«Tempi brevi» per la verità. È la promessa formulata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio a luglio di due anni fa, quando Mario Paciolla, il 33enne napoletano che si trovava in Colombia come operatore delle Nazioni unite, è stato trovato morto. A due anni di distanza la verità ancora latita. E il governo italiano? L’ultima occasione nella quale Di Maio si espone risale a ben nove mesi fa.

Il muro dell’Onu

Stando alle risposte della Farnesina, il ministro cita il caso Paciolla a ottobre, quando la sua omologa colombiana è a Roma, e prima ancora a settembre, quando lui è a New York per la 76esima assemblea generale dell’Onu. In quell’occasione Di Maio chiede al segretario António Guterres «la collaborazione dell’Onu per la ricerca della verità».

Richiesta che a quanto pare è necessario ribadire: per la verità sul caso, è necessaria la collaborazione non solo delle autorità colombiane, ma anche del palazzo di vetro, che in questo caso tanto trasparente non è. Nel caso Paciolla il ruolo dell’Onu, e quindi la capacità o meno del governo di ottenere trasparenza, è dirimente. Prima di morire, Mario riferisce ai genitori di aver discusso con la sua missione Onu in Colombia, coi capi. Crede di essersi «ficcato in un guaio», ritiene la Colombia non più sicura per lui, e si prepara a un volo per Napoli. Che non fa in tempo a prendere: viene trovato morto prima.

Le Nazioni unite danno alla famiglia la versione del suicidio, e l’autopsia – come all’epoca la Farnesina sa e conferma – viene affidata al medico della missione Onu. Il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Mario nel suo appartamento in affitto, il responsabile sicurezza della missione Onu prende da lì alcuni oggetti; a chi lo incrocia, dice che è perché lì ci sono informazioni importanti. Pulisce, candeggia la casa dove stava Mario. Si chiama Christian Leonardo Thompson, è uno degli ultimi contatti telefonici di Mario prima che muoia, è una persona di cui negli ultimi tempi Paciolla non pare fidarsi, e un anno dopo la morte del ragazzo, nonostante nel frattempo la procura colombiana abbia aperto un’indagine sul repulisti della scena della morte, Thompson è promosso a capo nazionale del centro operazioni di sicurezza Onu. Ruolo dal quale ha ancor più margine di azione, sia perché è lui a riferire alla procura locale delle attività di Mario, sia perché riceve report e registra eventuali incidenti. «Non aspettatevi che la verità venga fuori presto, perché il caso coinvolge più attori, non solo i governi ma pure le Nazioni unite», dice profeticamente un funzionario ai vertici della Farnesina, a Domani, nell’autunno 2020.

Ma Di Maio pochi mesi prima ha promesso verità in «tempi brevi». Cosa fa per ottenerla? Dalle risposte della Farnesina risulta che all’inizio il ministro «solleva il caso con Guterres», stessa cosa fa l’allora premier Giuseppe Conte all’assemblea Onu di settembre 2020. Si arriva quindi a settembre 2021, e all’assemblea seguente. Dove Di Maio «ha chiesto la collaborazione dell’Onu» e ha ricevuto rassicurazioni da Guterres.

A settembre 2021 in teoria l’indagine avviata dalla procura di Roma dovrebbe essere già agli sgoccioli, o almeno così viene detto all’epoca. Una richiesta di rogatoria è già partita verso il palazzo di vetro l’autunno precedente. Come mai quindi la «verità rapida» non c’è ancora, e Di Maio parla con Guterres? Torniamo alle risposte della Farnesina. «Parimenti importante il ruolo svolto dalla nostra rappresentanza a New York, in particolare nel sollecitare i competenti organismi delle Nazioni unite a una maggiore collaborazione da parte della missione in Colombia». A quanto pare, quindi, è necessario un sollecito.

Nel frattempo niente di trasparente è divulgato dall’Onu sull’indagine interna che, nell’estate 2020, ha detto di aver avviato. Al nostro governo «non risultano riscontri formali dall’Onu a riguardo». Il portavoce di Guterres, interpellato da Domani, dice che «non condividiamo gli esiti di processi interni, ogni informazione rilevante sul caso è stata condivisa con le autorità nazionali competenti».

I rapporti con la Colombia

Il ruolo dell’Onu si intreccia con quello del governo colombiano. Stando alle ricostruzioni dell’amica di Mario, e giornalista, Claudia Julieta Duque, Paciolla aveva lavorato ai report che documentavano l’uccisione di bambini durante un bombardamento. Nell’autunno 2019 il senatore Roy Barreras scatena lo scandalo sul bombardamento, costringendo il ministro della Difesa Guillermo Botero a dimettersi. Dalle ricostruzioni di Duque, è per decisione di Raul Rosende, direttore della missione di Mario, che alcune sezioni del report sono finite in mano al senatore. Quest’ultimo a marzo 2021 dice a Domani di averle ricevute da «un militare pentito». Ambiente che Thompson, l’incaricato Onu, non può non conoscere, visto che dal 2001 al 2006 è stato sottufficiale dell’esercito colombiano. Ad ogni modo Barreras racconta che «qualche giorno dopo le dimissioni del ministro, i vertici dell’esercito mi hanno interrogato, volevano sapere da chi avevo avuto le informazioni sul bombardamento». Andavano in cerca di un informatore. «Dopo la morte di Mario ho appreso che circolavano false voci su di lui». Paciolla come capro espiatorio, è l’ipotesi di Barreras: «Non credo che si sia suicidato».

Su questo la procura di Roma sta ancora indagando, non è ancora filtrato nemmeno l’esito della seconda autopsia, svolta in Italia nell’estate 2020. Le rogatorie verso la Colombia «sono state tutte evase dalle autorità di Bogotà», dice la Farnesina. Ma al di là del ruolo svolto dall’ambasciata a Bogotà per favorire la cooperazione tra le autorità giudiziarie dei due paesi, quale pressione è stata fatta ai vertici per ottenere «verità in tempi brevi»?

L’ultimo intervento diretto del ministro degli Esteri risale a molti mesi fa. Eppure i rapporti tra i due governi paiono squisiti. L’incontro di ottobre tra Di Maio e l’allora vicepresidente colombiana spinge un accordo di protezione degli investimenti. «La Colombia è considerata il nostro miglior alleato dell’area, nostro e degli Usa», dice lo storico dell’America Latina Gennaro Carotenuto. Resta un partner anche nella primavera 2021, quando il governo colombiano reprime con la violenza le proteste di piazza. «Sono stati accertati omicidi, stupri, e non ricordo nessuna parola di ferma condanna da parte del nostro governo», dice Riccardo Noury di Amnesty. La Colombia «è il paese più pericoloso al mondo per i difensori dei diritti umani, nel 2021 ne sono stati uccisi 138».

Nell’estate della morte di Mario, Di Maio fa una manciata di telefonate al governo colombiano. Alza il telefono di nuovo per l’anniversario della morte nel 2021. Poi lui e la sua vice Marina Sereni «sollevano la vicenda» – a quel che riferisce la Farnesina – in occasione degli incontri bilaterali con la Colombia. L’ultimo dei quali risale però allo scorso autunno.

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