Da undici anni il golfista irlandese non vinceva un Major, uno dei quattro tornei più importanti. C’è riuscito al Masters di Augusta, il solo che non avesse ancora conquistato. Storia di un’ossessione che nello sport contemporaneo aveva pochi termini di paragone
Chissà quale brano ha ascoltato una volta indossata la giacca verde ed è rientrato nel silenzio della villa in cui vive quando è impegnato sui prati dell’Augusta National Golf Club. Se I will follow degli anglo-dublinesi U2 («Ero perso/ora mi sono ritrovato/Se te ne andrai via io ti seguirò»). Oppure Days like this di Van Morrison, cantore supremo di quel particolare misto di malinconia, voglia di festa e accettazione della violenza che compongono l’aria dell’Irlanda del nord («Quando tutte le parti del puzzle sembra che vadano al loro posto/allora devo ricordare che ci saranno giorni così»).
Rory McIlroy le radici le avverte ogni mattina quando apre gli occhi nonostante sia uno degli atleti più global del pianeta. Sono quelle stesse radici affondate in Van Morrison o negli Adventures che nel 1988 definivano il North Ireland niente di più di una broken land, una terra spezzata. Era un anno prima che Rory venisse al mondo, Quella stessa terra intrisa di sentimenti forti che lo ha portato a piangere davanti agli occhi del mondo dopo aver conquistato l’unico Major che gli mancava per completare il Career Grande Slam (come lui solo Sarazin, Hogan, Player, Nicklaus e Tiger Woods) e soprattutto abbattere il tabù che The Masters era diventato dopo quanto successo nel 2011.
Il precedente
In quella edizione Rory, avanti di quattro colpi sui concorrenti, crollò nel finale commettendo errori da principiante e finendo 15°. E dopo 14 anni di tentativi falliti e di frustrazione crescente pure il finale dell’edizione 2025 si stava per trasformare in un altro incubo: avviato verso il successo ha spedito in acqua un approccio che in altre circostanze non avrebbe sbagliato mai e alla buca successiva è incorso in un altro bogey (completare una buca in un colpo in più del par). A decidere tutto è stato il playoff contro Justin Rose.
Il concetto di tabù è qualcosa che lo sport interpreta meglio di qualunque altra attività umana. Con la vittoria ad Augusta Rory ha vendicato chi non ha avuto una seconda possibilità di cancellare i suoi errori. Baggio non ha mai potuto calciare un altro rigore in una finale mondiale (Usa ’94) che non finisse sopra la traversa. Franco Bitossi non ha mai avuto l’opportunità di arrivare in testa a poche decine di metri dal traguardo di un Mondiale di ciclismo sentendosi la vittoria in tasca senza che Marino Basso o un altro compagno di squadra gli sbucasse alle spalle (Gap ’72) e gli infliggesse la coltellata agonistica più tremenda che si possa immaginare. Rory ha attraversato all’ultimo colpo, prima che il peso del tabù diventasse insostenibile, la porta che la sorte gli aveva socchiuso di fronte.
L’attesa
La vittoria di McIlroy ha avuto un impatto mediatico enorme. I commentatori della Cbs, subito dopo il trionfo, sono rimasti in silenzio per oltre cinque minuti lasciando spazio alla ondata emotiva che traspariva dall’evento live. Del resto Rory non è un personaggio come gli altri: ad onta dei capelli grigi che fanno capolino sul suo cranio si porta appresso un’aura da eterno bambino. Il suo è lo sguardo anche involontario di chi sbircia il mondo scostando la tendina ricamata della finestra al piano terra di una casetta in mattoni rossi. E poco importa che il suo attuale status di miliardario lo ponga in un’altra orbita rispetto a quella in cui hanno vissuto i suoi genitori Gerry e Rosie nonché la maggioranza dei suoi conterranei.
Nel 2007 dopo il secondo posto da dilettante all’Open Championship di Carnoustie, Rory tornò a casa in Irlanda del nord. E sul putting green che i suoi genitori avevano allestito davanti a casa, fece rivivere i putt che gli avevano garantito il piazzamento. Non è difficile immaginare che ripeterà la mise en scene anche per il playoff di Augusta. Ma non una volta sola. Il golf permette di rivivere un simile Beautiful day per sempre.
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