«Io guadagnavo tremila euro a cisterna, a viaggio, il prodotto lo prendevo a Maribor e in altre città slovene». Brescia, poco lontano dal centro città, in campagna, in fondo a una stradina c’è un casolare. Seduto su una sedia c’è un uomo, per raggiungerlo attraversiamo un piazzale pieno zeppo di enormi taniche vuote. Di mestiere fa il trafficante di gasolio da anni, dice: «Sono uscito dal giro». La Lombardia è solo uno dei territori più floridi per il mercato del carburante illegale. La testimonianza raccolta da Domani spiega solo una parte del giro d’affari delle commercializzazione del carburante di contrabbando, un segmento parallelo al mercato lecito che vale miliardi di euro e ha provocato un danno alle casse dello stato pari a 1 miliardo all’anno, 10 nell’ultimo decennio.

Ai dati del ministero dell’Economia si aggiungono quelli elaborati dalla Guardia di finanza: dal 2017 al 2019 i finanzieri dei reparti investigativi hanno condotto oltre 11mila interventi di contrasto al fenomeno, gestito 1.500 deleghe di indagini, recuperato 637 milioni di euro di accise evase, sequestrato 33 milioni di litri di carburante sospetto e arrestato 137 persone, che sommate alle 70 fermate nell’ultima operazione condotta dalle quattro più importanti procure antimafia d’Italia (Catanzaro, Reggio Calabria, Napoli e Roma) superano i 200 coinvolti.

L’inchiesta Petrolmafia Spa è la più recente in ordine temporale: la procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri si è occupata del versante calabrese dominato dalla ‘ndrangheta e dai clan di Vibo Valentia; Napoli con il procuratore Giovanni Melillo ha coordinato, insieme all’antimafia di Roma con il suo omologo Prestipino, il nucleo centrale dell’operazione contro la famiglia Moccia e gli imprenditori insospettabili al loro servizio che hanno garantito alla camorra di entrare nel mercato dei petroli; infine Reggio Calabria, con il procuratore Giovanni Bombardieri, si è occupata delle cosche della provincia reggina, su tutte i Piromalli, potente dinastia attiva fin dagli anni Settanta. Una sinergia investigativa che ha pochi precedenti e che dà la cifra del fenomeno svelato: un network nazionale, con satelliti ovunque nel paese e all’estero, collegato con i centri di rifornimento come Libia e Malta. Un grumo di clan tenuto assieme dal business del momento.

Clan, petrolio e showgirl

In questo intreccio tra potere e crimine, imprenditoria e clan, tra i protagonisti al centro della scena c’è una una showgirl legata all’agente dei vip Lele Mora. È ricca, molto ricca, a tal punto da viaggiare verso il festival del cinema di Cannes con una Rolls Royce carica di contanti. Per capire la sua importanza in questa storia dobbiamo tornare al maggio 2019. Quando al confine con la Francia, Anna Bettozzi, in arte Anna Betz, viene fermata dalla guardia di finanza mentre era alla guida della lussuosa fuoriserie con a bordo 300mila euro. Solo una parte del malloppo: gli investigatori che la bloccano perquisiscono anche la stanza del celebre hotel Gallia di Milano, dove nella suite della donna hanno trovato altro denaro. Il totale alla fine sarà 1 milione e 700mila euro in contanti, confezionati sotto vuoto e custoditi in quattro borsoni.

Betz è la vedova di Sergio De Cesare, petroliere coinvolto, prima di morire nel 2015, in una mega inchiesta per una presunta frode sull’Iva. La donna è famosa nei salotti e nelle terrazze romane, lo scorso anno ha cantato a una festa mentre brindava con il deputato Cosimo Ferri e l’ex magistrato Luca Palamara, i due volti più noti dello scandalo Csm. Ma Betz la ricordano anche per le esibizioni alle feste di Silvio Berlusconi, che la showgirl-petroliera definisce, intercettata, «socio».

Due anni fa alcune riviste di gossip hanno raccontato che Lele Mora aveva iniziato una collaborazione con la diva Betz per promuovere l’azienda petrolifera. L’immagine prima di tutto: negli atti dell’inchiesta Petrolmafia (tra gli arrestati c’è anche la donna) si legge dell’ingaggio dell’attore Gabriel Garko per sponsorizzare la società romana. «150mila euro versati in contanti» all’attore diventato celebre con la fiction L’onore e il rispetto. Il denaro usato per pagare il volto di Garko, secondo i detective, proveniente dal traffico illegale.

Attorno alle società Di Cesare-Betz girano gli interessi di un brand che è la storia criminale della camorra napoletana: i Moccia di Afragola, clan dai metodi raffinati e silenziosi.

Moccia e potere

Dai salotti romani della Betz arriviamo al quartiere Parioli di Roma. Qui vive Luigi Moccia, oggi al 41 bis, il carcere duro, dopo anni di bella vita in città. Il fratello Angelo Moccia, detto Enzuccio, è tornato in carcere. Antonio Moccia, il fratello, era libero fino all’operazione Petrolmafia Spa, arrestato nell’inchiesta coordinata da quattro procure. Antonio è indicato dai pentiti come il capo. Accuse che Antonio respinge categoricamente, anche se su di lui pende un processo per associazione mafiosa che è iniziato nel 2011 e il primo grado di giudizio deve ancora concludersi. Nove anni, con la procura che chiede inutilmente al tribunale di velocizzare. Gli uomini di Antonio Moccia sono stati condannati nel 2016 a pene pesanti, la sua posizione è stata separata e il dibattimento procede lentissimo.

Boss e vip

Il destino ha fatto incrociare Moccia con la diva Betz e la società Max petroli. A svelarlo sono fascicoli giudiziari, le intercettazioni, i documenti societari analizzati. E i rapporti investigativi confluiti nell’indagine Petrolmafia. Il punto di contatto tra la camorra e Betz è un imprenditore di nome Alberto Coppola, pure lui arrestato nell’operazione antimafia.

Moccia mostra il suo interesse nel settore attraverso una società: la New Service, controllata dal cugino, l’imprenditore Alberto Coppola. «Il deposito di Anna Bettozzi è fiscale...è il mio e di mio cugino Antonio... se io ho bisogno di soldi vado da mio cugino che sarebbe quello di Afragola i Moccia quelli abitano a Roma e mi serve 1 milione... 500mila io non ho problemi... sono persone di un certo spessore e serietà», dice intercettato al telefono. Il gruppo familiare dei Coppola è nel settore con diverse sigle, attive nel grande affare petrolifero. Non c’è solo l’interesse per i depositi fiscali, ma la gestione diretta di pompe di benzina, di linee di trasporto marittimo.

Max Petroli di Anna Betz, lo scorso novembre, ha subito anche un sequestro nell’ambito di una inchiesta della procura di Lecce. Un’indagine che contesta l’associazione a delinquere finalizzata ai reati di contrabbando di gasolio agricolo, emissione ed utilizzo di fatture false, riciclaggio ed auto-riciclaggio.ra gli indagati c’era anche Virginia Di Cesare, la figlia di Anna. «Dallo scorso anno ho ceduto le quote societarie, la faccio chiamare dal nuovo amministratore», dice Di Cesare a Domani, contattata alcune settimane prima che venisse indagata nell’inchiesta sui clan. Non ha mai più richiamato. La Max Petroli oggi si chiama Made Petrol.

«Soldi al festival di Cannes»

Contatta Anna Bettozzi, anche lei prima dell’arresto, ha fornito la sua versione al nostro giornale. Rivela alcuni dettagli importanti, fa nomi di grossi gruppi industriali petroliferi e si è difesa dall’accusa di essere vicina alla camorra. Sul milione ritrovato sulla Rolls Royce dice: «Si tratta dei risparmi di mio marito, il compianto Sergio Di Cesare, sono stati ereditati, su quelli abbiamo anche pagato le tasse. Li portavo in auto in contanti perché siamo stati sponsor del festival di Cannes e andavo in Francia per pagare la nostra quota». Ma perché aveva tutti quei soldi e un altro milione e mezzo nelle cassette di sicurezza? «Era l’eredità di mio marito. I 300 mila euro, invece, li portavo in Francia». E perché? «Siamo sponsor del festival di Cannes, non portavamo all’estero i soldi». Abbiamo capito bene?, chiediamo. «Eravamo sponsor, come Maxpetroli, del festival cinema di Cannes», ribadisce la donna dei misteri.

Sulle intercettazioni di Coppola, che sostiene di essere proprietario del deposito fiscale, Anna Bettozzi spiega: «Il deposito fiscale è mio, come risulta dalla documentazione, queste sono fantasie, ognuno a telefono può dire quello che vuole. Io questo Coppola, che mi sembra pure una brava persona, lo avrò visto due tre volte, di mestiere fa il trasportatore». Bettozzi, aveva aggiunto: «Ogni anno riceviamo 85 controlli della guardia di finanza, tutto è tracciato, se poi una società dopo mesi non paga le imposte non dipende da noi, chiariremo tutto perché noi agiamo nel rispetto delle regole e non abbiamo emesso fatture false, siamo una famiglia che ha una grande tradizione alle spalle». Bettozzi si è congedata con un annuncio di marketing aziendale che traccia il nuovo raggio d’azione degli investimenti: «Ci stiamo impegnando nel settore delle rinnovabili per allargare e diversificare i settori di business». La storia della diva prestata al petrolio è, però, momentaneamente stata frenata dall’incidente giudiziario insieme agli uomini della camorra.

Decal e coincidenze

Seguendo questo filo sottile, reso ancor più netto dall’ultima indagine antimafia, troviamo sigle che, senza essere coinvolte direttamente, sono citate con frequenza negli atti dei detective in ogni inchiesta che riguarda le rotte illegali del petrolio.

Tra queste c’è Decal che si occupa di scarico di petroli e affini. Torna spesso come luogo di destinazione dei traffici, seppure mai sfiorata da sequestri, indagini o arresti. È il maggiore deposito costiero di oli minerali, ha una storia antica, una guida sicura nelle mani della famiglia Triboldi, originari di Soresina, provincia di Cremona. Hanno iniziato oltre un secolo fa con una piccola azienda di cera poi sono diventati una holding. La loro fortuna: l’esclusiva dell’importazione della cera dall’Unione Sovietica. Solo dopo è arrivato il grande affare dell’oro nero con la grande area di stoccaggio a Marghera, nel porto, dove attraccano petroliere e scaricano il prodotto. Agli atti dell’indagine in cui è coinvolta Betz insieme ai Moccia, il prestanome del clan avrebbe «incontrato un rappresentante di Decal». Avrebbero parlato di ingenti quantita di carburante da fare arrivare via mare. Il nome Decal lo ritroviamo, correva l’anno 1984, in una retata della Guardia di finanza di Venezia che ipotizzava un’evasione di imposte per decine di miliardi di vecchie lire, a valle di denunce archiviate, finanzieri solerti trasferiti e superiori arrestati per mazzette. «Secondo quanto si è appreso, nel rapporto sarebbero state ipotizzate alcune presunte irregolarità nel calcolo degli arrivi dei quantitativi degli oli minerali scaricati all’interno dei serbatoi della Decal», si legge sulle agenzie dell’epoca. Usciti indenni da quella storiaccia, il nome dell’azienda Decal la ritroviamo nel 2019 in una copiosa informativa della direzione nazionale antimafia ottenuta da Domani.

Decal ritorna negli affari di un gruppo di imprenditori connessi anche alla mafia siciliana coinvolti nell’inchiesta della procura di Catania con ras del settore a Malta e in Libia. Questa banda avrebbe dovuto depositare a Porto Margheta il greggio una volta arrivate in italia le petroliere. L’azienda di Marghera, anche in questo caso è estranea all’indagine, appare come terminale del prodotto importato dall’organizzazione. Gli atti dell’inchiesta, infatti, rivelano come i carburanti commercializzati venivano acquistati dalla Maxcom Bunker, sotto inchiesta, «presso i porti di Augusta, Civitavecchia e Venezia, in conto deposito presso i depositi fiscali della Maxcom Petroli s.p.A., della Sodeco e della Decal».In pratica alle autorità doganali italiane veniva presentata «la falsa documentazione di carico corredata dal falso certificato d’origine emesso dalla Petroplus ltd, vidimato e timbrato dalla “Libyan Maltese Chamber of commerce di Balzan” di Malta». Gordon Debono, il ras maltese del traffico, avrebbe avviato, con la sua società Petroplus, la commercializzazione in Italia dei prodotti petroliferi e avrebbe «per il tramite della Decal relazioni commerciali con Maxcom Petroli che gestisce depositi costieri e un pontile nel porto di Augusta».

Con la rete di Debono è in contatto anche un altro imprenditore, Luigi Brusciano. In alcune intercettazione che lo riguardano agli di un’indagine ci sono alcune intercettazioni dalle quali emerge come Decal fosse il luogo di stoccaggio per regolarizzare il carburante. Brusciano è stato condannato di recente usura: “accusato” dai pentiti di avere utilizzato soldi provenienti dal clan dei casalesi.

Soldi europei

Il 5 febbraio avevamo chiamato e poi scritto alla società Decal per avere una replica. Senza successo però. Decal e San Marco Petroli, altra azienda attiva nel settore, hanno fondato Venice-Lng che, con il contributo economico dell’Unione Europea, punta a costruire un hub per il deposito del gas liquido a Porto Marghera. Nel 2018 è arrivato il via libera e lo stanziamento di quasi venti milioni di euro da parte della commissione europea per la realizzazione del terminale di gas, progetto presentato dall’Autorità portuale del mare Adriatico settentrionale insieme proprio alla Venice Lng.

Quello che non sanno né la commissione né l’autorità portuale è che Decal, motore del progetto, è citata anche in un’altra pesante operazione antimafia che coinvolge Alberto Coppola, l’imprenditore del potente clan Moccia, da cui parte il filo di questa matassa di affari e crimine: trama che incrocia showgirl, cinema, ras del petrolio, manager dello spettacolo e famiglie di camorra.

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