Nelle prime testimonianze i naufraghi raccontano di aver passato almeno 7 giorni in mare, nonostante le richieste di aiuto, e di aver visto almeno 50 persone, passeggeri come loro di un gommone alla deriva, morire annegati.

La nave dell’ong Sos Mediterranée, Ocean Viking, ha soccorso mercoledì mattina i 25 superstiti che sono riusciti a sopravvivere una settimana su un gommone che si stava sgonfiando, nelle acque internazionali al largo della Libia. Ustioni da carburante, sintomi di ipotermia, senza cibo e senza acqua, tutti i naufraghi versavano in condizioni di estrema vulnerabilità fisica e mentale. Tra loro, due persone sono svenute e trasportate d’urgenza in elicottero sulla terraferma, in Sicilia, dopo i vani tentativi di rianimazione della squadra medica dell’organizzazione.

«Un uomo ha raccontato di aver perso la moglie e il figlio di un anno e mezzo. Il bambino è morto nei primi giorni, mentre la madre il quarto giorno. Venivano dal Senegal e sono stati in Libia per più di due anni», ha raccontato una dei membri dell’equipaggio della nave umanitaria.

La traversata

Video di Johanna De Tessières (Sos Mediterranée)

I sopravvissuti hanno raccontato di essere partiti da Zawiya, città nel nord est della Libia, e dopo tre giorni di navigazione il motore si è rotto. A bordo del gommone, raccontano i naufraghi, c’erano almeno 75 persone, lasciate alla deriva nonostante le molteplici richieste di soccorso. Non è chiaro se quest’imbarcazione sia la stessa segnalata nei giorni scorsi da Alarm Phone, l’organizzazione che riceve le chiamate delle persone in difficoltà in mare, che chiedeva un intervento di ricerca e soccorso per una barca con a bordo circa 85 persone, con cui avevano perso i contatti.

È l’equipaggio della nave di Sos Mediterranée ad aver individuato il gommone sgonfio, a una distanza di circa 2 miglia, in condizioni molto precarie. I sopravvissuti, tutti uomini, raccontano, scrive l’ong, che tra le decine di persone che hanno perso la vita, c’erano donne e almeno un bambino. Non era l’unico minore sulla barca: sono dodici i minori che sono riusciti a salvarsi, due dei quali hanno meno di tredici anni.

Mentre faceva rotta verso le acque nazionali, la Ocean Viking ha effettuato altri due salvataggi, portando in salvo in tutto 226 persone. Una prima operazione è stata chiesta dalle autorità italiane, che avevano segnalato una barca di legno in difficoltà con a bordo 113 persone, tra cui 6 donne e due bambini, la sera di mercoledì. E poi, ieri in mattinata, l’equipaggio dell’ong ha salvato, con il supporto dell’aereo Sea Watch 2, altre 88 persone che navigavano su un gommone stracolmo.

Sos Mediterranée racconta che era presente anche una pattuglia della cosiddetta guardia costiera libica che però si è tenuta a distanza. È di pochi giorni fa la notizia dell’ennesima aggressione da parte dei libici a imbarcazioni di migranti: il 3 marzo durante un’operazione di salvataggio della nave Humanity 1 la guardia costiera ha infatti aperto il fuoco in acqua, dove si erano gettate diverse persone in preda al panico. Una persona è morta annegata.

Un porto sicuro?

Foto di Johanna De Tessières (Sos Mediterranée)

Alla Ocean Viking con a bordo 224 persone – tra cui quattro bambini con meno di quattro anni e almeno 35 minori non accompagnati – è stato assegnato il porto di Ancona, un viaggio di 1.450 chilometri per cui serviranno 3 giorni di navigazione, con «il rischio che le condizioni dei sopravvissuti si deteriorino», scrive la ong. L’organizzazione ha chiesto di poter attraccare in un porto più vicino, in linea con le norme del diritto internazionale che prevedono debba essere il porto più sicuro e paese più vicino a dover ospitare i naufraghi. Il soccorso infatti si intende concluso solo nel momento in cui le persone toccano la terraferma.

L’assegnazione ingiustificata di un porto distante dalla zona del salvataggio è una prassi iniziata con il governo di Giorgia Meloni, con Matteo Piantedosi ministro dell’Interno. Un’azione che fa parte della più ampia politica contro le navi umanitarie delle organizzazioni non governative che, in assenza di missioni europee nel Mediterraneo di ricerca e soccorso, sono rimaste le uniche a pattugliare le acque internazionali tra l’Europa e il nord Africa.

Ma oltre a imporre migliaia di chilometri di tragitto in più, ritardare così gli sbarchi e quindi il rientro in mare per continuare le operazioni, l’attività delle imbarcazioni delle ong è resa difficile anche dai provvedimenti giudiziari. Sono ben tre le navi della flotta civile sotto sequestro, la Sea Watch 4 e 5 e la Humanity1, e sulla Ocean Viking il tribunale di Brindisi sta decidendo sulla revoca o meno definitiva del fermo, accusata di aver violato il decreto Piantedosi.

L’assenza di una missione europea nel Mediterraneo e la difficoltà crescente per le ong di operare, anche se spesso sono le stesse autorità italiane a chiedere un loro intervento, ha reso il 2023 un anno letale. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’anno scorso il numero di morti e dispersi è aumentato del 30 per cento rispetto all’anno precedente. Nel 2023, l’agenzia dell’Onu ha contato almeno 2.271 morti e dispersi, solo sulla rotta del Mediterraneo centrale; 3.041 se si considera l’intero Mediterraneo. E solo nelle prime settimane del 2024 sono stati registrati 160 morti. Ma sono stime al ribasso.

Foto di Johanna De Tessières (Sos Mediterranée)
Foto di Johanna De Tessières (Sos Mediterranée)
Foto di Johanna De Tessières (Sos Mediterranée)
Foto di Johanna De Tessières (Sos Mediterranée)

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