Era il 1943 quando Antoine De Saint-Exupéry scrisse Il Piccolo Principe (ancora oggi tra i libri più venduti) e catturò i lettori affermando la filosofia dell’essenziale invisibile agli occhi, dello sguardo puro: ciò che ogni bambino istintivamente sa e che, poi, deve lasciare andare per imparare a vivere nel mondo degli adulti.

Difficile allora immaginare quanto quel principio, nei decenni successivi, sarebbe stato ulteriormente messo a dura prova dall’esplosione del quarto potere: quanta malinconia avrebbe scatenato il ribaltamento di quella visione per cui, invece, l’essenziale è diventato ciò che si mostra, che riesce a entrare nei palinsesti televisivi e nei circuiti dell’informazione che conta. Anche nello sport. Ci sono infatti svariati modi per classificare le discipline sportive: individuali, di squadra, olimpiche, non olimpiche, estive, invernali e molti altri. Tuttavia il criterio che ne costituisce la gerarchia è l’esposizione mediatica, perché la televisione non si limita a raccontare il mondo, lo costruisce.

Ormai lo sappiamo bene: se qualcosa viene trasmesso in prima serata assume automaticamente un valore superiore rispetto a ciò che viene relegato a fasce meno prestigiose. Se un evento è promosso dai principali canali informativi, diventa una questione di interesse pubblico. Se un personaggio riceve attenzione continua, la sua rilevanza cresce, indipendentemente dal reale impatto o merito.

Il quarto potere determina le priorità culturali, sociali e perfino politiche. Così si plasma l’immaginario collettivo. Ciò che non viene mostrato non esiste. Ciò che non viene nominato non ha rilevanza. È in questa logica che si inserisce la polemica scoppiata sulla programmazione delle partite del Roland-Garros.

I numeri della diseguaglianza

La Night Session, introdotta al Roland-Garros nel 2021, prevede che ogni giorno del torneo si disputi in fascia serale (con inizio alle 20.15) un incontro sul campo centrale, il Court Philippe-Chatrier: presumibilmente la partita di maggiore attrazione tra quelle in programma (verosimilmente perché poi, in qualsiasi torneo, chi veramente passerà ai turni successivi si può solo supporre statisticamente, non certo definire con un esercizio di preveggenza). Il non velato intento dell’iniziativa è spingere la massima visibilità per garantire il maggior ritorno pubblicitario.

Da allora solo 4 incontri su 43 hanno visto protagoniste le donne: gli organizzatori hanno deciso che la partita migliore della giornata era una partita maschile nel 91 percento dei casi. L'ultimo match femminile disputato in questa fascia oraria risale al 4 giugno 2023, un ottavo di finale tra Aryna Sabalenka e Sloane Stephens.

La diatriba dunque non è nuova ma l’occasione per riaccenderla in questa edizione l’ha offerta (lo scorso mercoledì) la necessità di sostituire la partita del torneo maschile tra Gaston e Shelton, annullata a causa del ritiro del francese. La scelta è caduta su un match di uomini tra la decima testa di serie, Holger Rune e il numero 137 al mondo, Emil Nava, anziché sull’interessante scontro tra due campionesse Slam come Iga Swiatek ed Emma Raducanu.

Il giornalista e podcaster statunitense, Ben Rothenberg, ha dato il via alla polemica facendo notare che: nonostante la direzione del torneo sia affidata a una donna icona del tennis francese, Amélie Mauresmo, nonostante la pianificazione del calendario appaia perfettamente all’insegna della parità (si alternano sul centrale quattro partite al giorno, due del tabellone femminile e due del tabellone maschile) la distribuzione relega le prime alle fasce orarie di minore appeal. Le dichiarazioni rilasciate dal presidente della federazione tennistica francese hanno peggiorato la situazione: «A volte dobbiamo pensare a cosa potrebbe essere meglio per gli spettatori, dobbiamo fare delle scelte».

Il parere di chi ha vissuto la propria carriera in uno sport che si guadagna un po’ di visibilità ogni quattro anni in occasione dei Giochi olimpici e solo se prende una medaglia, è che il tennis anche al femminile gode di grande visibilità. Per intenderci: il campionissimo del nuoto Gregorio Paltrinieri, sebbene maschio, non ha maggiore esposizione mediatica di Jasmine Paolini.

Ma la consolazione di guardare al peggio per avere conforto non porta lontano. Il tema riguarda le pari opportunità e con esse il valore sociale, non commerciale, dello sport agonistico. I Giochi olimpici 2024, i primi della storia all’insegna della perfetta parità nella partecipazione di atlete e atleti, ha permesso un’analisi oggettiva del problema anche dal punto di vista della rappresentazione (portrayal), uno dei cinque pilastri (insieme a partecipazione, leadership, sicurezza e allocazione risorse) delle linee guida con cui il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha cercato di modernizzate la sua immagine e, con essa, il modello di gestione del sistema sportivo.

Il canale di Whoopi Goldberg

L’Osservatorio di Pisa (nell’ambito di una ricerca del progetto 100 esperte) monitorando le notizie delle Olimpiadi parigine ha potuto confermare il rispetto dell’equilibrio di genere anche nella narrazione e nella rappresentazione che se n’è fatta ma ha altrettanto constatato quanto il confronto con gli altri eventi resti impietoso. Quindi l’idillio è esistito solo artificiosamente in quello specifico contesto, creato e controllato dai proprietari dei Giochi.

Non è un caso che pochi mesi fa l’attrice e attivista americana, Whoopi Goldberg, dopo 16 anni di impegno e lavoro per concretizzarlo, abbia lanciato l’All Women’s Sports Network (AWSN), il primo canale televisivo interamente dedicato allo sport femminile. Dunque quella del Roland-Garros è una polemica facile e l’oggetto del contendere datato e ben radicato nel sessismo che ha caratterizzato la storia dello sport; sono però le reazioni ad essa il risvolto più interessante.

Tra le tante, un paio che sembrano i due estremi della visione del Piccolo Principe: essenza e apparenza. A un estremo Ons Jabeur, tunisina, ex numero 2 al mondo, nota per lo stile di gioco creativo e vivace ma altrettanto nota per il suo attivismo in favore dei diritti delle donne e delle atlete. «È una vergogna» ha detto sottolineando l’ipocrisia del sistema che opera scelte in funzione di ciò che i tifosi vogliono vedere e denunciando l’ingiustizia per cui se a essere mostrato è solo il tennis maschile, il circolo vizioso di disparità non avrà mai fine.

Per lei, prima tennista di vertice del mondo arabo, impossibile scindere l’impegno agonistico dalla sua importante ricaduta sull’emancipazione femminile; così come le risulta difficile non riconoscere, nelle pari opportunità, il fondamentale presupposto della meritocrazia: perché senza un accesso equo alle risorse e alle possibilità, talento e impegno restano condizionati dalle barriere strutturali. All’altro estremo i giornalisti che si sono buttati sulla notizia.

Su di loro soffia il vento dello scetticismo che, per dirla alla De André, danno buoni consigli quando non si può più dare cattivo esempio. L’argomento è di moda, parlarne fa bene all’immagine, all’apparenza appunto. Però poi quanti si impegnano concretamente per i diritti delle donne atlete piuttosto che sottostare alle logiche del quarto potere?

© Riproduzione riservata