Un poliziotto percorre la corsia di sorpasso a piedi, mentre, poco distante, sulla corsia di emergenza dell’autostrada A1, orde di tifosi si picchiano con bastoni, coltelli, spranghe. L’immagine dell’agente rappresenta perfettamente lo stato inerme di fronte alla guerra urbana scatenata dagli ultrà di Roma e Napoli che si erano dati appuntamento all’autogrill di Badia al Pino, vicino Arezzo. 

Uno stato inerme che vara norme, aumenta le pene, ma a spesa invariata: investendo cioè poche risorse sulla sbandierata sicurezza e accettando giornate di ordinaria follia pur di non disturbare il dio pallone e chi banchetta al tavolo da gioco.

Da una parte le forze dell’ordine, con i problemi strutturali di organico e dotazione, dall’altra il grande spettacolo del calcio con le società che per necessità di bilancio (sempre più gonfi di debiti) hanno spacchettato le giornate di campionato moltiplicando gli eventi a rischio. Per queste ultime il vantaggio è doppio: incassano con i diritti e continuano a beneficiare di un ordine pubblico offerto dallo stato, al quale ora peraltro chiedono di “salvarle” con provvedimenti ad hoc per spalmare i propri debiti.  

La debolezza delle istituzioni

Sembra, inoltre, esserci un trattamento morbido nei confronti dei teppisti da stadio a differenza di altre proteste specie quelle organizzate per rivendicare diritti sacrosanti, per esempio gli studenti in piazza. Perché queste giornate di follia e violenza ultras non vengono fermate con attività preventive? 

Partiamo dall’ultimo caso di cronaca e proviamo a capire perché non è stato evitato l’incontro tra le due tifoserie nemiche e per quale motivo non è stato fermato quando è degenerato in uno scontro. Sui divieti alle trasferte delle tifoserie violente o in caso di partite a rischio, decisi dalle prefetture e dall’osservatorio nazionale,  pesano i condizionamenti indiretti delle società di calcio che incassano dalle presenze allo stadio e che spingono per un regime più elastico e meno repressivo.

«Questori e prefetti agiscono in rapporto con l’osservatorio sulle manifestazioni sportive, il loro è un approccio che deve tenere conto di una pianificazione settimanale», dice un funzionario di polizia che si occupa della materia sul campo, «la loro è una gestione politica che deve garantire i diritti di tutti, fare in modo che l’evento si svolga e considerare anche il pressing delle società che con le tifoserie organizzate si giocano l’equilibrio in curva e anche parecchi introiti. Il primo problema non è relativo alle modalità di intervento delle forze dell’ordine, ma è in capo alle autorità che decidono se autorizzare o meno una trasferta anche in presenza di segnali che dovrebbe indurre a divieti prolungati».

La prima questione, insomma, riguarda le autorità, in primis le prefetture, che devono di volta in volta autorizzare o vietare le trasferte. A questo va aggiunto il peso economico e politico di queste decisioni, i gruppi organizzati controllano curve, spostano voti e garantiscono incassi. «Prendiamo il caso accaduto domenica, il Napoli andava a giocare a Genova, la Roma a Milano, questi violenti si sono dati appuntamento: erano entrambe trasferte da vietare, ma le società di calcio non vogliono l’interdizione delle trasferte perché ricevono pressioni dai gruppi organizzati», aggiunge il funzionario, che prosegue: «Le faccio un esempio. Quando è stato approvato il provvedimento sui Daspo fuori contesto (Divieto di accesso a eventi sportivi, ndr), che viene applicato a determinati categorie di soggetti denunciati, arrestati o condannati per reati come mafia, terrorismo, incendio, rapina e droga, era stata introdotta una disposizione che prevedeva il divieto di conseguire benefici (come la scontistica per abbonamenti e altri benefit) a chi aveva finito di scontare il Daspo. I club hanno fatto pressioni e quell’ulteriore misura accessoria è saltata», ricorda il funzionario.

Parole che trovano conferma nell’ultimo rapporto dell’osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive: «Nella stagione sportiva 2021/2022 le tifoserie che hanno dato luogo al maggior numero di criticità sono state quelle del Napoli (19 episodi di violenza su un totale di 179), Genoa e Lazio (8 episodi su 179)». Un dato che si incrocia con quello pubblico dell’odio tra i gruppi organizzati delle tue tifoserie che conta diversi precedenti, tra questi, l’agguato mortale a Ciro Esposito, tifoso azzurro, colpito da un proiettile esploso ad altezza d’uomo da Daniele De Santis, ultrà romanista osannato dalla curva giallorossa anche dopo l’omicidio commesso.

Trasferte, quelle di domenica scorsa, da evitare anche perché di difficile monitoraggio visto che sempre più spesso i gruppi organizzati si muovono privatamente. «Con riguardo agli spostamenti dei tifosi del calcio che decidono di seguire la propria squadra in trasferta, merita attenzione la tendenza a prediligere sempre più l’utilizzo di mezzi privati (auto e minivan), piuttosto che dei pullman e bus. Tale aspetto ha, infatti, reso più difficoltoso il monitoraggio e la localizzazione, in tempo reale, delle movimentazioni delle tifoserie da parte delle forze di polizia, incidendo sull’organizzazione dei servizi dedicati a dette trasferte», si legge nel rapporto.

Lo stato paga, le società no

Ma c’è anche altro. «Da una parte le pressioni per evitare di vietare trasferte, dall’altra il fatto che le società non hanno voglia di spendere un solo soldo per contribuire all’ordine pubblico, perché non iniziano i club a garantire la sicurezza delle trasferte sotto il controllo delle forze dell’ordine? Perché non contribuiscono ai costi aggiuntivi dovuti al frazionamento delle giornate di campionato che rappresentato incassi per i club e spesa pubblica per lo stato?», si interroga il funzionario.

Un tema che, di nuovo, trova conferma nel rapporto annuale dell’osservatorio. «La sempre più accentuata programmazione degli incontri di calcio, per ragioni di carattere televisivo‐commerciale, lungo l’intero arco della settimana e in orari variabili, oltre che nel fine settimana, ha fatto sì che, per assicurare il controllo degli itinerari interessati dai transiti delle tifoserie, la Polizia Stradale abbia dovuto attingere alle pattuglie impegnate nell’ordinario servizio di vigilanza, predisponendo servizi ad hoc solo in presenza di eventi di particolare rilevanza», si legge.

Questo quadro di irresponsabilità diffusa delle società che, ad ogni inchiesta sulle infiltrazioni della criminalità nelle tifoserie, mostrano permeabilità e assenza di anticorpi si accompagna un tema più generale relativo alla mancanza di personale e dotazione delle forze dell’ordine.

 «La strumentazione di ordine pubblico è stata abbandonata, i poliziotti a cavallo sono sempre meno, gli idranti sono pochissimi, all’estero dispongono di tute protettive, noi non abbiamo neanche i caschi radiocollegati. Bisogna evitare lo scontro e, in alcuni casi è impensabile visti i numeri ridotti degli agenti, alla penuria di uomini si aggiunge una strumentazione inadeguata. Il nostro personale gira ancora con scudo e manganello, sembriamo tornati alle Termopili», dice il funzionario di polizia.

Resta una domanda, c’è una maggiore tolleranza nei confronti di questi violenti da stadio? «No, c’è un tentativo legittimo e necessario di avere interlocuzioni per migliorare il sistema di prevenzione. La sezione ‘squadre, tifoserie’ della Digos ha il dover di monitorare e osservare, non solo di reprimere altrimenti non avrebbero più informazioni e navigherebbero al buio. Detto questo, domenica scorsa, c’erano trecento ultrà che si picchiavano, come dovevano intervenire i poliziotti in assenza di personale e strumentazione? Hanno ridotto i danni, l’unica strada percorribile».

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