Gafsa, cittadina di circa 100mila abitanti dell’entroterra tunisino, un luogo che negli anni della rivoluzione ha subito fortissime repressioni per mano della polizia e dove a causa delle compagnie di estrazione dei fosfati la popolazione non riusciva in media a superare i sessant’anni di età: polmoni, leucemie e un’acqua resa sterile a causa delle acque reflue.

In questo entroterra desolato la spaccatura sociale è plastica: una vasta parte della popolazione vive con un reddito mensile che oscilla tra i venti e i cento euro, è il luogo della lotta operaia sindacale. In questo contesto è cresciuta Olfa Hamdi, la gafsienne soprannominata “la figlia del bacino del Mediterraneo” un titolo che le ha fatto in breve tempo conquistare il carattere di rivoluzionaria. Figlia di un dottore in statistica e di una casalinga, si laurea per meriti nelle migliori università del paese e si specializza in Francia e negli Stati Uniti.

Nel 2021, dopo aver conquistato una notevole popolarità sui social e sulle televisioni nazionali viene nominata ceo di Tunisair, la compagnia di bandiera nazionale, incarico che però dura poco anche a causa della crisi Covid. Meno di un anno e mezzo fa il nome Olfa Hamdi era sconosciuto alla maggior parte dei tunisini. Oggi è una delle figure più polarizzate sui media tradizionali e digitali. La sua presenza in video funziona, è determinata, bella, carismatica, e riesce a incarnare un progetto di paese nuovo, moderno e progressista.

A novembre del 2023 annuncia la sua candidatura alle presidenziali del paese giocando la carta anagrafica, una giovane donna contro un anziano in preda a una deriva autoritaria. Olfa ha già deciso e proclamato la lista dei suoi ministri, gesto inusuale per la Tunisia quella di presentare in anticipo la squadra di governo. Ma lei punta tutto su questo, scardinare il sistema. D’altronde per la Costituzione tunisina Olfa è troppo giovane per candidarsi, l’età minima è quarant’anni, ma anche su questo promette cambiamento. Non punta a vincere, almeno non a questo turno, ma a sparigliare le carte.

Quando ha deciso di occuparsi di politica?

Poco più di un anno fa ho fondato un partito, Terza Repubblica, che ogni giorno cresce sempre di più. Sono una donna di centrodestra, indipendente e internazionale anche se rivendico le mie umili origini.

Come è diventata di destra nel luogo delle lotte operaie?

Sono appena rientrata da Sfax, sono stata per alcuni giorni con i migranti provenienti dall’Africa subsahariana e ho capito che stiamo sbagliando tutto. Ho ascoltato le loro storie, vissuto con loro e ho capito che stiamo ragionando da un punto di osservazione sbagliato. L’Europa continua a considerarli come un problema da risolvere, mentre non si rende conto che sono una grande opportunità. Una generazione di ragazzi che parla perfettamente due o tre lingue trattati come animali senza che abbiano commesso alcun crimine se non quello di provare a salvarsi la vita. La deriva razzista della Tunisia nei loro confronti è difficile. Io sono una donna di centrodestra che crede nei diritti umani, mi fa male vedere che non tutti la pensano cosi in Europa.

La presidente Meloni ad esempio, che verrà in Tunisia settimana prossima per discutere nuovamente con Saied di accordi per bloccare le partenze.

Alla leader Meloni dico che sbaglia a considerare i migranti come un problema da gestire, lavoriamo insieme per gestire i flussi regolari in maniera produttiva. Formiamo le persone e prepariamole al mondo del lavoro e alle sfide del nostro tempo. Noi dobbiamo ritrovare l’orgoglio tunisino e smettere di far parlare di noi come di un problema, siamo una grande nazione che non può rimanere esterna ed estranea al dibattito dei paesi del Mediterraneo. Continuiamo a creare accordi di cooperazione che prevedono soldi per militarizzare i confini e non ci concentriamo sul creare un grande hub di sviluppo del Mediterraneo per poter far partire, chi vuole, legalmente e in maniera sicura.

Come si può arginare il problema delle partenze clandestine?

Si tratta di una questione che tocca anche i tunisini, il nostro paese sta perdendo un’intera generazione, una volta riguardava solo le classi meno agiate, oggi anche e soprattutto la classe media. Viene negato il futuro a un popolo. Credo nel libero mercato, credo che creando opportunità di sviluppo investendo sul manifatturiero, sul turismo, valorizzando le nostre eccellenze e migliorando la qualità delle nostre scuole e alzando il livello di istruzione si vada nella giusta direzione. Dobbiamo mostrare alle future generazioni che questo è un paese dove possono restare.

Con un paese quasi in default non sarà facile, Saied ha fatto saltare l’accordo da 1,9 miliardi di euro con l’Fmi sostenendo che la Tunisia non accetta la carità. Lei avrebbe fatto lo stesso?

Io credo che la Tunisia debba diventare più credibile a livello internazionale e non essere più identificata come il paese dei trafficanti di esseri umani. Sogno un’economia forte e indipendente con relazioni solide con i paesi vicini. Voglio lavorare su un paese moderno, progressista e liberale.

La maggior parte dei leader di opposizione del suo paese è in carcere.

La deriva autoritaria è sotto gli occhi di tutti, questo sicuramente non aiuta la Tunisia a conquistare credibilità internazionale. I tunisini meritano di meglio, meritano che torni lo spirito della Primavera araba. La questione femminile sarà centrale. Oltre il 70 per cento dei neolaureati oggi è rappresentato da donne che provano a farsi strada ed essere rappresentate anche in politica, questo nonostante il nuovo codice elettorale di Saied con a malapena il 10 per cento di rappresentanza femminile nel nuovo parlamento.

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