Nell’Uttar Pradesh l’associazione Pangea organizza corsi di formazione per sottrarre le donne al giogo culturale ed economico del patriarcato. Così imparano un mestiere, hanno accesso al microcredito e entrano a far parte di una rete capace di liberarle dal controllo dei maschi
Guidano il risciò tra le strade polverose dell’Uttar Pradesh, ma a stringere i manubri sono mani con l’henné. Anita, Kamala e Sunita, tre donne indiane che vivono nei villaggi rurali, stanno scrivendo la storia della loro comunità, tra gli sguardi scettici degli uomini. Quel mezzo a tre ruote ora non è più soltanto un veicolo: è uno strumento di emancipazione.
Così la parità di genere passa anche per uno dei mezzi di trasporto più diffusi. «Insieme alle altre donne del villaggio abbiamo partecipato al corso di formazione di Pangea», racconta Kamala, spiegando come il desiderio di avviare un’attività redditizia l’abbia spinta ad affrontare i tabù che esistono sulle figure femminili che guidano veicoli. Anita invece confessa di non aver mai saputo nemmeno andare in bicicletta: «Ora che ho imparato a guidare il risciò, terrò un corso per insegnare alle altre come condurlo». E poi Sunita, tra le più decise, tanto che sta cercando di convincere il marito ad acquistare un mezzo per avviare un’attività familiare.
Formazione e microcredito
Mentre nel Kashmir si riaccendono le tensioni con il Pakistan, dall’altra parte dell’India donne e associazioni combattono una guerra diversa, meno visibile ma non per questo secondaria: quella contro la violenza di genere, la discriminazione e la povertà. Gli strumenti a disposizione non sono armi, ma microcrediti, educazione e diritti.
«Mio marito mi ha picchiata fin dall’inizio del matrimonio. Non mi ha mai dato denaro per la casa, neppure quando si è sposata nostra figlia»: a parlare è Kiran, una donna che vive in un villaggio nei pressi di Varanasi, città sacra per l’induismo, dove il fiume Gange è il cuore dei riti di purificazione. Come molte altre donne – soprattutto le più giovani –, è stata vittima di abusi e ha avuto paura di dire la verità. Racconta di aver provato a denunciare alla polizia le continue violenze, ma nulla è cambiato.
Poi è entrata a far parte di un progetto di Fondazione Pangea ETS, che coinvolge circa mille donne analfabete in 15 villaggi di Varanasi, dove il 60 per cento delle famiglie vive con 50 rupie al giorno (circa 35 centesimi). In uno spazio di condivisione creato dall’associazione, il viso di Kiran era gonfio e con una ferita, ma è solo nella sessione successiva che ha ammesso di aver subito violenza domestica.
Ora quella fase è finita. «Finalmente ho potuto lasciarmi tutto alle spalle per concentrarmi sui miei figli», dice, e aggiunge: «Ma è stato possibile solo grazie a un avvocato e a un consulente, con cui ho deciso cosa fare».
Spose bambine
Per quanto il paese si sia impegnato nel ridurre il divario economico e di genere, i dati negativi superano ancora i progressi. Secondo il Multidimensional poverty index 2024 delle Nazioni Unite, l’India ha il più alto numero di poveri multidimensionali: 234 milioni di persone. È una condizione che non riguarda solo il reddito, ma anche l’accesso a salute, istruzione, acqua potabile, elettricità e servizi igienici.
Nonostante ciò, ci sono piccoli progressi nel suo sviluppo umano: nel 2023 è salita di tre posizioni rispetto all’anno precedente, portandosi al 130° posto su 193 nell’Indice di Sviluppo umano dell’Undp. Dal 2022, invece, ha fatto un balzo di sei posizioni nel Gender Inequality Index del 2025, portandosi alla 102° posizione su 193 nazioni. Sono numeri che suggerirebbero una traiettoria positiva, ma le vite di queste donne raccontano altro.
Per questo i progetti ai quali hanno partecipato sono piccole, ma vere rivoluzioni, in una realtà con il più alto numero di unioni precoci. Secondo l’ultima indagine su scala nazionale (Nfhs 2019–21) infatti, una donna su quattro è stata costretta al matrimonio prima di aver compiuto 18 anni. L’India detiene ancora il triste primato del più alto numero di spose-bambine al mondo, con l’Uttar Pradesh che rappresenta l’epicentro del fenomeno.
Libertà economica
«In situazioni dove la povertà è endemica e con istituzioni deboli – per chi è vittima di violenza è difficile accedere alla giustizia – c’è bisogno di rafforzare le donne economicamente – spiega Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea Ets – perché ciò garantisce indipendenza e libertà di scelta, sia a loro che alle figlie». Queste ultime tengono la contabilità dei progetti, costruendo la propria autonomia in un percorso di empowerment come nuove protagoniste delle generazioni future.
I gruppi di risparmio e di microcredito rappresentano per loro un ascensore sociale. È qui e negli spazi di confronto che, negli anni, queste protagoniste del cambiamento hanno imparato non solo un mestiere (allevamento di capre, produzione di spezie, corsi di alfabetizzazione digitale), ma anche a curarsi. Come Asha, che ha avuto un forte dolore al petto ed è riuscita a individuare la causa dell’infezione tramite il parere del personale medico dei campi sanitari costruiti dal progetto. Tutte le spese sono state coperte, poiché lei non è mai stata indipendente. Ora sta bene, ma ha una nuova consapevolezza: con i soldi in mano alle donne, la cultura patriarcale ha sempre meno voce.
© Riproduzione riservata



