Cinque persone straniere sono morte in circostanze poco chiare negli ultimi due anni nei Centri di permanenza per i rimpatri. Vakhtang Enukidze era uno di loro, il più vecchio, un cittadino georgiano di 38 anni che è deceduto all’ospedale di Gorizia il 18 gennaio 2020. Come si ricorderà, accadde che l’uomo, in seguito a una rissa scoppiata all’interno della struttura di Gradisca D’Isonzo, era stato portato prima in carcere e, dopo un giorno e mezzo di reclusione di nuovo trasferito all’interno del Centro per i rimpatri. Qui dentro aveva ripreso a star male e, successivamente, era stato trasferito in ospedale, dove il 18 gennaio, poi, era deceduto.

Cause da chiarire   

L’uomo morirà qualche ora dopo per le conseguenze di un edema polmonare, come stabilì l’autopsia. Su quell’episodio, però, continuano ad addensarsi delle ombre. Così come sulle altre storie di violenza accadute all’interno dei centri per i rimpatri negli ultimi due anni. Sei mesi dopo, il 14 luglio, un altro decesso avviene all’interno di Gradisca d’Isonzo. Stavolta, si tratta di un cittadino albanese che vi era entrato soltanto sei giorni prima, il quale viene trovato riverso in stato di incoscienza all’interno della cella di isolamento. L’estate precedente era stata la volta di Harry, ventenne nigeriano con disturbi psichiatrici che si era tolto la vita impiccandosi all’interno del Cpr di Brindisi-Restinco. E ancora: un cittadino bengalese di 32 anni fu trovato morto negli stessi giorni «per cause naturali» dopo aver trascorso 15 giorni in isolamento nel Cpr di Corso Brunelleschi, a Torino. Infine, Aymen, un cittadino tunisino di 32 anni anche lui morto per cause naturali, come aveva stabilito il medico legale che lo aveva visitato dopo il decesso avvenuto all’interno del Cpr di Caltanissetta il 12 gennaio del 2020.

«In relazione a tutte queste vicende, il Garante nazionale ha inviato alla Procura della Repubblica competente una nota di richiesta informazioni in veste di persona offesa; in due casi il Garante ha, altresì, nominato un proprio difensore e un proprio consulente tecnico per gli accertamenti in sede di esame autoptico», si legge nel report che è stato pubblicato il 12 Aprile dall’ufficio del Garante nazionale per i detenuti, Mauro Palma.

Migranti confinati

Il documento è l’esito delle visite che Palma ha condotto per gli anni 2019 e 2020 nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Bari, Brindisi-Restinco, Caltanissetta-Pian del Lago, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Milano, Roma-Ponte Galeria, Torino, Palazzo San Gervasio-Potenza, Trapani-Milo. Al termine delle quali è stato evidenziato, nel complesso: «l’evidente e incontrovertibile scarsa efficacia del sistema che, in linea con le precedenti annualità, anche nel 2019 ha visto realizzarsi l’effettivo rimpatrio di meno del 50 per cento delle persone trattenute». Basti pensare che nel 2019 su un totale di 6172 persone transitate nei Cpr quelle effettivamente rimpatriate ammontano a 2992. Secondo il Garante: «in spregio ai fini per cui la privazione della libertà dei cittadini stranieri è prevista dai principi fondamentali dell’ordinamento, la detenzione amministrativa assume nella prassi prevalentemente i tratti di un meccanismo di marginalità sociale, confino e sottrazione temporanea allo sguardo della collettività di persone che le Autorità non intendono includere, ma che al tempo stesso non riescono nemmeno ad allontanare». Parole dure, come pietre, quelle messo nero su bianco da Mauro Palma, suffragate dalla descrizione dei fatti; degli episodi di violenza che si sono succeduti negli ultimi due anni nei Cpr e, dalle condizioni materiali e di sospensione giuridica in cui si trovano i migranti trattenuti al loro interno. 

Diritti violati

«Manifestazioni di protesta, ribellioni e danneggiamenti alle strutture si sono succeduti senza sosta; inoltre, mai come in passato, si è verificato un numero così elevato di eventi tragici: tra giugno 2019 e luglio 2020, cinque cittadini stranieri hanno perso la vita mentre scontavano una misura di detenzione amministrativa». Si rileva nel report del Garante: «appare difficile non considerare tale serie di eventi infausti quantomeno il sintomo di realtà detentive gravemente e fisiologicamente problematiche non sempre in grado di proteggere e tutelare la sicurezza e la vita delle persone poste sotto custodia». L’ultimo fatto di violenza, in ordine cronologico, si è verificato due giorni fa, l’11 Aprile, all’interno del Centro di permanenza per i rimpatri di via Corelli, a Milano, dove tre migranti si sono feriti lanciandosi dal tetto per protesta e sono stati soccorsi e portati in ospedale.

Tutte le strutture visitate presentano grosse problematiche in relazione alle condizioni igieniche e materiali, secondo Mauro Palma, il quale quando ha visitato il Cpr di Caltanissetta a fine novembre del 2019, ad esempio, ha riferito che i padiglioni abitativi e i bagni erano privi di vetri alle finestre e che a fronte di un totale di 72 persone presenti, gli stessi servizi igienici presentavano due sole docce funzionanti, una per padiglione, sulle otto disponibili. Non solo. «I materassi di gommapiuma erano umidi, oltre che notevolmente usurati, sporchi e recanti tracce di muffa». Più in generale, ha rilevato ancora Palma: «nei Centri manca ancora un sistema uniforme di registrazione degli eventi critici, cioè degli episodi di autolesionismo, aggressioni, danneggiamenti, tentati o compiuti suicidi, che possa considerarsi affidabile, effettivo e completo».

Nelle 44 pagine del rapporto che è stato consegnato al ministero dell’Interno, inoltre, si fa riferimento a una serie di criticità che sono emerse dalle visite, dal punto di vista delle garanzie giuridiche riconosciute ai migranti trattenuti. In particolare, il Garante ha chiesto che le celle di sicurezza collocate nel livello interrato del Cpr di Torino siano messe fuori uso e ha raccomandato che non sia consentita, in qualsiasi struttura la permanenza, anche per periodi brevi di tempo, in locali non adeguati da un punto di vista dell’apporto di luce e di aria naturali, nonché di riparo da condizioni climatiche esterne difficili. Non soltanto. È stato chiesto di intervenire su quelle che sono state definite «promiscuità delle situazioni giuridiche». Nei fatti, che sia favorita il più possibile la separazione tra coloro che provengono dal circuito penale e coloro che si trovano solamente in una posizione di irregolarità amministrativa o che sono richiedenti asilo. Di intervenire, più in generale, sulla sostanziale opacità delle strutture di detenzione amministrativa, chiuse al mondo dell’informazione e della società civile organizzata, che anche prima dell’emergenza sanitaria si vedevano regolarmente negare dalle Prefetture le richieste di accesso. 

Il Viminale promette

E tuttavia la risposta ai rilievi e alle raccomandazioni mosse dal Garante dei detenuti non è tardata ad arrivare da parte del Ministero degli Interni che, attraverso una nota firmata dalla funzionaria del Dipartimento per le Libertà Civili e Immigrazione, Michela Lattarulo, ha riferito che «proseguono gli interventi di miglioramento e ripristino della funzionalità totale o parziale nei centri di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Milano, Roma, Torino, Trapani, compresi quelli diretti a realizzare spazi dedicati ad attività sociali, mensa e luoghi di culto». E ha assicurato che «i lavori che verranno programmati, laddove necessario, terranno conto dell’esigenza di assicurare la funzionalità e la riservatezza nell’ utilizzo dei servizi igienici». Più in generale, hanno promesso dal Viminale: «verrà richiamata l’attenzione dei Prefetti affinché, anche in fase di rilascio dal Cpr, vengano prestate le cure e l'assistenza necessarie a tutelare l’integrità fisica dei migranti, nell'ambito del vigente ordinamento». Condividendo, infine, con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza la raccomandazione circa la necessità di «evitare prassi lesive della dignità della persona come quelle segnalate dal Garante». Di assicurare i diritti minimi, dunque, nell’inferno dei Centri per i rimpatri dei migranti.

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