La procura di Trapani ha chiesto in udienza preliminare il non luogo a procedere «perché il fatto non costituisce reato» per tutti gli imputati del caso della nave Iuventa, rimasto il più grande procedimento penale ancora in corso contro le ong che operano salvataggi in mare. Nell’ambito del procedimento erano stati intercettati anche diversi giornalisti non indagati.

I pm hanno chiesto al gup il non luogo a procedere per i quattro membri dell’equipaggio, imputati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e la restituzione della nave di soccorso sequestrata nel 2017, e ormai distrutta. Una richiesta non vincolante per il giudice ma «un passo nella giusta direzione», hanno commentato dall’ong, sottolineando: «Che in otto anni siano stati spesi 3 milioni di euro di denaro pubblico per perseguire persone che salvavano vite umane è ancora una vergogna».

Il gup deciderà nei prossimi giorni. L’avvocata dei membri dell’equipaggio dell’ong tedesca Jugend Rettet Francesca Cancellaro si è detta soddisfatta della richiesta «ma – ha aggiunto – faremo comunque la nostra parte perché abbiamo argomentazioni non sovrapponibili». L’avvocata però sottolinea che «le accuse dovrebbero essere formulate solo dopo un’indagine approfondita e la raccolta di tutte le prove disponibili. Iniziare un processo senza le dovute basi è ingiusto e comporta un onere indebito per gli imputati».

L’altro legale dell’ong tedesca, Nicola Canestrini, ha poi raccontato che il governo ha abbandonato l’aula: «Oggi il governo, che aveva di fatto chiesto un risarcimento danni ai soccorritori, ha lasciato la decisione al tribunale e ha abbandonato l'aula».

«La Iuventa non avrebbe mai dovuto essere confiscata», ha affermato Sascha Girke, ex membro dell’equipaggio, tra gli imputati di Iuventa, «e le persone non sarebbero dovute essere lasciate a morire. Ora il tribunale di Trapani ha l’opportunità di fermare il tossico effetto di questa criminalizzazione della solidarietà, una situazione che non avrebbe mai dovuto essere permessa. Rivolgiamo un appello al tribunale affinché lo faccia».

Per Dariush Beigui, anche lui sulla nave e imputato nel processo, «se la procura avesse esaminato le prove fin dall’inizio, non sarebbe mai stata autorizzata a sequestrare la Iuventa e ci sarebbero stati risparmiati 7 anni di stress. Un occhio piange, l’altro ride».

Le accuse

Sette anni dopo è la stessa procura a non avere gli elementi per sostenere l’accusa infamante che i membri dell’equipaggio avrebbero favorito l’immigrazione illegale in collusione con i trafficati tra il 2016 e il 2017 durante tre diverse operazioni di salvataggio. Il reato punisce chi «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello stato», con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 15mila euro per ogni persona. 

Per gli inquirenti l’ong si sarebbe accordata con i trafficanti in Libia per concordare la raccolta delle persone partite dalle coste libiche, senza che avessero un regolare permesso di soggiorno. 

La procura di Trapani aveva chiesto il sequestro preventivo della nave, sostenendo che alcuni membri dell’equipaggio avrebbero lasciato tre imbarcazioni perché le recuperassero i trafficanti libici, una delle quali veniva utilizzata in un altro fenomeno migratorio il 26 giugno 2017, contrassegnata con le lettere KK.

Secondo quanto riportato dalla polizia giudiziaria, le ong sarebbero state un pull factor, una tesi più volte smentita, ed sarebbero state mosse da «aspetti economici»: avrebbero soccorso sempre più migranti per «mantenere alta visibilità mediatica e avere più donazioni». 

Uno studio del gruppo di oceanografia forense, “Forensic Architecture”, dopo otto mesi di lavoro aveva smentito le ricostruzioni dell’accusa, ricostruendo l’accaduto delle fasi in cui potevano esserci stati contatti con i trafficanti. Le accuse, secondo il gruppo, si basavano sulla decontestualizzazione e l’omissione di alcuni elementi. 

Le intercettazioni

Il procedimento è stato aperto nel 2017, mentre il governo italiano, con Marco Minniti ministro dell’Interno, cercava di introdurre un codice di condotta alle ong attive nel soccorso in mare, che le organizzazioni si erano rifiutate di firmare perché costituiva una minaccia al loro operato. 

Da un’inchiesta di Domani era emerso che l’ordine di indagare sulle organizzazioni umanitarie era arrivato dal ministero dell’Interno, pur non avendo alcun elemento concreto.

Nell’ambito dell’inchiesta della procura di Trapani sulle ong sono poi emerse centinaia le pagine di intercettazioni, trascritte e depositate che riguardavano giornalisti, mai indagati. La giornalista freelance Nancy Porsia è stata intercettata a lungo, anche nelle conversazioni con la propria legale Alessandra Ballerini, e veniva registrato il tracciamento degli spostamenti. Altri giornalisti sono stati intercettati indirettamente, mentre parlavano con rappresentanti delle ong, un normale rapporto con le proprie fonti. 

Nello Scavo, inviato di Avvenire, è stato intercettato mentre parlava con una sua fonte che gli doveva inviare un video che dimostrava le violenze subite dai migranti in Libia. Anche la giornalista freelance Francesca Mannocchi era stata intercettata mentre parlava con esponenti delle ong, che facevano riferimento ai viaggi in Libia della reporter.

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