Padre Hans Zollner, gesuita, direttore dell’Istituto di Antropologia dell’Università Gregoriana, da marzo 2023 è consulente del Servizio per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della diocesi di Roma. Il 29 marzo scorso si è ufficialmente dimesso dalla Pontificia Commissione per la tutela dei minori denunciandone la mancanza di chiarezza, come abbiamo raccontato su Domani il 18 aprile. Con lui parliamo di giustizia ecclesiastica, di formazione e della “via italiana” alla lotta contro gli abusi.

Come giudica il report della Cei sugli abusi nella Chiesa e la mancanza di una commissione indipendente?

Penso che il report sia un passo nella direzione giusta. Anche se a mio parere non è sufficiente perché, come abbiamo visto in altri paesi, quanto è stato fatto non basta: né in termini del periodo di tempo preso in esame (due anni, ndr), né in termini di trasparenza, metodo, ampiezza e indipendenza delle persone coinvolte nel condurre e produrre il rapporto.

La Cei ha annunciato la creazione di un “osservatorio” delle vittime, la cui voce è però sempre veicolata dalle istituzioni ecclesiastiche. Cosa ne pensa?

Non conosco le ragioni di questa decisione. Posso solo dire che in altri paesi funziona diversamente. Io penso che sarebbe meglio predisporre un posto dove tutte le vittime possano sentirsi a proprio agio, anche quelle che non vogliono essere riconosciute come tali e che rifiutano di andare in un edificio della chiesa. Per tante, infatti, l'esperienza dell'abuso è stata così drammatica che non vogliono più trovarsi vicino a un sacerdote né entrare in un’istituzione religiosa. Dobbiamo essere consapevoli che c'è il rischio di ritraumatizzare queste persone, perché è proprio nell'ambiente ecclesiastico che sono state abusate.

In Italia, un vescovo non è obbligato a denunciare all'autorità dello Stato un prete responsabile di violenza sessuale. E l'obbligo morale?

Secondo la legge italiana, il vescovo non è un funzionario dello Stato e perciò non è obbligato a denunciare gli abusi alle autorità civili. Questa è la lettera della legge, ma io penso che il vescovo abbia la responsabilità morale di farlo. Attenzione, però: bisogna tenere presente la volontà della vittima o dei suoi genitori. Tante vittime, a mio parere la maggioranza, non vogliono essere riconosciute pubblicamente e vogliono evitare le occasioni di ritraumatizzazione che possono presentarsi durante un procedimento giudiziario. Quindi, se un abuso è in corso, si deve fare tutto il possibile per impedire che la violenza continui e al tempo stesso rispettare la volontà della vittima.

In che modo?

Anche con la denuncia, ma non è detto che l'abuso termini per il solo fatto che il responsabile è stato segnalato alle autorità civili. Faccio l'esempio di un episodio che mi è stato raccontato in Malawi da una religiosa: un uomo è stato denunciato e arrestato per l'abuso della nipote ma, dopo due giorni, pagato il necessario per corrompere i poliziotti, è tornato nel suo villaggio e la vita della ragazza è diventata un inferno. Non credo che succeda lo stesso in Italia, certo, ma è per far capire che non è scontato che con la denuncia si garantisca la sicurezza della persona abusata.

La mancata denuncia, però, può certamente portare alla reiterazione delle violenze.

Infatti io insisto da un lato sul prendere in considerazione la volontà espressa dalla persona che ha subito violenza e dall'altro sul lavorare con le vittime, o con i genitori in caso di minori, per arrivare alla determinazione a denunciare, soprattutto per evitare che l'abuso continui o che ci siano altre vittime. Ripeto, il vescovo ha il dovere morale di denunciare, come è successo diverse volte anche in Italia.

Dove?

Ho sentito di vescovi in diverse diocesi che hanno costretto un prete responsabile ad autodenunciarsi, anche esponendosi alle critiche di altri sacerdoti.

Un vescovo che è a conoscenza di un abuso sessuale su un minore e copre il sacerdote responsabile trasferendolo altrove, è perseguibile dalla giustizia ecclesiastica?

Sì, se non applica le norme della stessa Chiesa è soggetto alle procedure di cui parla la legge del 2019, il Vox Estis Lux Mundi. Può essere punito per negligenza e copertura. Se il vescovo ha aperto una investigatio previa sul sacerdote secondo le indicazioni della Santa Sede, l'ha conclusa e ha comunicato il risultato alla sezione disciplinare del Dicastero per la dottrina della fede, allora il vescovo si è comportato correttamente.

Quando le autorità ecclesiastiche italiane offrono alla vittima una compensazione in denaro per il danno subito, questa ammonta spesso a 25mila euro. Come mai questa cifra? C'è una decisione a monte?

Non conosco la ragione per la prassi in Italia ma non penso che ci sia un'indicazione in proposito. In altri paesi si parla di cifre diverse e dubito che i vescovi agiscano sempre nella stessa maniera.

Queste offerte di denaro sono sempre accompagnate da una clausola di riservatezza. Non è un modo per pagare il silenzio della vittima?

Certamente può essere un modo per cercare di tacitare la vittima, che però ha sempre la possibilità di rifiutare. Inoltre credo che in una situazione di trauma o stress la vittima non sia in grado di giudicare bene le conseguenze di questo accordo, e quindi dubito che in certi casi questo possa considerarsi valido. In altri paesi, pur avendo firmato accordi di questo tipo, è successo che le vittime abbiano denunciato comunque.

Parliamo di formazione. La struttura attuale dei seminari è adeguata al mondo di oggi?

Molti rettori e altri responsabili della formazione sostengono che il seminario, così come è concepito e come ha funzionato per 450 anni, oggi andrebbe riformato almeno in occidente, perché non risponde all'esigenza di autoresponsabilizzazione del sacerdote. L'attuale forma del seminario tende a separare i futuri preti dalla vita della gente e porta i seminaristi a pensarsi migliori degli altri fin dall'inizio. Soprattutto non li prepara a quello che verrà dopo, al fatto che saranno soli. Tutti i rapporti indipendenti dicono che il celibato non produce gli abusi, però il celibato non vissuto bene e non pienamente accettato può diventare un fattore di rischio. Statisticamente, nel mondo, l'età media di un sacerdote che abusa per la prima volta è di 39 anni; quindi non sono i seminaristi o i giovani preti ad abusare ma i parroci che sperimentano da tempo la solitudine e si sentono spesso lontani dal vescovo e dai confratelli. Quindi bisogna certamente riformare il seminario ma anche pensare a una formazione continua del sacerdote diocesano.

Un seminarista che abusa di un minore non rientra nella competenza del Dicastero della dottrina della fede. Quindi la chiesa non ha responsabilità di quel che accade nei seminari?

La competenza del Dicastero per la Dottrina non riguarda un seminarista non ordinato, ma solo diaconi, sacerdoti e vescovi. Però dal 2019, in forza della Vox Estis Lux Mundi, anche i non chierici quando abusano, non solo sessualmente, possono essere soggetti a procedimenti ecclesiastici da altri Dicasteri. Ma una legge non è mai retroattiva.

Lei ha più volte parlato di una mentalità cattolica che si trova alla base degli abusi. Che cosa intende?

Parlo della difficoltà di rispondere a questo dramma: da quasi quindici anni mi meraviglio che il discorso degli abusi fiorisca molto brevemente nei media italiani e poi sparisca. Pur avendo molte notizie a disposizione, tranne Domani e per un certo verso Left, in Italia non vedo molti altri che se ne occupino in modo continuo. Il tema degli abusi viene fuori quando la società è pronta ad affrontarlo, consapevolezza che io non vedo né nella chiesa né nella società italiana in generale. La mia ipotesi è che ci sia un'impressionante presenza di abusi a livello di famiglia, sport, turismo, moda, cinema e che nessuno voglia affrontare il problema.

Qual è lo specifico degli abusi in contesto ecclesiale?

Innanzitutto una struttura gerarchica investita di potere sacro che fa sì che sacerdoti, religiosi e vescovi vengano considerati esseri superiori, non grazie a competenze personali o professionali ma semplicemente perché ricoprono un ruolo. Questo è aggravato dal fatto che questo privilegio viene ricondotto alla sfera divina, quindi a qualcosa che sta al di là di qualsiasi giustizia terrena. Noi siamo considerati un mondo a parte e questo teologicamente è molto pericoloso perché non rispetta il pilastro del cristianesimo, cioè che Gesù Cristo si è fatto uomo accettando di sottoporsi alla giustizia terrena. Gesù è venuto per salvare il mondo, non per disprezzarlo: per me quindi cattolico significa, secondo il Magistero, rispettare e valorizzare la legittimità del mondo con le sue istituzioni, dove queste seguono le leggi democraticamente stabilite.

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