Dalle carte delle indagini emerge anche l’ammirazione per Roberto Fiore, che dal punto di vista dei militanti non ha «rinnegato» il suo fascismo come Giorgia Meloni, contro cui volevano organizzare un attentato
Due generazioni diverse che si incontrano e insieme rivolgono al passato uno sguardo nostalgico. Gli indagati finiti nell’inchiesta della procura di Bologna, che mercoledì 4 dicembre ha sventato la Divisione Nuova Alba e cioè l’associazione neonazista e razzista che voleva sovvertire l’ordine delle cose, hanno tra i 16 e i 76 anni. Nati e cresciuti in epoche differenti, tra loro non c’è nessun grado di separazione quando si discute di Benito Mussolini o Adolf Hitler, di Julius Evola o Carlo Mattogno. Tutti miti, questi ultimi, e modelli da seguire.
Sul comodino i «camerati» hanno anche lo stesso libro, il Mein Kampf, che viene definito, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del tribunale bolognese che ha portato all’arrestato di dodici persone, vera e propria «bibbia». Animati dagli stessi ideali, dunque, gli esponenti del gruppo hanno pure lo stesso obiettivo: organizzare un attentato nei confronti della premier Giorgia Meloni. Uno degli indagati davanti a questo piano ha solo un ostacolo: il dover assistere la madre malata che, conscia dell’azione che il figlio desidera mettere in campo, lo prega «di non fare questa cosa prima» della sua morte.
Meloni, per i «camerati» che nel 2022 hanno tappezzato la rossa Bologna con volantini terroristici, è «fascista che perseguita i fascisti», una che «si è definita fascista finché non è salita al potere e ora rinnega di esserlo», una «traditrice». Al contrario, chi non rinnega di esserlo, fascista – e anzi si definisce «fascista rivoluzionario», come è successo nelle scorse settimane in occasione dell’adunata militante di via Genzano a Roma – è Roberto Fiore. Molto probabilmente è per questa ragione che il partito fondato da Fiore, con una condanna tra le altre per associazione sovversiva ai tempi di Terza Posizione, viene più e più volte lodato dai neonazisti dell’associazione che non ha intaccato solo Bologna ma anche altre città, da nord a sud Italia.
Il giudizio su Forza Nuova
Nelle carte giudiziarie i riferimenti a Forza Nuova, il partito di estrema destra che ha trattato alleanze elettorali col centrodestra, pertanto non mancano. Il movimento politico viene quasi visto come la “meta” a cui ambire, la “casa” entro cui essere ammessi. «La mia pretesa era di crescere, di andare in Forza Nuova, di andare in quei posti là. Se fossimo stati un po’ di più, chi lo sa ci avrebbero potuti già arrestare», dice uno tra gli indagati dell’inchiesta di Bologna. Sono questi i tormenti dei camerati: farcela, lasciare il segno, come “quelli” di Forza Nuova che soltanto qualcuno nel gruppo ha il coraggio di criticare insieme a Casapound. Per queste “pecore nere”, voci fuori dal coro, Forza Nuova e Casapound sono di fatto considerate realtà «affariste e nazionaliste ma non antisemite».
Intanto, in base a quanto si legge negli atti, i tentativi dei camerati di Divisione Nuova Alba di entrare nel partito fondato da Fiore a fine anni Novanta sono molteplici. Alcuni di loro cercano di accreditarsi con Fn. «Ciao ho menzionato il tuo numero al responsabile di Forza Nuova ti chiama alle 20 ci sei a casa? Si chiama Luca», dice un’esponente del gruppo neonazista a un altro indagato. E quando parla di Luca la donna si riferisce a Luca Bongiovanni (estraneo alle indagini), coordinatore del partito per l’Emilia-Romagna.
«Questi sms - scrivono gli inquirenti nell’ordinanza di custodia cautelare - fanno seguito alla conversazione telefonica, intrattenuta quello stesso giorno, intercorsa appunto tra la Cesari ed li Bongiovanni, nel corso della quale la donna, dopo aver accettato di ricostituire la sezione modenese di Forza Nuova, aveva proposto come referente per Bologna proprio lo Ziosi Andrea, descrivendolo come un giovane intelligente e brillante, distintosi per curare la rivista online ardire.org. Non si esclude che la Cesari e lo Ziosi - si legge ancora nelle carte - stessero ponendo in essere in quel periodo quella che la Digos individua come una strategia di entrismo, ovvero una tattica di influenza e condizionamento di una forza politica che gode già di un certo credito».
I modelli
Proprio Poli, tra gli arrestati dell’inchiesta nonché considerato uno dei vertici dell’associazione insieme a Daniele Trevisani, è poi «uno storico frequentatore degli ambienti dell’estrema destra eversiva italiana».
Gli inquirenti ne ricostruiscono il profilo. «Condannato dal Tribunale di Bologna nel 1979 per violazioni in materia di armi, lo stesso fu sottoposto ad indagini nelle prime fasi delle investigazioni sulla strage del treno Italicus per avere concorso alla ricostituzione del partito nazionale fascista – si legge nelle carte – Mediante riorganizzazione con il nome parzialmente modificato di Ordine Nero movimento di Anno Zero, del movimento Ordine Nuovo disciolto in forza del Decreto 23 novembre 1973 del Ministro dell'Interno, adottato a seguito della sentenza 21 novembre 1973 del Tribunale di Roma».
All’epoca Poli collaborava «alla distribuzione del periodico non autorizzato "Anno Zero" nella zona di Bologna e per la zona di Trieste nonché all'apertura a Bologna di apposita sede di ritrovo e di formazione ideologica, con distribuzione di pubblicazioni ed esposizioni di simboli incitanti all'uso di metodi violenti di lotta politica per il sovvertimento degli ordinamenti della Repubblica». La sua posizione fu poi stralciata dal processo principale.
Ma è alle «gesta» e alle azioni di alcuni storici esponenti dell'estrema destra italiana eversiva, quali Valerio "Giusva" Fioravanti, militante dei Nar, tra i condannati per la strage di Bologna del 1980, e Pierluigi Concutelli, figura di riferimento di Ordine Nuovo (condannato all'ergastolo per l'omicidio del giudice Vittorio Occorsio), che «i vertici del sodalizio mostrano ammirazione e rispetto».
«Onore a Fioravanti per la sua trasparenza e alla sua fermezza nell'argomentare quello che gli è stato imputato», dice, intercettato, Trevisani. E continua: «Tutti loro avevano dichiarato guerra allo Stato. Non verso i civili. Ma verso tutti i politici mafiosi e i loro servi. Era una guerra tra una Galassia non riconosciuta legalmente contro una forma “illegale" di Stato che continuava a fare i suoi porci comodi. Ecco perché non ci si deve pentire mai quando si tratta di attaccare la democrazia post Seconda guerra mondiale».
Tutta questa «ammirazione per la fermezza dei terroristi di destra degli anni Settanta-Ottanta anche di fronte ad omicidi e alle condanne all’ergastolo» porta gli esponenti del gruppo a credere, dice chi indaga, nella necessità di una «guerra allo Stato».
«Famo la guera», è stata anche la minaccia neofascista dopo le condanne in primo grado degli esponenti di Forza Nuova, Fiore e Giuliano Castellino, a seguito dell’assalto alla sede romana della Cgil nel 2021. Fare la guerra, «una necessità – scrivono gli inquirenti – per il gruppo in questione», ma anche uno slogan che ritorna nei momenti più bui della storia.
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