.

Ridotti all’osso

Il Ministero dell’Interno, nell’arco di cinque anni dalla loro entrata in servizio ha sfiancato e abbattuto il contingente di personale a tempo indeterminato altamente qualificato assunto con il concorso emanato dall’allora ministro Marco Minniti. Oggi, nel pieno dell’emergenza i numeri sono quasi dimezzati e questi lavoratori sono esasperati. Dei 427 che hanno superato il concorso (di cui i primi 250 vincitori entrati in servizio a maggio 2018 e i 177 restanti entrati in servizio a febbraio 2019) ne rimane attualmente poco più della metà.

Innanzitutto, puntando sul grande entusiasmo che avevano all’inizio, si sono visti imporre di intervistare tre richiedenti asilo ciascuno al giorno per più di un anno, in questo modo hanno contribuito ad abbattere in un arco di tempo brevissimo un arretrato di decine di migliaia di domande. Poi, con scarsissima lungimiranza, alla fine del 2019 il Ministero ha ritenuto di chiudere alcune sedi di Commissioni e dei circa cento colleghi perdenti posto una cinquantina sono stati ricollocati in altre sedi e tutti gli altri dirottati al Viminale o nelle Prefetture.

C’è poi la questione dell’etichetta «altamente qualificato» che è più forma che sostanza. L’inquadramento infatti è quello di un qualunque funzionario amministrativo senza possibilità di crescita professionale, avanzamenti di carriera e svantaggiati rispetto al funzionario tipo del Ministero, che può fare domanda per mobilità e quant’altro. Per tutte queste ragioni negli ultimi anni in molti se ne sono andati, han studiato per altri concorsi, cercato altri lavori, preso aspettative per dottorati e per lavorare con l’Unhcr La goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di amarezza e sconforto, è stato il Decreto Cutro, una norma che prevede la possibilità che a svolgere le funzioni di funzionario istruttore nelle Commissioni possa essere collocato un qualunque funzionario dell’amministrazione civile dell’Interno, successivamente formato in materia di protezione internazionale, senza che debba superare prima un concorso specialistico come il nostro. Nessun curricula specialistico quindi è più necessario per chi esamina le domande di asilo. Adesso basterà superare un concorso a crocette.

La stessa rappresentanza dell’Unhcr in Italia, nella nota tecnica di commento alla conversione del Decreto Cutro, si è detta preoccupata e ha raccomandato di “preservare l’altissimo livello di professionalità e specializzazione delle Commissioni Territoriali, tenuto conto delle loro specifiche responsabilità decisionali, al fine del mantenimento degli elevati standard di qualità del sistema raggiunti negli ultimi anni”.

Quattro governi in cinque anni ma la scarsa considerazione delle istanze da parte del Ministero dell’Interno è rimasta inalterata. Sono pochi questi lavoratori ma di fatto senza di loro il sistema di asilo rischia di bloccarsi nel pieno dell’emergenza.

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