L’attivista, performer e attrice ha bisogno di affrontare una nuova operazione. «Sono andata dall’équipe che mi ha operata nel 2005. Il primario mi ha detto: “Ti devi accontentare, in altri tempi a quelli come voi avrebbero fatto l'elettroshock”. È il riflesso di un sistema che continua a considerare la vita delle persone trans come marginale, trattando i nostri corpi come casi da archiviare e non come soggetti degni di cura»
«Ti devi accontentare, in altri tempi a quelli come voi avrebbero fatto l'elettroshock». Lilith Primavera si è sentita rispondere così dall’équipe medica che, nel 2005, l’aveva seguita nella transizione chirurgica durante il suo percorso di affermazione di genere. Attivista per i diritti civili, conduttrice radiofonica, autrice, poeta, performer, cantante e attrice, Lilith Primavera anima da sempre gli ambienti transfemministi romani e non solo.
Il suo è anche uno dei volti più amati della serie tv Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek, per cui ha interpretato Vera. Le amiche di Lilith hanno lanciato per lei un crowdfunding per sostenere il suo intervento in Thailandia: ha bisogno di essere operata di nuovo e in Italia non ha trovato nessuna risposta ai suoi problemi.
«Tessuti erettili residui, non rimossi correttamente, continuano a provocare complicazioni», scrive su gofundme.com per spiegare perché ha bisogno di una nuova operazione. «Dopo il mio primo intervento, la profondità del canale vaginale si è significativamente ridotta, causando difficoltà nella minzione e un costante disagio quotidiano. Per darvi un’idea: è come non avere una gamba e ricevere in cambio un bastone di legno anziché una protesi adeguata. Si può anche andare avanti con le stampelle, ma non è questa la vita che scelgo, soprattutto se ho la possibilità di camminare con le mie gambe».
Lilith, ha iniziato il suo percorso di affermazione di genere tanti anni fa. Il corpo delle persone trans è spesso ignorato dalla medicina italiana. Che difficoltà ha incontrato?
Sono andata via di casa per vivermi al femminile quando avevo 18 anni, negli anni Novanta. Vengo dal pre-internet, c’era molta più difficoltà nel reperire le informazioni. Sono dovuta scappare di casa, confrontarmi con le altre per strada. Ne ho passate tante. Sono anche incorsa in vari soprusi medici: ad esempio mi è stato iniettato del silicone nel viso e non sapevo che si trattasse di una sostanza nociva difficilissima da rimuovere.
Dal punto di vista medico si è scontrata anche con stigma e pregiudizi?
Purtroppo lo stigma c’è, i medici non sono altro che persone che vivono nella società. Mi è capitato di avere una sinovite villonodulare pigmentata al ginocchio destro che non mi è stata diagnosticata per anni. C’era gonfiore, dolore, disagio. Ma erano i primi Duemila e, siccome io ero una giovane donna trans, pensavano che potessero essere sintomi legati a malattie sessualmente trasmissibili invece che riconoscerlo per quello che era: un tumore benigno. È successo anche di venire guardata male da farmaciste che pensavano comprassi gli ormoni per rivenderli. Ma io avevo le ricette, stavo seguendo una terapia sostitutiva ormonale come qualsiasi donna a cui sono state asportate le gonadi.
Un percorso sicuramente non facile neanche dal punto di vista psicologico.
Sono stata brava, ho incontrato tante persone meravigliose, ma ho incontrato anche porte chiuse, discriminazioni. Ne ho passate veramente tante, arrivi a 40 anni che sei stanca. Soffro di stress post traumatico, devo prendere gli ansiolitici. Non riesco più ad andare alle manifestazioni, a vivere quelle situazioni di socialità espansa che prima erano la mia gioia. Sono una sopravvissuta, ora ho bisogno di leccarmi le ferite.
Cosa è successo quando ha deciso di sottoporsi a una nuova operazione?
La prima operazione l’ho fatta nel 2005. Sono tornata dalla stessa équipe che mi aveva operata per spiegare i problemi che sono insorti. Mi hanno detto: «Ti abbiamo fatto questa vagina e ti devi accontentare, in altri tempi a quelli come voi avrebbero fatto l'elettroshock». È stato un primario di un ospedale pubblico, la sua risposta è agghiacciante. Ho impiegato anni, tante sedute di psicoterapia e qualche pasticchina per riuscire a metabolizzare questa risposta e decidere di prendere in mano la situazione. Perché non è vero che non si può fare niente. La medicina ha già le risposte e ha elaborato le tecniche. Non è solo cinismo medico: è il riflesso di un sistema che continua a considerare la vita delle persone trans come marginale, trattando i nostri corpi come casi da archiviare e non come soggetti degni di cura, ascolto e continuità. Quello che è successo a me fa parte di un decadimento della struttura pubblica in funzione di quella privata.
Quindi pensa che sia un problema di sanità pubblica?
Non guadagno abbastanza per rivolgermi a quella privata. Ma pago le tasse, sono una persona socialmente inserita e vorrei avere le tutele che dovrebbero avere tutte. Perché negli anni il corpo cambia, possono incorrere problematiche da un momento all'altro, va garantito un percorso di cura. Il problema è che lo stato italiano non garantisce il diritto alla salute a troppe persone, per i motivi più disparati, ma sicuramente per una inefficienza a favore degli esercizi privati. Non è un problema solo delle persone trans, ma di tutte quelle che vengono considerate sacrificabili da un certo tipo di sistema. È un problema di lotta di classe. Nel caso delle persone trans, poi, il ricorrere a medicalizzazione e chirurgia viene considerato da troppi un vezzo e inscritto nella responsabilità individuale. Ma non è un vezzo, è questione di vita o di morte in tantissimi casi. E cosa c'è di più importante di una vita? Non sto chiedendo la luna, ho un problema di salute e il sistema sanitario dovrebbe prendersi cura di me.
Poi la decisione di lanciare il crowdfunding.
Avrei potuto venderei un rene o le mie virtù, ma il punto non è questo. Ho messo da parte l’orgoglio e sto chiedendo un aiuto economico per sostenere le spese di questo intervento, ma questo crowdfunding è anche un atto politico. Non voglio fare la donna trans che piange, ma usare quel poco di visibilità che ho per dire a tutti: mettiamo insieme le voci e mettiamo in evidenza questo problema che riguarda tutte le persone che vengono considerate economicamente sacrificabili.
Perché ha scelto la Thailandia per la sua operazione?
Non è l’unico paese in cui si fanno interventi simili. Ma non voglio dare soldi all’Inghilterra dove la Corte suprema ha reinterpretato l’Equality Act stabilendo che la definizione giuridica di donna si basa sul sesso biologico, discriminando le persone trans. Tanto meno all’Ungheria di Orbán che vieta i Pride. In Thailandia, invece, la situazione dei diritti civili è politicamente migliore.
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