C’è grande agitazione sotto il cielo di Sicilia, e non solo. Il boss latitante Matteo Messina Denaro torna prepotente nelle cronache nazionali. Prima, un fotogramma che pare per la prima volta mostrarlo pubblicamente. Poi una vasta operazione a Castelvetrano e nelle province di Trapani e Agrigento che fa parlare di “terra bruciata” e di “cerchio che si stringe”, espressioni sentite troppo spesso nel corso degli ultimi anni. Ma è proprio così?

Mettiamo un po’ di ordine. 

La settimana scorsa il Tg2 ha mostrato un video “esclusivo”. In quel video potrebbe esserci Messina Denaro a bordo di un Suv, un Mitsubishi Pajero. Il video è ripreso da una telecamera nascosta piazzata dalla polizia, in una contrada di Santa Margherita Belice, in provincia di Agrigento. Una stradina che conduce alle fondo di proprietà di Pietro Campo. Che infatti guida l’auto ripresa nel video. L’altro, accanto a lui, potrebbe essere Matteo Messina Denaro. Il condizionale è d’obbligo. Il video è stato tirato fuori dagli archivi degli investigatori, che avevano passato al setaccio tutte le immagini di quel periodo, convinti che Campo potesse essere in contatto con il boss latitante. Ma ci sono due particolari: il primo, nel fotogramma non si vede quasi nulla. Potrebbe essere chiunque, quel tizio lì. Seconda cosa: l’immagine è del 2009. Ovvero, più di dieci anni fa. Un’eternità, dal punto di vista investigativo. È per questo che l’entusiasmo con cui è stato accolto il servizio televisivo viene smontato da diversi investigatori. Non è detto che sia lui, ripetono. Anzi, quel fotogramma è stato già valutato e scartato. E se è lui, pardon, Iddro, non è detto che adesso gli assomigli.

Il fatto è che assomiglia sempre di più all’esplorazione di un cielo stellato, questa caccia a Messina Denaro, una serie di puntini luminosi, con costellazioni tutte da decifrare, e con l’amara considerazione che quello che noi vediamo oggi, in realtà è luce che proviene da mondi e tempi lontanissimi: un video del 2009, la sua voce registrata nel 1991, durante la testimonianza in un’udienza,  e spuntata fuori dagli archivi della Procura di Marsala, le immagini di matrimoni in famiglia negli anni ‘80. Del boss però non si hanno neanche le impronte digitali. 

L’ultima operazione della polizia

Meglio concentrarsi sull’attualità, e l’attualità viene fornita giusto  il giorno dopo lo “scoop” del Tg2 da una maxi operazione che mette a soqquadro Castelvetrano e il Belice. Cani, elicotteri, centocinquanta agenti delle Squadre Mobili di tre Questure: Palermo, Agrigento, Trapani. In città l’eco si sparge veloce, si parla di arresti clamorosi, e anche nei media si alza l’eccitazione. Ma, anche lì, bisogna ridimensionare tutto. Non ci sono stati arresti, nelle perquisizioni della polizia, ma solo controlli a casa di alcuni fiancheggiatori storici del boss, alla ricerca non di Messina Denaro (se si nascondesse davvero a Castelvetrano, sarebbe imbarazzante per tutti) ma di qualche “pistola fumante”, una traccia, un indizio. E’ un’operazione, anche questa, diventata di routine. Tra i nomi coinvolti quello di Calogero Giambalvo: ex consigliere comunale di Castelvetrano, arrestato nel 2014 per mafia e poi assolto, Giambalvo è diventato famoso perché, intercettato, si vantava di essere andato addirittura a caccia con Messina Denaro. Poi, però, davanti ai giudici ha confessato di essersi inventato tutto perché voleva sentirsi importante … Ha una condanna per tentata estorsione, ed ha subito un sequestro di beni per un milione di euro. Ci sono, però, coinvolti in quest’ultima operazione, anche  due suoi familiari, Giuseppe e Pietro Giambalvo, di Roccamena e Santa Ninfa. Il primo fa parte addirittura dell’archeologia mafiosa. Nei suoi reportage il giornalista Mario Francese, ucciso dalla mafia nel 1979, lo descriveva come il guardaspalle di Leoluca Bagarella.  Poi, tra gli indagati, ci sono Giovanni Furnari,  fratello di Saverio, killer di mafia morto suicida in carcere nel 1997;  Lorenzo Catalanotto, arrestato nel 2011 perché considerato uno dei postini del latitante; alcuni esponenti storici della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e Giovanni Campo, che è il figlio di Pietro Campo, l’uomo alla guida del Suv nel video diffuso dal Tg2. 

E nell’elenco delle persone colpite dal provvedimento di perquisizione della Squadra Mobile di Trapani e del Servizio centrale operativo c’è anche una donna Laura Bonafede, 54 anni. E' la figlia di Leonardo Bonafede, capomafia di Campobello di Mazara, scomparso l'anno scorso. Ed è moglie di Salvatore Gentile, in carcere con diverse condanne all’ergastolo dal 1996, perché ritenuto killer di fiducia di Matteo Messina Denaro.

La prima “pentita”.

E, a proposito di donne, ci potrebbe essere anche la prima “pentita” che ha informazioni su Messina Denaro. È Angela Porcello. Avvocato, compagna del boss Giancarlo Buggea,  è stata arrestata a Febbraio del 2021 nell’operazione antimafia Xydi, perché metteva a disposizione il suo studio per le riunioni del clan, a Canicattì, in provincia di Agrigento,  faceva da cassiera, e portava messaggi riservati ai boss in carcere, dove poteva entrare grazie al suo ruolo di legale.  Porcello, 50 anni, cancellata dall’Ordine degli Avvocati, ha deciso di collaborare. Dice di sapere tutto su come funziona il sistema delle estorsioni nel mercato ortofrutticolo, perché lo gestiva lei stessa. E ha raccontato, ad esempio, che il suo compagno, Buggea, conosce Messina Denaro da almeno trenta anni, che è amico stretto di suo nipote, Luca Bellomo, e di aver conosciuto addirittura “Don” Ciccio Messina Denaro, il padre del boss. Secondo Porcello il suo ormai ex fidanzato saprebbe anche indicare i nomi di chi copre la latitanza del boss. I pm però le hanno negato la richiesta di ottenere lo status di collaboratrice di giustizia (sarebbe la prima nella storia di Cosa nostra). Il giudizio è lapidario: "Non emergono elementi di novità, completezza e rilevanza rispetto a quanto già accertato e, quindi, non ci sono i presupposti per un percorso di collaborazione".

Perché gli inquirenti procedono con i piedi di piombo su questa collaborazione? Perché sanno che Agrigento è terra di sabbie mobili, e già una volta sono caduti nella trappola di un finto pentito. Si tratta di Giuseppe Tuzzolino, architetto. L’ultima condanna per lui è arrivata questa settimana: 4 anni di reclusione e quindicimila euro di risarcimento danni per essersi inventato delle false accuse nei confronti del suo ex avvocato, Salvatore Pennica. Tuzzolino lo ha  accusato falsamente di avere custodito su suo incarico, nel 2013, supporti informatici contenenti rivelazioni "scottanti" su politica, malaffare e corruzione. L’avvocato ha subìto perquisizioni di Squadra Mobile e Direzione Investigativa Antimafia, a caccia di archivi informati che in realtà non esistevano.

Tuzzolino fu arrestato nel 2013 per un’inchiesta sulle truffe edilizie in provincia di Agrigento. Ammise le proprie responsabilità e cominciò a fare dichiarazioni su mafia, massoneria e corruzione in Sicilia. Gli credettero. Parlò di una loggia segreta “itinerante” (proprio così ...) , chiamata “Sicilia” e di cui fa parte Messina Denaro insieme a molti politici e imprenditori, con una cassa comune creata con i soldi delle tangenti sugli appalti per le grandi opere.  La cassa si chiama “Il tronco della vedova”, raccontava, e ogni impresa che vinceva un appalto in Sicilia doveva versare il 5% dell’importo. Parlò di progetti di attentati contro alcuni magistrati, di altri disse che erano vicini a Cosa nostra. Addirittura  riuscì a fare andare la Dda di Palermo  a New York, in un lussuoso hotel di Mahnattan, perché sapeva che  in una stanza c’era una cassaforte con un altro supporto informatico con  le immagini di Messina Denaro. Gli agenti non trovarono nulla. E cominciò a venire qualche sospetto.  Nel 2017 l’arresto per calunnia, e il primo di una serie di processi che hanno portato a smontare il fragile castello delle sue accuse, talmente incredibili da essere prese per vere… 

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