«Siamo sconcertati», è il commento che arriva dalla famiglia di Mario Paciolla, il 33enne napoletano che era in Colombia come operatore delle Nazioni unite in missione di pace e che è stato trovato morto il 15 luglio 2020 nel suo appartamento a San Vicente del Caguan.

Dopo oltre due anni di silenzi, resi ancor più impenetrabili dalla scarsa collaborazione dell’Onu e dalla debole azione del governo italiano, ora la procura di Roma conclude le sue indagini nel modo più indigeribile per Anna Motta e Giuseppe Paciolla: chiede l’archiviazione del caso ed emette un responso che accredita la versione del suicidio. Versione alla quale chi era vicino a Paciolla non ha creduto sin dall’inizio, e che appare seriamente delegittimata dalle operazioni di depistaggio emerse dopo la morte dell’operatore Onu.

La famiglia Paciolla annuncia battaglia.

Cosa dice la procura

Questo mercoledì è stata notificata la richiesta di archiviazione dell’indagine sulla morte di Paciolla. I magistrati romani avevano aperto un fascicolo per omicidio contro ignoti, e sono state effettuate anche rogatorie per raccogliere informazioni sia dalla Colombia che dall’Onu. Ma con la richiesta di chiusura del fascicolo la procura conclude che «le verifiche svolte in questi anni non hanno portato ad elementi concreti su questa ipotesi». Per gli inquirenti la strada più accreditata resta quella del «gesto volontario».

La reazione della famiglia

Questo il commento della famiglia Paciolla: «Siamo sconcertati nell’apprendere la notizia della richiesta di archiviazione depositata dalla procura di Roma per l’omicidio di nostro figlio Mario. Noi siamo certi, anche per le indagini che abbiamo svolto, che Mario non si è tolto la vita. Ci opporremo a questa richiesta di archiviazione e ad ogni altro tentativo di inibire o intralciare la nostra pretesa di verità e giustizia».

Contro l’ipotesi del suicidio

La famiglia ha respinto da subito l’ipotesi del suicidio. «Non ci crediamo, Mario era un amante della vita», ha sempre ribadito il papà Giuseppe. «Ma la cosa più importante è che mio figlio aveva un biglietto in tasca di ritorno in Italia per il giorno 20 da Bogotà. Il volo era un volo umanitario vista la pandemia e solo l'Onu poteva preparargli i documenti per la partenza».

Il corpo di Mario viene trovato senza vita poco prima del rientro a casa dalla famiglia, dove Paciolla voleva tornare per paura. Prima di morire, aveva riferito ai genitori di essersi scontrato coi capi missione. Durante una telefonata con la famiglia, Paciolla raccontava di aver sbottato con alcuni suoi capi; riferiva di aver parlato chiaro e di essersi «ficcato in un guaio». «Mi vogliono fregare, mi sono ficcato in un guaio». Da qui il volo prenotato per tornare a Napoli.

Ma la morte arriva prima. «Non erano passate 24 ore dalla consegna a New York dell’ultimo rapporto della missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia quando uno dei tuoi colleghi ti ha trovato morto, mio amico poeta», scriveva l’amica e giornalista colombiana Claudia Julieta Duque due anni fa. La paura che Mario Paciolla prova nei giorni che precedono la sua morte è legata a quello che succede all’interno della sua missione Onu.

«Mio figlio era terrorizzato», riferisce la madre, Anna Motta, dall’estate 2020. L’inquietudine di Mario era legata a «qualcosa che aveva visto, capito, intuito».

Luglio 2020 è tempo di pandemia, e per poter volare fino in Italia bisogna appoggiarsi a un volo umanitario, servono i documenti per la partenza «e solo l’Onu poteva prepararli a mio figlio», come ha raccontato Giuseppe Paciolla. Questo significa anche che «solo l’Onu sapeva che Mario aveva un biglietto in tasca per tornare in Italia il 20 da Bogotà».

Dopo la morte

L’Onu ha inquadrato subito, anche nei suoi registri, la morte di Paciolla come un suicidio.

All’epoca il colonnello colombiano Oscar Lamprea riferisce che «la morte è avvenuta in circostanze poco chiare», parla di lacerazioni sui polsi. Sui media locali rimbalza l’ipotesi del suicidio per impiccagione, ma ci sono molte incongruenze. «Le autorità continuano a non fornirci informazioni ufficiali su questa morte», scrivono all’epoca i cronisti colombiani sul posto.

Due anni fa è l’Onu a comunicare alla famiglia che il ragazzo «si è suicidato», chiede l’autorizzazione per l’autopsia, dice che all’esame prenderà parte un certo Jaime Hernan Pedraza: ai familiari viene riferito soltanto che è un medico legale autorizzato, ma non che è il capo del dipartimento medico della missione Onu. A fine luglio 2020 anche la Farnesina dice a Domani che «all’esame ha partecipato un medico di fiducia della missione».

C’è quindi una prima autopsia, in Colombia, la pratica un medico colombiano ma assiste anche il medico Onu. L’autunno seguente l’esito filtra sulla stampa colombiana: «La morte è compatibile con il suicidio», si parla di soffocamento.

Il corpo di Paciolla arriva in Italia il 24 luglio 2020, e l’autorità giudiziaria a Roma dispone un’altra autopsia. Ma in Colombia il corpo è partito ricomposto, ricucito, svuotato degli organi e riempito.

Il verbale dell’autopsia colombiana arriva in Italia con insolito ritardo; passano settimane prima che a Roma si possano leggere le note di chi ha effettuato la prima analisi.

Il «depistaggio»

Uno degli ultimi contatti avuti da Paciolla è stato con il responsabile sicurezza della missione, Christian Thompson, di cui Mario non si fidava più. Dopo la morte comincia «il depistaggio dell’Onu», come lo chiama la famiglia.

«Violazione di domicilio, usurpazione di funzioni pubbliche, occultamento, alterazione e distruzione di prove» sono i termini della denuncia presentata dai genitori Paciolla nel luglio 2022 alle autorità colombiane. La denuncia coinvolge anche quattro poliziotti colombiani, per quel che a Thompson lasciano fare, e un altro funzionario Onu, Juan Vásquez García, anche lui sul posto.

Il posto è l’appartamento di Paciolla, dove il corpo senza vita viene ritrovato. Non è un appartamento dato in dotazione dall’Onu, sottolineano i genitori, il che rende ancor più anomala la mossa di Thompson che, nei momenti cruciali per l’accertamento della verità, «tiene le chiavi della casa in suo possesso, mantiene il controllo dell’accesso alla casa, e lo fa fino a tre giorni dopo, nonostante gli fosse stato chiesto di lasciare il luogo», recita la denuncia.

Il gesto più eclatante di depistaggio da parte di Thompson è quello di ripulire con candeggina la scena, la casa di Paciolla. Ma le anomalie sono numerose, e vanno dalle tracce cancellate ai documenti sottratti. Elementi cruciali per un’indagine non vengono acquisiti nel modo appropriato dai poliziotti sul posto.

La denuncia dei genitori ricostruisce che «il materasso e altri oggetti con liquido che sembrava sangue sono stati trasferiti in un veicolo ufficiale Onu fino a una discarica, dove sono stati fatti sparire di nascosto».

Risultano tuttora scomparsi l’agenda e i quaderni dove Paciolla annotava pensieri e fatti, magari anche ciò che «aveva visto, capito, intuito» e che lo aveva sconvolto.

Sono rimasti almeno i dispositivi informatici? «Per quel che sappiamo – ha detto la mamma di Paciolla – il pc e il cellulare personali li ha la procura colombiana, ma quelli di servizio li ha l’Onu». Il mouse è stato rinvenuto, insanguinato, nella sede della missione Onu, stando alla giornalista Duque.

Il ruolo dell’Onu

Le Nazioni unite, che a Domani avevano detto di garantire «piena collaborazione», a chi è dentro il caso non sono parse affatto collaborative.

Quest’estate l’avvocata dei Paciolla lo ha detto pubblicamente, mentre la Farnesina lo ha fatto intendere nelle sue risposte a Domani: è stato necessario «sollecitare i competenti organismi delle Nazioni unite a una maggiore collaborazione da parte della missione in Colombia».

Nel 2021 Thompson è stato promosso a capo nazionale del Centro operazioni di sicurezza Onu, e da qui ha assunto ancor più margine di azione, anche in relazione a una vicenda che Duque ritiene cruciale. Nell’autunno 2019 l’allora ministro della Difesa colombiano si è dimesso dopo che un senatore ha mostrato le prove di un bombardamento che ha colpito anche bambini. Dalla ricostruzione di Duque, Paciolla avrebbe lavorato ai report che lo documentavano, e «per decisione di Raul Rosende, direttore della missione in cui era impegnato Mario, alcune sezioni del report sono finite nelle mani del senatore».

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