Salvatore Baiardo è indagato per calunnia. Per l'ex gelataio, già condannato negli anni novanta per aver favorito la latitanza degli stragisti Graviano, Giuseppe e Filippo, è un salto nel passato, visti i precedenti penali dell'indovino. Baiardo è diventato famoso per aver predetto, durante la trasmissione Non è L'Arena, l'arresto di Matteo Messina Denaro e anche il mese della cattura dell'ultimo dei corleonesi, il latitante allievo di Totò Riina.

I pubblici ministeri, Luca Turco e Luca Tescaroli, che indagano sui mandanti esterni alle stragi del 1993, hanno chiesto il suo arresto, anche per favoreggiamento aggravato, respinto dal giudice. La procura ha fatto appello e il tribunale del Riesame deciderà il prossimo 14 luglio.

Baiardo avrebbe favorito Marcello Dell'Utri (nell'indagine era indagato anche Silvio Berlusconi), indagato per concorso in strage, già in passato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Mentire per negare i rapporti tra i Graviano e Berlusconi. 

La foto e i guai

I nuovi guai giudiziari di Baiardo iniziano con la chiusura della trasmissione, condotta da Massimo Giletti, e in particolare da alcune rilevazioni mai andate in onda per la fine anticipata del programma. Tutto ruota, come ha svelato questo giornale, attorno alla famosa foto che Baiardo, secondo la ricostruzione di Giletti, ha mostrato al conduttore. Giletti avrebbe riconosciuto un giovane Silvio Berlusconi, Francesco Delfino, il generale dei carabinieri al centro di mille misteri, ma nello scatto ci sarebbe stata anche una terza persona, Giuseppe Graviano.

È il conduttore a mettere gli inquirenti sulla pista della foto raccontando questa confidenza dal momento che Baiardo aveva iniziato il suo gioco preferito, dire e non dire, annunciare e ritrattare, aveva promesso la foto senza mai consegnarla. Così i pubblici ministeri hanno ascoltato anche Baiardo per confermare le confidenze di Giletti, ma l'ex gelataio ha negato e accusato il conduttore di aver detto il falso, ma a smentire l'amico dei Graviano ci sono le intercettazioni. Negli ascolti si parla della foto e la conferma arriva proprio dalla viva voce di Baiardo. Così da testimone, ritenuto attendibile, è tornato un avvelenatore di pozzi, mestiere che gli è sempre riuscito e che pratica da anni.

L'indagine per calunnia ha una genesi semplice. Baiardo ha accusato Giletti di un reato, false informazioni ai pm, sapendolo totalmente innocente visto che la foto c'è, per meglio dire c'era, visto che non si è ancora trovata e forse non si troverà mai, primo passo per verificarne l’autenticità. 

Non c'è solo il giornalista televisivo nella lista dei calunniati, ma anche Gaspare Spatuzza, il collaboratore di giustizia, che ha contribuito a riscrivere la vera storia della strage di via D'Amelio, dove la mafia, e non solo, uccisero il giudice Paolo Borsellino, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Agostino Catalano, Emanuela Loi. Collaboratore che aveva indicato anche i presunti rapporti tra i Graviano e Berlusconi. 

Baiardo, nei primi interrogatori, in tutti ne ha resi cinque, ha parlato di soldi che avrebbe preso dal mandamento di Brancaccio, quello gestito dai Graviano, con il coinvolgimento di Spatuzza e di un politico di zona, un racconto privo di riscontri e destituito di ogni fondamento, secondo gli inquirenti. Ma anche le menzogne sull’incontro tra lo stesso Baiardo e Paolo Berlusconi (fratello di Silvio) e ancora ha riproposto il falso alibi per Giuseppe Graviano, autore della strage di via D’Amelio. Ad inquinare i pozzi, Baiardo è maestro e in servizio permanente, ma contemporaneamente in mezzo a bugie e menzogne inserisce verità e rivelazioni, come quella su Messina Denaro e, anni prima, sull'arresto di Totò Riina. In quel caso, era il 1993, aveva saputo prima della cattura e del pentimento di Balduccio Di Maggio, collaborazione che aveva portato alla cattura del capo dei capi, tradito e abbandonato proprio dai fratelli Graviano.

Cairo in procura

La foto era una delle rivelazioni alle quali stava lavorando Giletti prima dell'annuncio, a sorpresa, da parte de La7 della chiusura del programma. Ma non era la sola, visto che qualche giorno prima della cancellazione, Paolo Orofino, tignoso giornalista calabrese, da anni collaboratore del conduttore, aveva mandato due audio da far ascoltare in trasmissione, entrambi depositati al processo sulla 'ndrangheta stragista. Il primo, come rivelato da Domani, riguardava le dichiarazioni di Nino Fiume sul boss Antonio Papalia e i sequestri di persona, il secondo le dichiarazioni di Graviano sui presunti investimenti economici della famiglia nell’impero berlusconiano.

Orofino, nelle scorse ore, è stato ascoltato dai magistrati di Firenze in trasferta calabrese per avere informazioni su quegli audio e sulle trasmissioni in preparazione. Puntate che avrebbero parlato di Berlusconi, di Dell'Utri e delle triangolazioni con i Graviano, approfondimenti che avrebbero fatto indispettire il cerchio magico dell'ex presidente del Consiglio, anche in considerazione delle precarie condizioni di salute dell'ex cavaliere, amico da tempo e primo datore di lavoro di Urbano Cairo, editore de La7 e del Corriere della Sera. L’editore, che ha sempre garantito massima libertà al conduttore, ha spiegato che la chiusura è legata a ragioni di costi e perdite del programma. 

Ora dovrà raccontare la sua versione ai pubblici ministeri fiorentini che, dopo il primo rinvio, lo ascolteranno nei primi giorni di luglio.   

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