Il 9 luglio quando Gkn, l’azienda del comparto automotive di proprietà del fondo britannico Melrose, ha ufficializzato l’avvio della procedura di licenziamento collettivo, inviando una mail ai 422 operai dello stabilimento di Campi Bisenzio, il loro primo pensiero è stato agire. Da quel giorno, infatti, in cinquecento – ci sono anche i dipendenti delle ditte in appalto – hanno indetto un’assemblea permanente davanti alla fabbrica con l’intenzione di far ripartire la produzione. Matteo Moro ha 44 anni e dal 1997 lavora in Gkn. «È stato tutto molto improvviso, eravamo poco consapevoli di quello che stava avvenendo, ma in modo spontaneo quella di andare in fabbrica è la prima cosa che ci è venuta in mente», dice.

A Campi Bisenzio stare a casa non è contemplato. «Noi stiamo qui perché siamo pronti a far ripartire la produzione anche domani», dice Matteo. Quello che traspare è la volontà di proteggere il luogo in cui si lavora, fisicamente: c’è chi sorveglia il perimetro per evitare che dall’esterno possano esserci intrusioni o atti di vandalismo, chi si occupa delle pulizie, della differenziata e chi, invece, prepara i pasti per i compagni. A turno, si collabora compatti. Inoltre, ci sono i macchinari da preservare: «Più persone si occupano della manutenzione. Ora le macchine sono ferme, ma in un’azienda grande e complessa come la nostra bisogna sempre monitorare ed evitare il loro deterioramento». Gkn nei mesi scorsi aveva deciso di investire sullo stabilimento toscano, acquistando nuovi macchinari, che tuttora sono imballati all’interno della fabbrica. «L’azienda ci aveva detto che con l’arrivo di queste nuove tecnologie, saremmo diventati l’azienda più all’avanguardia del gruppo Gkn in tutta Italia, invece poi ha licenziato tutti», conclude Matteo. I sindacati temono che l’azienda possa prelevarli e portarli altrove: monitorare, dunque, significa anche difendere.

«Il presidio sta funzionando, c’è molta unione», conferma Massimo Barbetti, dipendente di Gkn da dieci anni. Lui non ha figli, ma molti suoi colleghi, spiega, ne hanno, «visto che l’età media è dai 40 ai 50». «Ricevere quell’avviso è stato uno shock, ma siamo stati bravi a rimetterci subito in piedi e avviare la lotta», aggiunge.

Il tavolo a Firenze

La volontà unanime è che Gkn ritiri i licenziamenti e faccia ripartire la produzione a Campi Bisenzio, molto diversa da quella dei due stabilimenti di Brunico, dove si producono motori elettrici e dove l’azienda sta investendo.

Nel pomeriggio di oggi, 4 agosto, in prefettura a Firenze, si è tenuto il tavolo “urgente” sulla vertenza Gkn. Al tavolo, durato oltre quattro ore, sono intervenuti dopo l’introduzione della viceministra per lo Sviluppo economico Alessandra Todde (M5s) che ha presieduto la riunione, i rappresentanti della regione Toscana, del ministero del Lavoro, del comune di Firenze, del comune di Campi Bisenzio, e i sindacati, mentre per l’azienda ha parlato, collegato in videoconferenza, l’amministratore delegato Andrea Ghezzi, che ha inizialmente confermato la decisione della proprietà di procedere con il licenziamento dei 422 dipendenti. Alla chiusura del tavolo Todde ha annunciato pubblicamente il ripensamento dell’azienda: «Abbiamo chiesto all’azienda un percorso che prevede 13 settimane di cassa integrazione, che non ha un costo per la società e ci permette di bloccare la procedura di licenziamento. L’azienda ha dato disponibilità a valutare un possibile percorso di interlocuzione». Todde ha aggiunto che è pronta a riconvocare un altro tavolo non appena i vertici aziendali forniranno una risposta. La viceministra ha precisato inoltre che «Gkn ha preso più di 3 milioni di euro di contributi pubblici negli ultimi anni. Se si prendono i soldi dello stato, si deve mantenere un atteggiamento coerente senza fare scelte unilaterali e coinvolgendo per tempo le istituzioni». Gkn, infatti, come anticipato da Domani, in Trentino ha ottenuto più di 2 milioni e 600mila euro per interventi necessari alla produzione, in Toscana, 139mila.

Sulle orme della Francia

Partendo dal caso Whirlpool a Napoli, i sindacati confederali hanno chiesto al governo di approvare in tempi rapidi una norma che impedisca alle multinazionali estere di delocalizzare la produzione all’improvviso. Tuttavia, qualora questa norma dovesse essere approvata, non avrebbe efficacia retroattiva. Palazzo Chigi aveva fatto sapere di aver preso in carico la questione, mentre fonti ministeriali denunciano la poca cooperazione della presidenza del Consiglio, che sembrerebbe aver lasciato tutto in mano al Mise.

Sono infatti allo studio da parte del ministero e in particolare della viceministra Todde alcuni strumenti utili per cercare di mettere un argine alle delocalizzazioni. La legge prende spunto dalla cosiddetta “legge Florange” francese. Tra le proposte all’interno quella di comunicare ogni scelta in maniera preventiva alle istituzioni, quella di convocare un tavolo istituzionale, quella di redigere un piano di reindustrializzazione, prevedere sanzioni pari al due per cento del fatturato, obbligare le imprese all’utilizzo forzoso degli ammortizzatori nel caso in cui non rispettino la procedura, obbligare la comunicazione con anticipo ai soggetti istituzionali se si vuole chiudere. Ma con le vacanze estive alle porte rischia di slittare tutto a settembre.

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