Nel giorno in cui Patrick Zaki compie 30 anni, la politica italiana si risveglia e riaccende l'attenzione sul ricercatore rinchiuso in un carcere egiziano dal 7 febbraio del 2020. Nel frattempo, però, l'iter per la concessione della cittadinanza italiana a Zaki non decolla.

«La sua detenzione è una vergogna», scrive il presidente del Parlamento europeo David Sassoli su Twitter, mentre il segretario del Pd Enrico Letta chiede che il governo italiano dia la cittadinanza al giovane egiziano che, prima dell'arresto, frequentava un master all'Università di Bologna. Ma a incalzare il governo su questo tema sono in molti, e non solo sui social.

Nulla è accaduto

Filippo Sensi, deputato del PD, ha chiesto oggi alla Camera la calendarizzazione della mozione per dare la cittadinanza per meriti speciali a Zaki (prima firmataria la deputata dello stesso partito Lia Quartapelle).  «C'è troppo silenzio, c'è una rivendicata strategia del silenzio, come a dire lasciateci lavorare», ha detto Sensi chiedendo al governo di agire perché «non c'è più tempo».

In realtà una mozione identica, sempre su iniziativa dem, era stata approvata all'interno di un ordine del giorno al Senato lo scorso 14 aprile. A quel voto sarebbe dovuto seguire un iter con la presentazione della richiesta di cittadinanza da parte del Ministro dell'Interno, di concerto con il ministro degli Affari Esteri, al Consiglio dei ministri. Che a sua volta avrebbe dovuto attivare una procedura che si sarebbe conclusa con la concessione della cittadinanza per meriti speciali tramite decreto del Presidente della Repubblica.

Ma nulla di tutto questo è accaduto. D'altronde, che le cose non sarebbero state facili si intuiva già dalle dichiarazioni conseguenti al voto.

Il gelo del governo

Tutti ricordano le parole di Marina Sereni, viceministra degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, durante il dibattito al Senato. Sulla cittadinanza a Zaki, disse, c'erano alcune circostanze da verificare e potevano sussistere «possibili effetti negativi sul suo rilascio».

Due giorni dopo anche il Presidente del Consiglio Mario Draghi gelò qualsiasi entusiasmo: «Quella su Patrick Zaki», dichiarò lapidario, «è un'iniziativa parlamentare in cui il governo non è coinvolto al momento».

Un'affermazione perentoria, poi apparentemente stemperata dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova che il 19 aprile annunciò che la Farnesina «comincerà oggi stesso a verificare le condizioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana a Patrick Zaki».

Sono passati quasi due mesi da quella girandola di dichiarazioni e, per ora, l'iter non registra alcuna accelerazione, anzi: sembra del tutto ancora al palo.

Al momento risulta che nessuna richiesta sia stata presentata al Consiglio dei ministri, cosa che, invece, è accaduta per Zakia Seddiki, la vedova dell'ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in Congo lo scorso febbraio. Per lei, di origine marocchina, il CDM ha deliberato di attivare la procedura un mese dopo l'uccisione del marito.

«Meglio il silenzio»

Ma rilasciare la cittadinanza a un prigioniero di coscienza egiziano ha ben altro valore. L'Egitto è un partner strategico dell'Italia e le partite su Fincantieri, Leonardo ed Eni sono dei pilastri non solo economici ma anche della nostra politica estera. Impossibile, insomma, mantenere una linea dura.

Lo confermano le parole dello stesso di Maio pronunciate lo scorso maggio: «Per Zaki è meglio il silenzio».

Qualcuno l'ha ribattezzata la politica degli "zitti e buoni": tenere basso il profilo per raggiungere l'obiettivo. Una posizione che ora la Farnesina può rivendicare con più forza grazie ad alcuni risultati come la scarcerazione di Marco Zennaro, l'imprenditore arrestato in Sudan, e l'archiviazione da parte della Corte Suprema Indiana per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i famigerati marò, accusati di aver ucciso due pescatori indiani nel 2012.

Secondo alcune fonti vicine alla maggioranza, sul caso Zaki la Farnesina sarebbe divisa: la linea  attendista si scontra con un'altra più propensa ad agire, soprattutto dopo l'ultima udienza al Cairo che, il 2 giugno, ha prolungato di altri 45 giorni la custodia cautelare il ricercatore egiziano. A quella seduta, per la seconda volta, le autorità egiziane non hanno ammesso il rappresentante dell'Ambasciata Italiana in Egitto.

La nostra diplomazia, insomma, cerca metodi più soft anche se, in futuro, non si sa quale delle due strategie prevarrà: non è neppure da escludere, quindi, che nelle prossime settimane possano fare capolino iniziative come la convocazione dell'ambasciatore egiziano in Italia.

Scontro al vertice

A chiedere risposte sono anche i parlamentari del M5S, movimento a cui appartiene lo stesso Di Maio. La seconda mozione contenuta nell'Ordine del giorno approvata al Senato il 14 giugno chiedeva la promozione dell'applicazione della Convezione delle Nazioni Unite contro la tortura. Prima firmataria Michela Montevecchi, senatrice pentastellata e capogruppo nella commissione Diritti umani a Palazzo Madama. Montevecchi, già il mese scorso, aveva chiesto che la commissione verificasse l'operato del governo. Ma anche sull'applicazione della Convenzione Onu contro le torture, al momento, non risulta che l'esecutivo si sia espresso.

Per questo la senatrice, domani, presenterà due interrogazioni parlamentari al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e allo stesso Di Maio: lo scopo è chiedere quali azioni intendano intraprendere per attivare gli strumenti previsti dalla Convenzione Onu.

Così mentre la politica twitta, compra regali ed esprime solidarietà per Zaki, il governo tace. Domani il sipario sulla vicenda calerà di nuovo. Sino alla prossima udienza.

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