«Se passasse il disegno di legge del governo, io questo diritto non lo avrei mai avuto. E neppure tante altre persone nelle mie condizioni». Parla piano Laura Santi, con lucidità. Giornalista perugina, malata di sclerosi multipla, consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni. Ci ha messo tre anni per ottenere l’autorizzazione a esercitare un diritto sancito dalla Corte costituzionale. Ora è libera di decidere se e quando procedere alla morte volontaria assistita. Una denuncia netta, che arriva mentre in Senato le commissioni Giustizia e Affari sociali prorogano al 17 luglio il termine per presentare gli emendamenti al testo base del governo sul fine vita.

Quel disegno di legge, presentato dall’esecutivo Meloni, come già raccontato da Domani, non recepisce la sentenza 242 della Corte Costituzionale del 2019, non riconosce pienamente quanto già oggi è possibile per via giurisprudenziale. Anzi: lo restringe. Limita l’accesso alla morte volontaria assistita, prevede tempi incompatibili con la condizione di chi soffre e delega le decisioni a organi di nomina governativa, sottraendole al Servizio sanitario nazionale.

Esclude i malati che dipendono da farmaci salvavita o da assistenza familiare, riducendo drasticamente la platea degli aventi diritto. Per Laura Santi: «Una legge che, sotto sotto, vuole cancellare diritti già esistenti». La sua storia è prova di quanto già oggi il percorso sia incerto.

La battaglia per il fine vita

La sentenza Cappato-Dj Fabo ha stabilito principi chiari: chi è affetto da una patologia irreversibile, con sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, pienamente capace di decidere e dipendente da trattamenti di sostegno vitale, ha diritto al suicidio assistito. Ma le regioni si muovono in ordine sparso, molte Asl non hanno protocolli, i comitati etici si rifiutano di esprimersi. Chi chiede accesso alla procedura, spesso aspetta anni.

Laura ci è riuscita. Ma «penso a chi è completamente tetraplegico, come me, ma non può neppure muovere la bocca. La proposta di legge popolare che stiamo per depositare in Senato permetterebbe anche l’aiuto medico diretto, in questi casi. Una forma di eutanasia attiva, sì, ma regolata, controllata, scelta consapevolmente. È il minimo, in uno stato che si vuole civile».

Verrà depositata il 15 luglio. Porta le firme raccolte di oltre 50mila cittadini. È il secondo tentativo dell’Associazione Luca Coscioni: il primo, nel 2022, fu respinto dalla Consulta, che giudicò il quesito referendario «eccessivamente manipolativo».

Ora si riparte, mentre la politica parlamentare si arresta. Il Pd e il Movimento 5 Stelle, hanno chiesto di poter tenere alcune audizioni in commissione Affari costituzionali, sottolineando l’esigenza di avere pareri di costituzionalità sul testo della maggioranza. Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, ha detto chiaramente che non verrà accettata alcuna manovra dilatoria: «Lo Stato non può essere in fuga, ma deve accompagnare chi fa una scelta così difficile». Per Noi Moderati, Mariastella Gelmini, da una diversa posizione, riconosce che «serve una legge», pur avvertendo che «non esiste un diritto al suicidio assistito».

Marco Cappato ricorda ai parlamentari che «il suicidio assistito è legale in Italia da sette anni, dopo le sentenze della Corte costituzionale. Nella clandestinità, il rischio di pressioni indebite sui malati è molto più alto che nella legalità», dice parlando di abbandoni e suicidi disperati. Ma secondo quanto si apprende, il testo del governo tra slittamenti e audizioni arriverebbe all’esame entro la sentenza della Consulta sull’impugnazione da parte del governo della legge della Toscana, che in Parlamento – in un approssimativo pour parler – ipotizzano possa avvenire tra settembre e fine anno.

L’intervento di un medico

Ma il tempo, per chi soffre, ha un altro passo. E il mondo fuori dalle stanze di palazzi si muove. L’otto luglio la Corte costituzionale ha affrontato il caso di Libera, 55 anni, sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata. Ha tutti i requisiti richiesti dalla sentenza 242, ma non può autosomministrarsi il farmaco. Chiede che lo faccia un medico. La sentenza arriverà nelle prossime settimane. È qui il nodo più grave del testo governativo: il divieto assoluto di intervento attivo da parte di un sanitario esclude chi non ha più alcuna autonomia motoria. E sancisce, nei fatti, una disuguaglianza tra malati.

La proposta dell’Associazione Luca Coscioni prevede che il Servizio sanitario verifichi le condizioni entro 30 giorni, che il medico possa aiutare chi è totalmente paralizzato, che il diritto non dipenda da cavilli burocratici ma da condizioni di sofferenza reali, irreversibili. La verifica sarebbe affidata a commissioni cliniche, non a giudici. I medici potrebbero partecipare su base volontaria, nel rispetto dell’obiezione di coscienza.

«Non si tratta di estremismo, ma di garantire la libertà di scelta, proteggendo davvero i malati dalle pressioni che nella clandestinità si trasformano in violenze silenziose» dice il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. Laura Santi non è sola. Dietro di lei, migliaia di persone attendono risposte. Alcune non possono più aspettare. «Confido nelle persone di buon senso. Confido negli amici dell’Associazione Coscioni, che fanno una cosa semplicissima: cercano di far prevalere in Italia le ragioni della libertà, nient’altro».

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