C’è una svolta nelle indagini della morte di Marta Maria Ohryzko, la donna di origini ucraine di trentadue anni morta il 13 luglio scorso a Vatoliere di Ischia. Secondo il procuratore di Napoli, Alfredo Gagliardi, si tratterebbe di un femminicidio ad opera del compagno 41enne russo, Ilia Batrakov, che si trovava già in carcere dal 17 luglio dello scorso anno. All’uomo è ora contestato il reato di omicidio volontario pluriaggravato. 

Il fatto 

Marta Maria Ohryzko è stata trovata in un dirupo, della profondità di due metri, la mattina del 13 luglio 2024. Il luogo del ritrovamento era molto vicino al camper dove viveva con il compagno di origini russe, Ilia Batrakov.

Già quattro giorni dopo il ritrovamento della donna, le indagini avevano portato all’arresto dell’uomo per maltrattamenti aggravati e per non aver soccorso la donna.

Batrakov aveva infatti contattato i carabinieri, ma aveva cancellato tutte le chat su WhatsApp, poi recuperate. Già allora era emerso un quadro inquietante, con diverse chiamate e richieste di aiuto, ignorate dall’uomo.

Inizialmente non era stata chiarita la dinamica della morte di Ohryzko, che ha richiesto mesi per poter essere definita dalla procura di Napoli, grazie alle intercettazioni ambientali, telefoniche e con l’aiuto della consulenza autoptica.

Secondo quanto emerso, Batrakov è sceso nel dirupo dove la donna si trovava, ma l’intento non era quello di prestarle soccorso. L’uomo prima avrebbe sferrato un pugno sul volto della compagna per poi impedirle di respirare, comprimendole bocca e il naso con la mano sinistra, sporca di erba e terriccio. Le azioni dell’uomo avrebbero lasciato segni inequivocabili, che sono stati riscontrati dal medico legale e dall’anatomopatologo durante l’autopsia.

Le intercettazioni

Dai colloqui in carcere, intercettati dai carabinieri, emerge inoltre la preoccupazione dell’indagato sulla possibilità che i militari dell’arma avessero trovato i segni della sua aggressione. E, a differenza di quanto sostenne il 41enne, Ohrysko non era ubriaca quella notte. Lo dimostrano gli accertamenti tossicologici che, invece, evidenziano l’assunzione di farmaci in misura compatibile con una cura antipsicotica.

Bratrakov ha poi mostrato una certa inquietudine, in particolare, quando il suo interlocutore in carcere gli ha riferito che le attività autoptiche si stanno concentrando sui polmoni della 32enne. Nelle vie respiratorie, effettivamente, i consulenti della procura hanno in seguito riscontrato tracce di terreno e materiale vegetale inspirato nell’estremo tentativo di incamerare aria.

Marta Ohtyzo aveva già subito maltrattamenti da parte del compagno, che andavano avanti da circa due anni e che erano stati denunciati solo in parte.  

Non solo numeri 

Quello di Ohryzko si aggiunge ai circa 115 femminicidi del 2024 contati dall’Osservatorio nazionale femminicidi lesbicidi trans*cidi di Non una di meno. I numeri del Servizio analisi criminale del dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno nel 2024 registrano invece 113 le donne uccise, di cui 99 sono state vittime di violenza familiare o comunque in ambito affettivo. Di queste, 61 sono le donne uccise dal partner o dall’ex partner, secondo i dati del rapporto pubblicato il 14 marzo dal Servizio analisi criminale del dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. 

Nei primi quattro mesi del 2025, sono state undici le vittime di femminicidio e nel complesso 17 le donne uccise, dal primo gennaio al 31 marzo. 

Secondo la definizione che viene data al fenomeno dal «ddl femminicidi», che propone di introdurre in Italia l’omonimo reato, commette femminicidio «chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l'esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l'espressione della sua personalità».

Tuttavia sarebbe semplicistico fermarsi ad analizzare il solo atto di uccidere una donna come unico fenomeno che una persona che si definisce donna può subire perché tale. Il femminicidio infatti è l’ultimo gradino di una serie di discriminazioni, che hanno un carattere sistemico. 

Spesso è complicato denunciare, perché dietro a queste dinamiche si possono nascondere dipendenza economica dalla persona che esercita violenza fisica e la necessità di pensare non solo a sé stesse, ma anche alla cura dei figli e, ancora, la solitudine e l’isolamento che si accompagna alle dinamiche violente. 


Il numero antiviolenza è il 1522, attivo 24 ore su 24, gratuito e multilingue. È possibile contattarlo anche tramite chat sul sito www.1522.eu o tramite app. 

Esiste anche un segnale universale, il «Signal for help», per chiedere aiuto in caso di violenza domestica. Per farlo, si può tenere la mano in alto, piegare il pollice sul palmo mentre le altre dita sono piegate verso il basso, intrappolando simbolicamente il pollice tra le dita, chiudendo le dita a pugno coprendo il pollice. Si tratta di un segnale ideato nel 2020 durante il lockdown nel 2020. Sembra un saluto ma in situazioni di emergenza può essere vitale da conoscere. 

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