Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra.

Le ragioni per cui era stato ucciso Mario Francese andavano certamente ricercate nella sua attività professionale, poiché dalla sua vita privata non emergeva nulla che potesse avere motivato l’azione criminale.

In realtà, era proprio l’attività giornalistica di Mario Francese a fare di lui un possibile obiettivo di "Cosa Nostra", per lo straordinario impegno civile con cui egli aveva compiuto una approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia verificatesi negli anni ’70. In un periodo nel quale, per la mancanza di collaboratori di giustizia, le informazioni sulla struttura e sull’attività dell’organizzazione mafiosa erano assai limitate, Mario Francese aveva raccolto un eccezionale patrimonio conoscitivo, di estrema attualità ed importanza.

Egli andava costantemente alla ricerca delle notizie che formavano la materia prima delle sue inchieste giornalistiche, attraverso il contatto diretto non solo con gli organi investigativi, ma anche con le più varie fonti capaci di offrirgli nuove chiavi di lettura e spunti inediti sui più gravi fatti di cronaca. Come ha specificato il collega Ettore Serio nel verbale di assunzione di informazioni del 6 maggio 1998, Mario Francese era «un cronista che, lungi dal limitarsi a “leggere carte”, investigava personalmente riuscendo ad acquisire informazioni “di prima mano”».

Mario Francese si identificava completamente con la sua professione, che lo portava a recarsi direttamente sui luoghi dove erano avvenuti i più gravi episodi di cronaca, per raccogliere tutti gli elementi che potessero aiutarlo a comprendere gli eventi ed il contesto in cui essi maturavano. Le informazioni così acquisite, e da lui elaborate con grande cura, rigore ed onestà intellettuale, venivano, poi, trasfuse in articoli dallo stile vivo, concreto ed efficace, che delineavano in modo chiaro e completo i contorni, i presupposti e le implicazioni degli avvenimenti di maggiore rilievo, descritti con grande ricchezza di dettagli, e senza tacere il nome di nessuno dei soggetti coinvolti, quale che fosse il suo spessore criminale ed il suo ruolo sociale.

Dagli articoli e dal dossier redatti da Mario Francese, emerge una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi verificatisi nel corso degli anni, di interpretarli con coraggiosa intelligenza, e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità sulle linee evolutive dell’organizzazione mafiosa, in una fase storica nella quale emergevano le diffuse e penetranti infiltrazioni di "Cosa Nostra" nel mondo degli appalti e dell’economia, ed iniziava a delinearsi la strategia di attacco alle istituzioni da parte dell’illecito sodalizio. Una strategia eversiva che avrebbe fatto un “salto di qualità” proprio con l’eliminazione di una delle menti più lucide del giornalismo siciliano, di un professionista estraneo a qualsiasi condizionamento, privo di ogni compiacenza verso i gruppi di potere collusi con la mafia, e capace di fornire all’opinione pubblica importanti strumenti di analisi dei mutamenti in atto all’interno di "Cosa Nostra".

La stagione degli “omicidi eccellenti”

È significativo che sia stato proprio l’assassinio di Mario Francese ad aprire la lunga catena di “omicidi eccellenti” che insanguinò Palermo tra la fine degli anni ’70 ed il decennio successivo, in attuazione di un preciso disegno criminale che mirava ad affermare il più assoluto dominio mafioso sui gangli vitali della società, dell’economia e della politica in Sicilia.

Chi – avvalendosi delle strutture operative di un’organizzazione connotata da un fortissimo vincolo di segretezza - aveva ideato un progetto delittuoso di così ampia portata, destinato ad incidere pesantemente sugli assetti socio-economici e sulle istituzioni, non poteva certamente tollerare che le lontane radici ed i più recenti sviluppi di questa strategia fossero descritti con profondità ed accurata attenzione, compresi nei loro esatti termini, e sottoposti all’attenzione della collettività, attraverso il giornale più diffuso nella Sicilia Occidentale. Per assicurare non solo la compiuta attuazione, ma anche l’efficacia intimidatrice di un complesso disegno destinato ad incombere su tutta la realtà sociale, con la sua oscura ed apparentemente inarrestabile forza, era particolarmente importante eliminare un cronista che, con il suo appassionato e coraggioso impegno civile e professionale, era in grado di fare chiarezza sullo scenario complessivo nel quale venivano ad inserirsi i tragici eventi susseguitisi dopo la metà degli anni ’70, rendendo visibile anche alla gente comune l’oscuro intreccio di interessi e di trame criminali sotteso alla più recente strategia della “mafia emergente”, ed additando all’opinione pubblica i protagonisti della nuova stagione di terrore mafioso.

Il modo di lavorare di Mario Francese era, sotto diversi aspetti, simile a quello degli organi investigativi: le sue inchieste giornalistiche, condotte direttamente sul campo, “in prima linea”, ed animate da una forte carica interiore di appassionata ricerca della verità, si intersecavano con le iniziative delle forze di polizia, che - nello stesso contesto di tempo e di luogo, e nonostante le obiettive difficoltà derivanti dalla mancanza di collaborazioni con la giustizia - provavano a tracciare un quadro credibile ed attuale del processo di riorganizzazione di "Cosa Nostra" e ad individuare le causali ed i protagonisti dei gravi episodi criminosi verificatisi negli anni precedenti.

Le dichiarazioni del colonnello Subranni

L’efficace impegno con cui Mario Francese esercitava la sua attività giornalistica, gli ideali di giustizia che lo guidavano, e l’importantissimo patrimonio conoscitivo che egli era in grado di trasfondere nei suoi articoli, concorrevano a rendere le sue analisi del fenomeno mafioso particolarmente interessanti, oltre che per il pubblico dei lettori, anche per l’autorità inquirente, cui egli era costantemente vicino, tenendo un contegno ispirato alla massima linearità e correttezza deontologica.

Al riguardo, assumono un pregnante significato le seguenti dichiarazioni rese davanti al Pubblico Ministero, nel verbale di assunzione di informazioni dell’8 gennaio 1997, dal Generale Antonio Subranni, il quale in quel periodo dirigeva il Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Palermo ed aveva espletato indagini sull’omicidio del Colonnello Giuseppe Russo:

Domanda: Può riferire sinteticamente sulla conclusione delle indagini da lei condotte sul duplice omicidio Russo-Costa?

Risposta: Le indagini, compendiate in quello che fu definito il “Rapporto Rosso” dal colore della copertina del dossier, confluirono prevalentemente sugli enormi interessi economici che ruotavano intorno alla realizzanda diga Garcia e che facevano sostanzialmente capo ai Corleonesi, nel cui territorio quella diga rientrava.

Domanda: Ha conosciuto il giornalista Francese Mario?

Risposta: Sì, l’ho conosciuto personalmente, e lo ricordo come uno dei più seri ed impegnati giornalisti che io abbia mai conosciuto. Si occupava, almeno sino agli ultimi mesi di vita, di cronaca giudiziaria, e proprio perché lavorava con particolare impegno e serietà, era costantemente vicino agli organi investigativi, ivi compresa la magistratura. Ricordo che, a seguito di gravi problemi cardiaci avuti, il Francese era stato destinato, in ultimo, alla cronaca sportiva, anche se, a mio giudizio, non aveva mai smesso, neppure per un momento, di occuparsi di fatti di mafia, dei quali si interessava in particolare. Ritengo anzi che, dato il suo carattere, abbia continuato, forse incautamente, a parlare di mafia anche durante la sua degenza presso l’ospedale di Corleone ove era stato ricoverato proprio a seguito di un infarto. Nulla di preciso posso comunque dire al riguardo, trattandosi di una semplice supposizione fondata sulla personale conoscenza del Francese.

Domanda: Allorché, come ha prima ricordato, conduceva indagini sulla diga Garcia, ha avuto modo di parlarne con il Francese?

Risposta: Certamente. Ricordo anzi che il Francese, che acquisiva autonomamente informazioni, “andava quasi di pari passo” con le indagini vere e proprie da me condotte, tanto che qualche volta ho dovuto pregarlo di non pubblicare notizie che avrebbero potuto in qualche modo intralciare le indagini. In altri termini, il Francese cercava continuamente un confronto per verificare la bontà delle sue informazioni.

Domanda: Dove avvenivano gli incontri col Francese?

Risposta: Avvenivano sempre nel mio ufficio e perciò apertamente, alla luce del sole. Se non ricordo male, allegai alcuni dei suoi articoli ad uno dei rapporti giudiziari da me redatti. Comunque ne tenni conto per la redazione di parte dei miei rapporti. Mi riferisco in particolare a circa quattro articoli di stampa, tutti riguardanti i lavori della diga Garcia, che erano stati scritti dal Francese in modo quasi incalzante, uno dietro l’altro, e che mi erano parsi di particolare interesse ed efficacia. Ciò ricordo anche per sottolineare la stima che nutrivo per il Francese e per il suo modo di lavorare, da vero cronista.

La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9

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