L’11 febbraio di ogni anno si celebra la giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza: per questo mese abbiamo deciso di dedicare la rubrica per i ragazzi alle donne che hanno cambiato la storia degli elettrodomestici e del modo di cucinare.

Lillian Gilbreth

Tutti noi sappiamo benissimo riconoscere una cucina quando la vediamo, e ci sembrerebbe assurdo non vedere il piano di lavoro che unisce e collega in un’unica comoda linea fornelli, lavandino, forno e nelle immediate vicinanze, il frigo. Tutto questo non era nemmeno pensabile meno di cento anni fa, quando spesso le cucine erano così formate: un tavolo, una credenza per piatti e pentole, un lavello e una stufa a legna che si potevano trovare anche ai quattro angoli della stanza e costringevano chi cucinava a correre delle vere e proprie maratone dentro le singole stanze. Probabilmente all’epoca era invece considerata una cosa da pazzi voler mettere tutto comodamente in fila: molte donne non lavoravano e passavano la giornata in cucina.

La prima a mettere in discussione tutto questo fu Lillian Gilbreth, mamma di dodici figli e ingegnera: iniziò a rendersi conto che per le donne che si dedicavano esclusivamente alla famiglia era necessario ottimizzare i tempi e ciò si poteva fare dando un senso allo spazio, con la stessa logica che si applicava nelle industrie per non far perdere troppo tempo ai lavoratori. Ovviamente, mettere uno vicino all’altro dei mobili di differente grandezza e dimensione sarebbe stato ancora più scomodo, quindi iniziò a collaborare con una società che produceva cucine a gas per uniformare il piano di lavoro e mettere tutto il mobilio vicino: nasceva così, circa 100 anni fa, la prima cucina moderna.

Lillian non si accontentò e fino alla sua morte cinquant’anni dopo continuò ad inventare nuovi oggetti e brevettare migliorie per la cucina e in generale per rendere migliore la vita delle donne, in particolare quelle che lavoravano come domestiche e casalinghe: si stima che siano decine gli interventi di Gilbreth ad aver cambiato, modificato e migliorato elettrodomestici e oggetti d’utilizzo prevalentemente femminile. Ma se entrassimo in una cucina proprio adesso, a febbraio 2024, cosa troveremmo grazie a lei?

Consideriamo di voler preparare una torta, entriamo ed accendiamo la luce con l’interruttore sul muro: prima dell’intuizione dell’ingegnera, per accendere la luce avremmo dovuto tirare la catenella sotto al lampadario. Apriamo il frigo e prendiamo le uova dal portauova che si trovano negli scaffali interni allo sportello, entrambi pensati da Gilbreth. Prendiamo poi il mixer per sbattere le uova – altra sua invenzione, prima venivano sbattute solo a mano impiegando molto tempo ed energie-, buttiamo i gusci nella pattumiera senza ovviamente doverla aprire noi con le mani ma pigiando il pedale col piede (indovinate chi l’ha inventata?) e una volta terminato tutto mettiamo in lavastoviglie gli utensili usati: l’acqua usata per pulire i piatti sporchi confluirà direttamente nello scarico grazie ad una miglioria alla lavastoviglie classica…apportata sempre da lei.

Lavastoviglie e frigorifero

Il frigorifero e la lavastoviglie sono stati migliorati sì da Lillian Gilbreth, ma a loro volta inventati da due donne americane: Florence Parpart, che nel 1914 ebbe l’intuizione di far diventare “elettrica” la ghiacciaia che tutti gli americani avevano in casa e dovevano riempire con ghiaccio comprato nelle fabbriche più volte a settimana: non era più necessario rifornirsi da fuori, perché collegando questo nuovo dispositivo all’elettricità la temperatura si sarebbe mantenuta sempre bassa attraverso un sistema di acqua circolante nelle pareti. I primi frigoriferi sembravano dei semplici, grossi e tozzi armadi e gli scaffali nello sportello o gli accessori come portauova e portabottiglie, non erano contemplati: grazie a Lillian Gilbreth il frigorifero iniziò ad assomigliare molto di più a quello che vediamo oggi.

La prima lavastoviglie è ancora più antica: nel 1886 Josephine Cochrane si rese conto che una macchina lavapiatti poteva far risparmiare ore di lavoro domestico, per cui costruì dei piccoli scompartimenti adatti alle varie forme di piatti e bicchieri, li mise in una ruota all’interno di una caldaia di rame che girava mentre acqua e sapone venivano schizzati sulle stoviglie: il tubo di scarico aggiunto da Lillian Gilbreth completò finalmente la praticità di questo amatissimo elettrodomestico.

Un caffè per favore!

Sappiamo che la moka italiana non è il solo modo di bere il caffè nel mondo e che in molti paesi si tratta di un caffè molto più lungo e meno concentrato: questo è possibile grazie ad un filtro che separa i chicchi sminuzzati dalla bevanda. Melitta Bentz era una donna tedesca che intorno ai primi del Novecento decise di assaporare il suo caffè senza fastidiosi residui di polvere che le rimanessero sulle labbra e lo fece praticando dei fori in un pentolino, sopra cui pose della carta assorbente: il brevetto fu registrato nel 1908 e ancora oggi Melitta è una famosa marca di filtri di caffè in Germania.

È tutto italiano invece il primo caffè espresso mai bevuto in orbita: nel 2013 l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti è riuscita grazie ad una tazzina “zero gravity” – creata appositamente per bere in assenza di gravità - a gustarsi la bevenda uscita dalla ISSpresso, macchina del caffè anche essa creata per la Iss, la Stazione spaziale internazionale.

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