Quella del 2025 è stata soprattutto l’edizione delle donne, di Jasmine Paolini e Sara Errani. Sinner sconfitto in finale da Alcaraz medita vendetta al Roland Garros. Ciò che colpisce del Foro italico è la straordinaria commistione tra sport e politica, un unicum al mondo
La festa è finita quando Jasmine Paolini e Sara Errani sono uscite dal campo dopo aver vinto il doppio, confermando il successo dell’anno scorso. Quella del 2025 è stata soprattutto l’edizione delle donne, di Jasmine e di Sara.
Il che a ben vedere è già una notizia visto che il settore femminile del tennis italiano è stato spesso accusato di non aver capitalizzato al meglio l’epoca d’oro di Schiavone Vinci e Pennetta; e negli stessi giorni in cui colei che, con buona pace di Simona Ventura, non è stata la più forte tennista italiana di sempre, Camila Giorgi, cerca una nuova vita all’Isola dei famosi.
La festa non ha avuto il suo climax finale perché Jannik Sinner ha scontato i tre mesi di assenza dal campo perdendo nettamente (7-6 6-1) la finale degli Internazionali d’Italia contro Alcaraz.
Un ko doloroso soprattutto per il netto crollo di condizione che Jannik ha accusato nel secondo set. Ma che non inficia ciò che si è detto fino all’altro ieri: i conti si faranno a Parigi dove Sinner tenterà di compiere un altro passo verso quell’obiettivo Grande Slam che il successo a Melbourne gli ha spalancato innanzi.
Mai come sulla terra del Foro è apparso chiaro che la rivalità fra i due sarà quella che terrà banco nei prossimi anni: ma proprio una sconfitta così dolorosa, conoscendo la forma mentis dell’altoatesino potrebbe rappresentare il carburante per cercare a Roland Garros una fulminante vendetta ai danni dello spagnolo: che è parso come per incanto tornare quello completo e debordante di inizio carriera.
Tuttavia il dato che emerge da questa edizione del torneo romano è un’altra e forse più clamoroso di quello che avrebbe rappresentato il successo di Sinner.
I mercanti fuori dal tempio?
Se è vero che “Porta a porta” è la terza camera dello Stato allora la Tribuna autorità del Centrale del Foro, l’ha quasi scalzata. Perché mentre il sipario cala sulle partite non scema affatto l’impatto anche visivo che il torneo romano e quel particolare settore del Centrale hanno lasciato sugli osservatori più attenti.
È indubitabile che, come ha più volte ricordato il presidente della Fitp Angelo Binaghi dall’inizio della sua millenaria reggenza, politici, aspiranti tali e lobbisti sono stati cacciati dalla succitata tribuna, alla stregua di mercanti dal tempio. Ma è altrettanto vero che non sono spariti tutti.
Al di là del Presidente Mattarella che al Foro c’era già stato e che stavolta ha scelto di presenziare alla finale femminile di sabato e non a quella maschile con Sinner in campo (una scelta che è impossibile non vedere pregna di significati culturali e politici: da un lato il privilegiare la prestazione femminile e sottolinearne l’assoluta parità con quella maschile: dall’altro magari ricordare lo sgarbo istituzionale di cui Sinner si rese protagonista quando non rispose all’invito di Mattarella al Quirinale pochi mesi fa giustificando la sua assenza con un’ insopprimibile necessità di riposo) in tribuna i politici ci sono stati: quelli voluti.
Salvini almeno due volte, l’amato Giorgetti, il capogruppo alla Camera di Forza Italia Barelli che incidentalmente è anche presidente (millenario pure lui) della Federnuoto e altrettanto incidentalmente nemico giurato di Malagò.
Oltre ovviamente al ministro Abodi, a Franco Carraro (che definire millenario è poco) al presidente della Camera Fontana e al ministro degli esteri Tajani. Più la pentastellata Chiara Appendino che della Fitp è vicepresidente e Francesco Soro, altro poulain di Giorgetti recentemente nominato ai vertici del Ministero dell’Economia, che con perfidia è stato posizionato, alla finale, nel posto a fianco di Giovanni Malagò. Del quale è stato scudiero al Coni e che poi ha “tradito” scegliendo di traslocare a Sport e Salute, non prima di un furioso e mai ricucito litigio.
Tutti strategicamente collocati a corona del presidente federale mentre quando è comparso il sindaco di Roma Gualtieri è stato collocato più a latere. Perché i fatti dicono che gli Internazionali non rappresentino più, ormai, un fatto tennistico. Binaghi ha sottolineato la perfetta armonia fra l’organismo che lui presiede e il governo Meloni e non è certo la prima volta che succede.
La politica della racchetta
Il torneo è assurto al ruolo di simbolo di una creazione imprenditoriale che travalica i confini del campo da tennis e che ambisce a superare qualsiasi altro esempio di commistione fra sport e politica cui abbiamo mai assistito.
Pochi anni fa ci si interrogava se Leonardo Bonucci fosse una sorta di ministro ombra visto che trattò lui per permettere il transito in giro per Roma del pullman con su la Nazionale che aveva appena vinto gli Europei (sul quale c’era anche Matteo Berrettini che aveva appena raggiunto la finale di Wimbledon): ora come non sospettare che l’artefice dell’ecosistema che ha avuto la sua epifania nei giorni scorsi a Roma sia se non un ministro in pectore (per quanto...) di certo l’utilissimo intelligente di cui il Meloni’s world ha bisogno per diffondere di sé un’immagine vincente?
Non esiste al momento qualcosa di simile, al mondo. Il tennis italiano ha il numero 1 al mondo da un anno. Una giocatrice, la Paolini, che è 4 al mondo che ha vinto singolare e doppio e visto come butta nel circuito femminile non si può escludere che pure lei la testolina riccioluta davanti a quelle di tutte le altre prima o poi la metta anche se magari per poco.
Un torneo che batte ogni record di incassi (360.000 spettatori quest’anno) e che ha trascinato il Comune di Roma ad accettare che il Centrale venga coperto superando i vincoli ambientali (il turbamento della skyline di Monte Mario) che fino ad oggi avevano impedito ogni intervento sulla struttura. Una Federazione che mira esplicitamente a diventare la prima d’Italia anche grazie all’inglobamento di padel e pickleball. Un presidente che è stato ricevuto in Vaticano con Sinner pochi giorni dopo l’elezione del medesimo, quando ancora i grandi della terra manco ci hanno scambiato un saluto.
Un giocatore (Sinner) che è ha goduto di una lunga intervista in prima serata su Rai 1 per mano del direttore del Tg1, secondo a godere di tale onore: il primo era stato il Papa (quello di prima). Un presidente che interviene direttamente sui palinsesti della prima rete del servizio pubblico portando lì il suo prodotto e che combatte una guerra a tutto campo addirittura contro il libero mercato accusando di ignominia il fatto che i diritti tv degli eventi sportivi vengano acquistati da pay tv: un governo alle corde in politica estera e in gravi ambasce nelle questioni interne può fare a meno di cavalcare, bene accetto, un fenomeno così che per di più si fa carico di un tema antico e spinoso come quello della diffusione dell’attività sportiva nelle scuole pubbliche? Non può. E difatti ne vedremo ancora delle belle.
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