Martin Avaro, oggi uomo in affari con il partito di Giorgia Meloni, è stato un esponente di spicco di Forza Nuova, camerata e picchiatore. Oggi imprenditore, all’epoca, Avaro aveva pianificava rivolte e barricate. Avaro è titolare di una società partner della Lvl Pro Event, che organizza eventi di varia natura.

Sul sito di quest’ultima a partire dal 2019 c’è una carrellata dei summit politici meloniani, l’ultima nel portfolio dalla ditta (sede in provincia di Roma ,a Guidonia Montecelio) è la convention per i 10 anni di Fratelli d’Italia.

L’ex colonnello di Forza nuova contattato da Domani ha confermato di lavorare con Lvl Pro Event tramite la sua società Italica solution srl. Ha confermato anche di aver partecipato agli allestimenti degli eventi di Fratelli d’Italia, «ma abbiamo lavorato per tanti altri partiti eh», precisa. Quali? «Non tradisco la fiducia dei clienti».

«Avaro è uno dei tanti fornitori con cui abbiamo rapporti», precisa Maria Voccia amministratrice e tra i soci della Lvl Pro Event. «Abbiamo molti clienti, non è vero che il nostro fatturato deriva solo dalla manifestazioni organizzate con Avaro per Fratelli d’Italia», aggiunge Voccia, che spiega: «I rapporti con quel partito li ha gestiti Avaro».

Occupazione e bastoni

Prima di vestire i panni dell’imprenditore e di siglare buoni affari con Fratelli d’Italia, Avaro era uomo da barricate. Nel 2005 per esempio occupava, insieme ad altri neofascisti, l’edificio dell’ex Asl di Tivoli, azienda sanitaria locale, in via Rosmini, di proprietà del comune.

La vicenda è ricostruita in una sentenza del tribunale di Tivoli, emessa nel 2012 che ha condannato Martin Avaro a nove mesi, pena sospesa, e Antonio Lucarelli, mentre tutti gli altri coinvolti sono stati assolti e poi i due sono stati salvati dalla prescrizione in appello.

Dopo l’occupazione dello stabile il gruppo aveva chiesto l’autorizzazione, negata, al sindaco, e, all’arrivo delle forze dell’ordine che volevano sgomberare lo spazio occupato, si «chiusero all’interno di esso, cercando di impedire l’accesso agli uomini dei carabinieri e della polizia di stato», si legge nella sentenza firmata dai magistrati Mario Frigenti, Lorenzo Bucca e Claudio Politi.

Gli unici due soggetti che venivano identificati come occupanti sono stati proprio Avaro e Lucarelli, i quali si sono resi protagonisti anche del reato di resistenza a pubblico ufficiale. I due non si erano opposti all’arrivo degli agenti solo attraverso una resistenza passiva, ma «per impedire il taglio della catena, ovvero per costringerlo a desistere, diedero dei colpi sulla mano del D’Alessandro (militare dell’arma dei carabinieri, ndr)», si legge nella sentenza. Ma non basta.

«Va specificato al riguardo che il Matera (l’altro militare parte offesa, ndr) riportò una contusione alla mano nel tentativo di fermare l’Avaro, che riuscì, alla fine, a bloccare, solo con l’aiuto di altri operanti e dopo essere caduto insieme a lui in terra.

Il D’Alessandro invece riportò una lesione in quanto aveva infilato la mano destra all’interno del cancello e l’Avaro con un’altra persona (gli) “davano delle bastonate sul polso” per non fargli togliere il lucchetto e la rete». Quelle condotte avevano provocato lesioni guaribili in dieci e otto giorni rispettivamente per i carabinieri D’Alessandro e Matera.

Sul possesso del bastone e il reato conseguente era scattata la prescrizione mentre per gli altri reati si era arrivati, in primo grado, alla condanna a nove mesi con pena sospesa per la giovane età degli imputati e la concessione delle attenuanti generiche. Contestualmente i giudici avevano disposto la liquidazione in sede civile del danno morale e materiale subito dai carabinieri.

Salvati dalla prescrizione

In secondo grado anche gli altri reati, lesioni aggravate, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, invasione di edifici, sono finiti prescritti come si legge nella sentenza della corte d’appello di Roma del 5 luglio 2017.

Avaro, nei motivi di appello, aveva contestato la sua partecipazione alla resistenza attiva in quanto «le dichiarazioni rese dai due agenti sono smentite dai filmati depositati dalla difesa e acquisiti agli atti di causa, che provano, senza ombra di dubbio, come il pervenuto non fosse dietro al cancello per opporsi all’azione delle forze dell’ordine ma si trovasse in luogo diverso», si legge negli atti.

In pratica, secondo la difesa di Avaro, non avendo partecipato all’azione di resistenza attiva non avrebbe potuto rispondere delle lesioni ai danni del militare. Ma i giudici non hanno accolto la tesi di Avaro, i reati sono stati dichiarati prescritti «non emergendo dagli atti la prova evidente che il fatto non sussista ed anzi emergendo il contrario», si legge nella sentenza dei giudici Giuseppina D’Antonio, Annamaria Acerra e Silverio Tafuro. La corte precisa ancora meglio più avanti «che dalla lettura della sentenza del tribunale che è stata impugnata quanto dei motivi di appello non emerge “ictu oculi” la prova dell’innocenza degli appellanti».

Carabinieri da risarcire

I giudici confermano il risarcimento alle parti civili credendo alle versioni dei due carabinieri in ordine ai fatti: l’occupazione, la resistenza attiva e le bastonate sul polso ricevute dal maresciallo capo D’Alessandro. Ma come è finita? «In relazione alla sentenza della Corte di appello, non vi è stato alcun pagamento da parte dei signori Avaro e Lucarelli delle spese di costituzione e rappresentanza liquidate in sentenza a favore dei miei assistiti», dice l’avvocato Augusto Colatei che ha difeso i due militari dell’arma.

Dal partito di Giorgia Meloni nessun commento su Avaro, i Fratelli d’Italia ai carabinieri “bastonati” hanno preferito il picchiatore.

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