Marcello Dell'Utri si dice «commosso» dopo l'apertura del testamento di Silvio Berlusconi. Per l'ex senatore di Forza Italia il lascito è di trenta milioni di euro, meno di Marta Fascina che ne ha avuto cento, ma pur sempre un gruzzoletto utile per affrontare inflazione e costo della vita in crescita. Un assegno cospicuo che apre a due ipotesi. La prima è che l'ex cavaliere anche dall'aldilà abbia voluto continuare a guadagnarsi il silenzio del sodale di sempre, custode di segreti irrivelabili sulle origini dell'impero e i rapporti con la mafia.

La seconda è che Berlusconi abbia voluto unicamente omaggiare chi gli è stato vicino, prima nell'avventura imprenditoriale, poi in quella politica. Le parole al miele di Dell'Utri, in passato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, sono la dimostrazione del legame indissolubile: «Sono stato informato del legato che mi è stato lasciato da Silvio Berlusconi nel suo testamento. Sono commosso, profondamente commosso. Non me l'aspettavo, nonostante il profondo rapporto di amicizia che ci legava. Sono sorpreso, non è una cosa che capita tutti i giorni. Da stamani non faccio che piangere».

«Non se l'aspettava», dice l'ex senatore forzista eppure in vita, nel 2021, avevano già ottenuto un vitalizio mensile dopo anni di regalie con Berlusconi in versione babbo Natale. La sorpresa, a leggere bonifici e elargizioni, non era così imprevedibile.

L'indagine comune

I rapporti economici tra i due hanno trovato spazio in quell'indagine senza fine, per delicatezza e difficoltà investigativa, condotta dalla procura di Firenze che approfondisce il ruolo di presunti mandanti esterni nelle stragi di mafia del 1993, le bombe di Firenze, Roma e Milano. Iscritti per concorso in strage sono proprio Dell'Utri e Berlusconi fino alla sua morte, il 12 giugno scorso. Bisogna doverosamente ricordare che analoghe inchieste si sono sempre chiuse con l'archiviazione e che i protagonisti si sono sempre detti inorriditi dalle ipotesi accusatorie. Ai rapporti tra i due è dedicata una nota della direzione investigativa antimafia, gli inquirenti ritengono certi due dati analizzando le dazioni di denaro che, negli anni, l'ex presidente del Consiglio ha versato al fido amico.

«La continuità nel tempo dei versamenti, spesso elevati, e il secondo la motivazione, certamente non del tutto chiara, ma sicuramente connessa a un riconoscimento, anche morale, l'assolvimento di un debito non scritto, la riconoscenza, per quanto riguarda l'ultimo periodo quasi certamente, per aver pagato un prezzo connesso alla carcerazione, senza lasciarsi andare a coinvolgimenti di terzi», si legge nel dossier investigativo. In pratica Berlusconi ha sempre pagato integralmente anche le spese processuali e la ragione, secondo gli inquirenti, prescinde dall'amicizia profonda. «Come avrà modo di approvare la stessa moglie di Marcello Dell'Utri a una sollecitazione della moglie di Denis Verdini, per aver soldi da Berlusconi occorre ricattarlo, ''per una storia nostra ... "», si legge nelle carte dell'indagine. Persone vicine all’ex presidente del consiglio hanno sempre smentito questa ricostruzione bollando le pressioni come puro teorema dei pm.

Dal lascito al vitalizio

Domani ha ricostruito incontri e trattative per arrivare all'accordo, stipulato nel 2021, per garantirgli un vitalizio da 30 mila euro al mese, ora Dell’Utri dopo la morte del suo dante causa e finanziatore, di euro se ne trova trenta milioni. Negli anni, il fido Marcello ha ricevuto una barca di soldi, a partire dai miliardi dei primi anni novanta fino agli otto milioni di euro nel 2011, quasi 3 milioni di euro nel 2012 ai quali bisogna aggiungere i quasi 16 milioni di euro alla moglie dell’ex senatore. Negli anni successivi piovono altri denari fino all’accordo per il vitalizio che libera Berlusconi, e le casse delle aziende, dalla zavorra Marcello.

«La seconda notazione è relativa all'arco temporale in cui sono avvenute, storicamente individuabile in quello delle stragi continentali, ma anche della nascita del partito di Forza Italia, dell'impegno politico di Silvio Berlusconi, del concorso di Dell'Utri nella nascita del partito e del suo ruolo nei rapporti tra Berlusconi e persone appartenenti alla mafia siciliana, e, non ultimo, tra il 18 e il 21 gennaio 1994, il famoso incontro al bar Doney di Roma, ricostruito più volte in altri punti di questa indagine, per arrivare all'arresto dei fratelli Graviano il 27 gennaio 1994», si legge nelle carte dell'inchiesta. I Graviano sono Giuseppe e Filippo, entrambi stragisti, con il vizio di parlare, mandare messaggi obliqui, accusare e ritrattare. Così hanno fatto anche con Berlusconi parlando di presunti soldi investiti nell'impero berlusconiano e incontri risalenti ai primi anni novanta, ma non hanno mai deciso di pentirsi e collaborare con la giustizia.

I contatti di Berlusconi con i mafiosi (Stefano Bontade e Gaetano Cinà) risalgono agli anni settanta e sono tutti riportati nella sentenza definitiva a carico di Dell'Utri. Proprio quest’ultimo è stato il responsabile dell'arrivo ad Arcore del boss, Vittorio Mangano, ufficialmente stalliere, ma nei fatti ponte di collegamento con la Cosa nostra e garante del patto economico tra Berlusconi e la mafia stipulato grazie alle entrature dell'amico bibliofilo. Patto finalizzato a garantire tranquillità alle aziende e alla famiglia dell'allora imprenditore, negli anni maledetti dei sequestri di persona. Di Mangano, Berlusconi e Dell'Utri hanno sempre apprezzato una cosa: il silenzio davanti ai magistrati. E quello, come l’amicizia, ha una costo: in vita e non solo.

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