C’è un momento, nella conferenza stampa dell’operazione Monastero, in cui Giuseppe Lombardo smette di parlare da magistrato e inizia a indicare una direzione collettiva. «Vi prego di non banalizzare mai ciò che ruota attorno alla ’ndrangheta», dice. Non è un inciso: è un invito urgente, il primo che non dovrebbe restare inascoltato. «Perché la ’ndrangheta è questa. E in questo territorio ha la sua componente apicale, quella che prende decisioni a livello globale».

Il riferimento è a Reggio Calabria, in particolare al quartiere Gebbione, dove all’alba del 13 maggio è scattata l’operazione che ha colpito ancora la cosca Labate, storicamente egemone nella zona. Il Ros dei carabinieri, supportato dallo Squadrone Cacciatori Calabria e coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia, ha eseguito quattro misure cautelari. In carcere: Michele, Francesco Salvatore e Paolo Labate. Ai domiciliari: Antonino Laganà. L’inchiesta, avviata nel 2019, ha ricostruito l’organigramma del clan e documentato un sistema estorsivo radicato, fatto di imposizioni, riscossioni e azioni ritorsive.

«Gebbione è un quartiere che conta circa 54mila persone. Ed è anche, probabilmente, l’area più interessante dal punto di vista commerciale e sociale. In un territorio fragile, economicamente depresso, la ’ndrangheta si è inserita come forza regolatrice, capace di condizionare ogni aspetto della vita quotidiana».

Lombardo non usa metafore. Spiega. Definisce. Non concede scorciatoie. A chi cerca la ’ndrangheta delle serie tv e a chi ha ridotto la mafia a commemorazione indica la realtà: «È una struttura che si rigenera, che stringe legami visibili e invisibili, che si muove dentro un tessuto di complicità, timori e convenienze».

Le indagini hanno mostrato un controllo capillare sull’economia locale. La cosca imponeva la scelta dei fornitori, gestiva una rete di collaboratori fidati e manteneva rapporti con la microcriminalità anche tramite esponenti della comunità Rom. Uno in particolare, secondo gli inquirenti, aveva un ruolo chiave: trasmetteva ordini, riscuoteva denaro, garantiva presenza.

«La mia prima operazione a Gebbione risale al luglio del 2007», ricorda Lombardo. «Sono passati 18 anni e siamo ancora qui, a parlare della stessa famiglia. Questo ci dice molto: non della debolezza dello Stato, ma della natura pervasiva e permanente della ’ndrangheta».

È in queste frasi che la sua voce diventa più di un resoconto. La continuità del fenomeno mafioso chiama in causa anche quella della risposta. «Il lavoro che facciamo, come magistratura e forze dell’ordine, non è a intermittenza. Ogni giorno, anche nel silenzio mediatico, si ricostruiscono tessere, si ascoltano collaboratori, si studiano evoluzioni».

Parlare di continuità significa parlare di memoria. È ricordare che se oggi si arriva a un’operazione come Monastero, è perché non ci si è fermati. Lombardo lo dice con chiarezza: «Non possiamo parlarne solo nei giorni degli arresti».

Eppure è proprio in quei giorni che spesso si tace. L’operazione Monastero ha ricevuto poco risalto nazionale. Non è un caso. È un riflesso di quel silenzio strutturale che avvolge le mafie e che, per il procuratore, rappresenta una forma di complicità. «C’è troppo silenzio sulla ’ndrangheta. E questo silenzio finisce per agevolarla». Su questo punto pesa un'indagine AgenSIR/Libera del novembre 2024: quasi due terzi dei cittadini (64%) pensano che della mafia si parli troppo poco, un aumento di 10 punti rispetto all'anno precedente.

Una parte centrale dell’inchiesta è fondata sui collaboratori di giustizia. «La voce dal di dentro è assolutamente indispensabile». Ed è qui che Lombardo scava ancora: «Abbiamo stime che ci consentono di dire che gli affiliati alla ’ndrangheta sono ben oltre i sessantamila. Movimentano miliardi di euro. Una dimensione che va oltre il racconto che spesso se ne fa».

L’analisi non si ferma agli strumenti di contrasto. Parla della Calabria. «Questo è forse il territorio economicamente più fragile d’Europa. E nonostante ciò, la ’ndrangheta continua a operare qui, consumando condotte mafiose che non sono solo predatorie: sono strumenti di assoggettamento». Un dato che dice qualcosa sull’equilibrio tra povertà e dominio, che chiama in causa il rapporto tra mancanza di alternative e forza del ricatto.

Poi, il passaggio più netto: «Questa è una terra di ’ndrangheta come poche altre in Europa. Ma non è questo il destino che dobbiamo accettare».

E ancora: «Ogni provvedimento giudiziario non è solo repressione, ma un messaggio: noi ci siamo. Oggi, domani, tra dieci anni. Non ci stancheremo mai».

Infine, l’appello alla stampa, che contiene l’eco dell’ultimo discorso del giudice Borsellino: «Raccontate la ’ndrangheta. Raccontate costantemente lo sforzo che magistratura e forze dell’ordine fanno. Solo così le persone perbene avranno la possibilità di capire che non sono sole. Che qualcuno quel fenomeno lo contrasta ogni giorno. Il contrasto c’è, è effettivo, è complesso. Ma c’è». Lombardo lo ha detto chiaramente: esserci «fa tutta la differenza del mondo».

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