Dopo circa due anni e mezzo la commissione parlamentare sull’omicidio di Giulio Regeni ha approvato all’unanimità la relazione finale dei lavori.

Oltre a ricostruire la vicenda giudiziaria e i rapporti bilaterali tra Italia ed Egitto, il documento arriva a diverse conclusioni, una di queste è sulle scelte politiche della Farnesina di rimandare l’ambasciatore al Cairo. Nel documento si legge che dopo il richiamo dell’ambasciatore italiano «la procura egiziana ha fornito importanti materiali a quella italiana (segnatamente la registrazione del colloquio di Giulio Regeni con il sindacalista Said Abdallah ed i tabulati telefonici)».

Il riferimento è al richiamo dell’ambasciatore Maurizio Massari dell’8 aprile del 2016 da parte del governo Renzi come conseguenza della mancata collaborazione da parte dei magistrati egiziani nel proseguire le indagini sull’omicidio del ricercatore egiziano. La scelta politica dell’allora presidente del Consiglio e del ministro agli Affari esteri Paolo Gentiloni è stata decisiva per la procura di Roma che ha in mano il fascicolo.

È con quel chiaro gesto che «la magistratura egiziana stessa sembrerebbe essersi resa conto dell’enormità dell’accaduto, aprendo, pur senza esito, un’inchiesta sugli eccessi compiuti dalla polizia». Tuttavia, la collaborazione ha subito un forte arresto proprio quando l’ambasciatore ha ripreso le sue funzioni dopo che è stato inviato dal ministro degli Esteri Angelino Alfano nell’agosto del 2017. Un anno più tardi le relazioni bilaterali tra i due paesi si sono man mano normalizzate e «nella controparte (le autorità egiziane ndr.) si è ingenerata l’opinione che la questione fosse chiusa o almeno confinata ad una dimensione laterale, consentendo di tornare al business as usual».

Le responsabilità del governo egiziano

«A livello politico è giunta l’ora di richiamare l’Egitto alle sue responsabilità, in quanto stato, che sono molto evidenti e pregnanti circa il destino di Giulio Regeni», scrive nel testo di trenta pagine il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta Erasmo Palazzotto.

Emergono una serie di elementi che attribuiscono alle autorità del Cairo responsabilità sul rallentamento e il depistaggio delle indagini della procura egiziana. Dalla «manomissione dei file log» delle telecamere di sicurezza della metro che avrebbe preso Giulio Regeni il giorno della sua scomparsa, al collocamento dei suoi documenti personali «sulla scena del crimine dagli stessi poliziotti». Una prima ricostruzione degli apparati di sicurezza egiziani imputava il rapimento, la tortura e l’uccisione del ricercatore egiziano a una banda di criminali. Una versione già smentita anche da Piazzale Clodio nel corso delle indagini.

«I responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni sono al Cairo, all’interno degli apparti di sicurezza e probabilmente anche all’interno delle istituzioni» specifica la relazione. A oggi, i quattro funzionari della sicurezza egiziana indagati dalla procura romana non sono mai comparsi in aula. Lo scorso ottobre la Corte di Assise ha deciso che gli atti del processo devono tornare al giudice per l’udienza preliminare perché «il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato agli imputati comunque non presenti all'udienza preliminare mediante consegna di copia dell'atto ai difensori di ufficio nominati, sul presupposto che si fossero sottratti volontariamente alla conoscenza di atti del procedimento». Uno stop al processo ma non una chiusura definitiva.

Italia lasciata sola

«La Commissione non può non denunciare il sostanziale isolamento dell’Italia nel rivendicare dal Cairo comportamenti concludenti sull’accertamento delle responsabilità della morte di Giulio Regeni e sulla punizione dei copevoli», si legge nel testo. Le accuse sono rivolte al Regno Unito, dato che Regeni era studente del prestigioso ateneo di Cambridge, che non avrebbe preso una posizione netta «presso le autorità egiziane, ritenendosi evidentemente assorbente la nazionalità italiana» e si è limitata invece a un esercizio giuridico internazionale consueto. Un’azione congiunta tra Italia e Regno Unito «avrebbe potuto esercitare sul Cairo maggiore pressione».

L’auspicio della Commissione parlamentare è che l’Italia assuma in sede europea «una posizione più assertiva e rivendicativa» basandosi anche sulle dichiarazioni votate dal Parlamento europeo a sostegno della verità sul processo sull’omicidio Regeni. Non basta la giustificazione basata sulla mancanza di una convenzione bilaterale in materia di cooperazione giuridica tra Italia ed Egitto, Palazzo Chigi è chiamato a un «atto deciso» che «sia rispettoso degli impegni assunti con la famiglia Regeni, con il parlamento e con l’opinione pubblica» scrive Palazzotto.

Dopo 45 audizioni la commissione parlamentare chiude ufficialmente i lavori iniziati nel dicembre del 2019. Lo fa con una riflessione sulla necessità di nuove procedure per perseguire i reati commessi all’estero contro i cittadini italiani ricordando Mario Paciolla, Luca Ventre, l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabinieri Vittorio Iacovacci.

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