Incontrare uno chef in libera uscita mentre mangia in un ristorante è una garanzia di qualità per il locale. Un altro paio di maniche è scoprire cosa mangiano gli chef in una qualsiasi giornata di lavoro.

«Molti cuochi hanno un rapporto pessimo con il cibo. Nel senso che a volte manca il tempo di fermarsi, o spesso e volentieri con il fatto che si assaggia sempre quello che si serve alla clientela sembra di non avere bisogno di un pasto vero», ha raccontato a Domani Agnese Negrini, chef e baker approdata a Copenhagen dopo aver fatto esperienza nelle cucine di diversi ristoranti milanesi. «Di fatto, hai frammentato un pasto per tutta la giornata».

Il personale della ristorazione, a seconda del tipo di servizio, ha di solito diritto a due pasti: in gergo, il pasto che lo staff consuma insieme si chiama “family meal”. È un nome che può far trillare più di un campanello a chi ha visto la serie The Bear, dove, tra i tanti termini che i personaggi si urlano a vicenda («Fire!», «Corner!» per dire: alza la fiamma, o: sto girando l’angolo) capita che qualcuno venga incaricato di preparare il “family”. Anzi, nella serie è proprio la ricetta per un family meal che porta al colpo di scena che chiude la prima stagione.

Di che si tratta

La preparazione del family meal spetta a una persona della brigata: un articolo del Washington Post sui pasti degli staff dei ristoranti di fascia alta spiega che spesso si tratta di chi ha il grado più basso, ma non è obbligatorio. Quello che si mangia non fa parte del menù, ma viene preparato con gli avanzi per abbattere i costi.

Nelle cucine dove i lavoratori hanno provenienze diverse, può essere un’occasione per testare le ricette di casa, mescolando sapori e ispirazioni. Il nome “family”, così evocativo, vuole indicare questo: nel momento in cui i tavoli della sala sono ancora vuoti – o si sono svuotati dopo un lungo servizio – la rigida gerarchia della cucina per un momento viene meno, e ci si siede per mangiare insieme come una famiglia. Nella realtà, non è sempre così: «Dipende anche dalla grandezza della brigata e dalla serietà della company», ha detto Negrini.

Quando è toccato a lei essere responsabile di una cucina, Negrini ha posto molta attenzione al fatto che il family meal fosse rispettato: «Mi sono assicurata che fossero organizzati lo spazio e le risorse per il pranzo dello staff, e ho insistito che la persona di turno preparasse pasti bilanciati, con verdure, cereali e il più possibile proteine non animali, perché la sostenibilità nell’alimentazione deve partire prima di tutto da noi».

Ritmi insostenibili

Se negli ultimi anni il tema della sostenibilità ambientale è al centro di numerosi progetti di ristorazione, anche la sostenibilità del lavoro in sé sta entrando nel discorso: a inizio anno, lo chef René Rezdepi ha causato un terremoto nel mondo della gastronomia, annunciando la trasformazione del suo Noma, più volte in cima alla lista dei migliori ristoranti al mondo, in un laboratorio di ricerca, e ammettendo così, per il momento, la sconfitta della sostenibilità economica nell’alta cucina.

Garantire un salario che compensi in modo appropriato le interminabili ore dei lavoratori, coprendo anche tutta quella forza lavoro spesso gratuita come quella dei tirocinanti è un costo che affossa i conti anche di un ristorante che ha un menu da 500 dollari.

«Dobbiamo ripensare completamente il settore», aveva detto Rezdepi al New York Times, «finanziariamente, emotivamente, come datore di lavoro ed essere umano: non funziona». Anche Negrini ha osservato che non è propriamente un lavoro a ore, quanto a missione: bisogna portare a casa il servizio. Servirebbe più personale, ma «l’hospitality si è basata sullo sfruttamento per anni».

Una ricompensa

Sulla scia di Rezdepi, altri ristoratori si stanno interrogando sulla settimana corta e sui ritmi di lavoro, ma anche i momenti intorno al servizio sono preziosi per il benessere dei dipendenti.

Il family meal così diventa «un momento di svago, una ricompensa», ha spiegato Negrini. «Mi è sempre piaciuta molto l’idea che un pasto potesse essere una piccola coccola. Magari la pasta fresca la domenica, o quando tocca al pasticciere preparare una torta per lo staff. Si tratta di prendersi cura del gruppo con cui lavori».

È responsabilità dello o della chef assicurarsi che l’importanza di questo momento di cura sia percepita: «Nelle cucine più interessanti in cui mi sono formata gli chef ti fermavano e ti dicevano: “Stai cucinando per te stesso, ci va lo stesso impegno che ci metti per i clienti”», ha detto Negrini.

Cucinare per gli altri cuochi

Specialmente per gli stagisti, poi, la preparazione del family meal è una messa alla prova: «Tutti i cuochi hanno il terrore di cucinare per gli altri cuochi».

Nel sottoporre ai colleghi le proprie creazioni, si crea quindi un momento didattico. A volte, un colpo di genio sottoposto allo staff può diventare un signature dish, una pietanza iconica di un locale: la pasticciera Christina Tosi preparò una torta con gli avanzi della cucina che divenne così popolare ai family meal del wd~50, il ristorante dove lavorava, che venne ribattezzata crack pie, perché creava dipendenza. Rinominata milk bar pie in seguito ad alcune polemiche sull’opportunità del soprannome originale, è la torta più celebre del Milk bar che Tosi ha aperto a New York. La sua storia è stata raccontata in un episodio della serie Netflix Chef’s Table. Anche da Albatros, bakery in cui ha lavorato Negrini, a volte il piatto dello staff diventava lo speciale del giorno.

Lo chef Ferran Adrià di elBulli, ristorante spagnolo che al momento della chiusura nel 2011 era «semplicemente, il più importante ristorante al mondo», come scrive il Gambero Rosso, ha addirittura raccolto in un libro di ricette i piatti che mangiava lo staff in un pasto da tre portate, tutti i giorni, alle sei del pomeriggio: si chiama proprio The Family Meal: Home cooking with Ferran Adrià.

La curiosità su come mangiano i cuochi può essere soddisfatta anche da realtà come il ristorante Manna di Milano, che di recente ha annunciato una trasformazione, ma prima della chiusura aveva lanciato una rubrica su Instagram che documentava i pasti dello staff: «Sarà la nostra cifra stilistica anche in futuro. Non ha solo un valore estetico, ma è sinonimo di buona gestione e rispetto delle persone», ha detto il ristorante a Domani. Le storie ci sono ancora, sotto l’etichetta “Il rancio”.

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