Gli Stati potranno dichiarare inammissibile una domanda d’asilo sulla base di tre criteri alternativi: un legame (ormai molto diluito), un transito (anche minimo) o un accordo bilaterale con il paese di destinazione. La protesta di Ong e associazioni
Maglie sempre più strette. Il Consiglio dell’Unione europea discute oggi un nuovo compromesso sulla definizione di “paese terzo sicuro”, uno dei capisaldi del Patto Migrazione e Asilo approvato nel 2024 e in vigore dall’estate 2026. Il testo, presentato dalla presidenza danese, amplia ulteriormente la possibilità per gli stati membri di dichiarare “inammissibili” le domande di asilo, autorizzando il trasferimento dei richiedenti verso paesi terzi anche in assenza di un legame significativo.
Il concetto chiave viene così modificato: non sarà più necessario dimostrare un collegamento forte con il paese di destinazione, come previsto fino ad oggi dal Regolamento europeo sulle Procedure d’Asilo (Apr). Sarà sufficiente che il richiedente sia semplicemente transitato nel paese terzo — anche solo in una zona aeroportuale — o che vi abbia soggiornato prima di entrare nell’Unione. La possibilità di chiedere asilo alla frontiera sarà considerata, di per sé, un criterio valido per attivare il trasferimento.
Il legame, dunque, non scompare ma si svuota. La nuova definizione accoglie non solo la residenza pregressa o la presenza di familiari, ma anche «affinità linguistiche o culturali» e una categoria volutamente vaga: «altri simili». Una formula che, come segnalano diverse Ong europee, consegna ampia discrezionalità alle autorità degli stati membri. In parallelo, la proposta elimina l’effetto sospensivo automatico dei ricorsi, permettendo il trasferimento anche prima che il tribunale abbia esaminato l’eventuale opposizione.
Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), il transito non può essere equiparato a un vero collegamento. Ma nella nuova impostazione giuridica dell’Ue la logica si è rovesciata: non si tratta più di valutare il bisogno di protezione, bensì di trovare un appiglio per trasferire la responsabilità altrove.
Cosa cambia per i minori
Sulla carta, i minori stranieri non accompagnati restano esclusi dal meccanismo del “Paese terzo sicuro”, in linea con la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e con il principio del superiore interesse del minore. Ma il compromesso in discussione introduce una clausola di eccezione: «trasferimenti possibili in casi rari, solo se conformi al diritto internazionale e ai principi generali dell’Unione».
Nessun divieto generalizzato, quindi. Il testo evita esplicitamente di fissare soglie rigide, lasciando aperta la possibilità di trasferimenti laddove si ravvisi un legame “adeguato” o una protezione “effettiva”. Secondo l’analisi del Consiglio d’Europa e delle principali Ong umanitarie europee, si apre così una zona grigia giuridica dove il margine interpretativo potrebbe mettere a rischio proprio la categoria più vulnerabile: bambini e adolescenti soli, che potrebbero essere trasferiti anche in assenza di garanzie procedurali robuste.
Il tema è particolarmente sensibile anche sul piano politico. Alcuni stati membri — come Francia, Germania e Spagna — hanno espresso forti riserve su qualsiasi apertura ai trasferimenti di minori. Altri — come Italia, Danimarca e Paesi Bassi — spingono per una maggiore flessibilità, anche in linea con i recenti accordi bilaterali con paesi extra-UE come l’Albania e la Tunisia.
La proposta rappresenta un punto di svolta nella politica migratoria europea. Il concetto di “Paese terzo sicuro”, già reso più elastico dal Patto Migrazione e Asilo, viene ora triplicato nelle sue possibilità applicative. Gli Stati potranno dichiarare inammissibile una domanda d’asilo sulla base di tre criteri alternativi: un legame (ormai molto diluito), un transito (anche minimo) o un accordo bilaterale con il paese di destinazione.
Si istituisce così un “menù” di opzioni per l’esternalizzazione, che porterà a una frammentazione sistemica. In Francia prevarrà probabilmente la via “classica” del legame familiare o linguistico, in linea con le restrizioni costituzionali; in Italia e Danimarca potrebbe essere preferito il modello basato sugli accordi (come già accade con il protocollo italo-albanese); altri stati useranno la formula del transito per sgravare il sistema d’asilo con procedure accelerate.
L’armonizzazione, già fragile, rischia così di crollare del tutto. L’accesso alla protezione non sarà più garantito sulla base di criteri comuni ma dipenderà dallo stato di ingresso. Chi arriva in Grecia potrebbe essere ritenuto “in transito” verso la Turchia, chi approda in Italia verso la Tunisia o l’Albania. Il diritto d’asilo smette di essere un diritto europeo e si trasforma in una roulette geopolitica.
Reazioni
Le reazioni non si sono fatte attendere. L’Unhcr ha chiesto una moratoria su ogni trasferimento che non garantisca protezione effettiva e ha avvertito che il principio di non-refoulement è in pericolo. Amnesty International ha parlato di un “cinico tentativo” di delegare la protezione ai paesi più fragili. E il Consiglio d’Europa sta riesaminando d’urgenza l’intero impianto normativo alla luce della giurisprudenza Cedu.
Intanto, le istituzioni europee proseguono nel percorso tracciato. Oltre al compromesso di oggi, restano sul tavolo la nuova Return Regulation, che introduce “hub di rimpatrio” extra-Ue, e l’elenco dei paesi di origine sicuri, già al vaglio del Consiglio. L’architettura è quella di un sistema multilivello pensato per respingere le richieste fin dal primo contatto.
Chi entra in Europa non troverà più una valutazione, ma una deviazione.
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