Le esequie del ventunenne, ucciso da un colpo di pistola mentre cercava di sedare una rissa, hanno fermato per un giorno la città in lutto. L’omelia del vescovo è un grido di speranza e amore: «Non serve l’esercito, solo noi possiamo fermare la violenza». Dopo la cerimonia il corteo funebre sfila sotto il carcere in cui c’è l’assassino, Gaetano Maranzano, tra gli applausi dei detenuti
Il feretro bianco viene accolto da una folla muta che si stringe, ancora incredula, dentro e fuori la Cattedrale. Giovedì Palermo ha detto addio a Paolo Taormina, il ragazzo di 21 anni ucciso con un colpo d’arma da fuoco mentre tentava di sedare una rissa davanti al pub di famiglia, in via Spinuzza.
Un omicidio che ha colpito l’intera città e per il quale ha confessato un ragazzo di 28 anni, Gaetano Maranzano, ora detenuto. Durante i funerali, Palermo ha risposto con un lutto carico di simboli e gesti collettivi. Come quel corteo funebre, fermo per quasi mezz’ora davanti al carcere in cui è rinchiuso Maranzano.
L’atmosfera
La Cattedrale di Palermo si è riempita oltre ogni limite per dare l’ultimo saluto a Paolo. Centinaia di palermitani, tra amici, conoscenti e persone che mai lo avevano conosciuto in vita, hanno accolto con un lungo applauso la bara bianca. I suoi amici seduti a terra intorno al feretro, ognuno con una maglietta con il suo volto stampato e una scritta semplice: «Sarai per sempre nei nostri cuori». All’esterno, un grande striscione: «Il sole non lo spegni se gli spari». Un’atmosfera composta, ma tesa di dolore.
In chiesa c’era l’intera città. C’erano i genitori, la sorella maggiore, il fratellino di sei anni. C’erano gli amici, i vicini di casa, e gli abitanti del suo quartiere. Ma anche il sindaco, Roberto Lagalla, il presidente della Regione, Renato Schifani, il presidente della commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici. Tutti uniti da un dolore che ha attraversato il confine della tragedia privata per diventare pubblico e condiviso.
Il giorno del funerale, Palermo ha osservato il lutto cittadino: bandiere a mezz’asta, serrande abbassate, e un silenzio rispettoso e composto. Alle 10:30, in contemporanea con l’inizio della funzione religiosa, le navi ferme al porto hanno suonato le sirene. Sul molo, i portuali hanno interrotto il lavoro e applaudito. La sera precedente, una fiaccolata spontanea aveva riempito piazza Politeama per chiedere che episodi del genere non si ripetano più. Né a Palermo né altrove.
La cerimonia
L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, ha scelto parole nette per ricordare Paolo e invocare un cambiamento reale per Palermo e i palermitani. Ha definito la morte di Paolo «un dolore inconsolabile» e «un urlo che arriva fino al cielo». Si è rivolto direttamente ai genitori, alla sorella, al fratellino, chiamandoli più volte per nome e ammettendo di non trovare parole di fronte «a un dolore abissale e inspiegabile».
Ma ha parlato anche alla città, «a questa nostra tormentata Palermo» come l’ha definita nel corso dell’omelia. Rivolgendosi ai suoi concittadini li ha esortati a rifiutare quella violenza che ha portato alla morte di Paolo. «Non sono gli eserciti, non sono le forze di polizia - ha detto riferendosi all’ipotesi dello schieramento di militari in città - che potranno estirpare la violenza omicida. Possiamo essere solo noi, insieme. Può essere solo Palermo tutta a mettere fine alla spirale di violenza».
Poi un messaggio preciso ai tanti giovani presenti per l’ultimo saluto a un ragazzo come loro: «Non lasciamo che a vincere sia il demone della violenza. Il suo frutto avvelenato è morte che si espande. Basta violenza. Basta uccisioni. Torniamo a educare, a coinvolgerci, a costruire relazioni, a impiegare energie per ritrovare un senso comunitario della vita».
Infine ha annunciato un gesto simbolico: sabato sera, una «movida alternativa» sarà organizzata nel quartiere Zen, lo stesso da cui proviene l’assassino di Paolo. «Ci vediamo davanti alla chiesa di San Filippo Neri - ha detto dal pulpito - Non saremo armati di armi, ma dell’amore di Paolo».
Il corteo
Dopo la funzione, il carro funebre ha lasciato la Cattedrale scortato da decine di moto e auto di amici e familiari. Il corteo si è diretto verso il cimitero di Santa Maria di Gesù, dove è stato sepolto Paolo, ma lungo viale Regione Siciliana il feretro si ferma e con lui i mezzi al seguito. Non è una scelta casuale. Li si trova il carcere carcere Pagliarielli dove è detenuto il suo assassino. Amici e familiari si sono fermati per quasi mezzora in uno dei momenti più simbolici della giornata.
Gli amici di Paolo hanno suonato i clacson, puntato lo sguardo verso le mura grigie. Qualcuno ha urlato «indegno!» qualcun altro «giustizia!», idealmente rivolti a Maranzano. Uno sfogo breve, ma potente. Un momento reso ancor più forte da quanto accaduto in quegli istanti oltre le mura, dentro il penitenziario.
Alle finestre decine di detenuti hanno voluto omaggiare quel passaggio applaudendo il feretro di Paolo. Un gesto sorprendente, forse solidale, forse solo umano. Dopo qualche minuto, il corteo ha ripreso la marcia.
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