«Io oggi dovevo essere qui, non c’erano altri posti dove stare. Lui se lo meritava», dice Virginia parlando di quel papa che per lei era quasi «uno di famiglia. Tutte le domeniche era sempre lì, a sorridere e a farci sperare». Ed è per questo che lunedì, da Palermo, ha deciso che oggi, sabato 26 aprile, doveva essere a San Pietro per dargli l’ultimo saluto. Come lei, in tanti a essersi fatti abbracciare dal colonnato del Bernini sin dalle prime luci dell’alba.

«Papa Francesco era il mio idolo, argentino come me. Ho riperso Maradona», dice invece Adam ancora con il fiatone dopo la corsa per superare uno dei varchi di accesso. Ventenne di Buenos Aires, «mi trovavo qui per il Giubileo degli adolescenti. Speravo di vederlo, ma purtroppo siamo arrivati troppo tardi. E ora, so già che mi mancherà».

Il suo non è l’unico cappellino a colorare la piazza. Oltre 120mila i giovani, da tutte le parti del mondo, che si trovano a Roma per assistere a quel Giubileo a cui Francesco li aveva invitati già nel 2023 durante l’ultima Giornata mondiale della Gioventù tenutasi a Lisbona.

L’impegno per i migranti

«Se n’è andato in mezzo a noi. Lui si è sforzato di capirci, di ascoltarci», spiega invece Goffredo, venuto da Lione. «Gli devo tanto personalmente: si è dedicato ai migranti. Prima di lui li guardavo con diffidenza. Mi ha fatto capire come, in fondo, siamo tutti veramente fratelli», conclude.

«L’amore per gli ultimi – racconta invece Arianna, 25enne di Gorizia – è quello che più mi resterà. Ci riempiamo la bocca di belle parole per sentirci migliori ma poi, raramente, facciamo quello che diciamo. Questo papa andava a baciare i piedi dei carcerati, mangiava in mezzo ai senzatetto. Si è dedicato anima e corpo agli ultimi». Come il Francesco di cui si era scelto il nome, alla fine «anche lui è morto povero, primo tra “gli scarti” di cui parlava tanto».

Parole, le sue, che si uniscono al rimbombo di quelle del Cardinal Giovanni Battista Re mentre fa riferimento a «una chiesa capace di chinarsi su ogni uomo per curarne le ferite», faro del pontificato di Papa Francesco. Quando si nomina il suo nome, ogni volta è uno snocciolare di ricordi. Di momenti impressi nella mente di chi, dal «buonasera» sfoderato sul balcone papale la sera del 13 marzo del 2013, ha deciso di passare tutte le domeniche in piazza ad ascoltarlo.

L’impegno per la pace

«Lui conosceva la mia voce – dice sicuro il quasi settantenne Giuseppe Antonio di Viterbo –. Mi ricordo quando me lo ritrovai davanti a San Paolo fuori le mura. Era sempre felice, bastava guardarlo per star bene». L’ultima volta che l’ha visto «era la scorsa domenica. Io ero venuto con il mio cartello con su scritto Pace. Malconcio, anche lui non si è stancato di chiederla ancora una volta agli stessi politicanti sordi che oggi sono venuti qui a fare la loro solita sfilata».

A distanza, a sentirsi come accompagnata da lui, c’è anche Fiamma che è venuta appositamente da Trieste. «Ero piccola quando è stato eletto, ma da allora non mi ha mai lasciata. Era un punto di riferimento, un buon esempio e nel mondo purtroppo ce ne sono pochi». E sarà per questo, forse, che la folla gremita fa fatica a separarsi da quella voce capace di oltrepassare confini e continenti con i suoi appelli.

«Mi sono ritrovata qui a Roma per caso - dice Lay, trentenne di Melbourne – prima dell’ultima settimana non ne sapevo molto. Leggendo e ascoltando quello che ha fatto, ho capito che mi ero persa qualcosa di grande».

A confermarlo, lo sguardo di Cloe che, invece, è venuta da Gallerete. «Io lo stimavo molto. Non si sentiva superiore, era uno di noi che era arrivato dall’altra parte del mondo per aiutarci ad aprire gli occhi». D’altronde, guardando quelli di chi affolla la via dinnanzi la Basilica, si percepisce un senso di commozione generale che non si lascia ostacolare dal mosaico di lingue diverse.

Il papa di tutti

Come in una sorta di coro ideale, all’inglese dei pellegrini stranieri si uniscono anche le parlate provinciali che risuonano tra gli oltre tremila volontari della protezione civile provenienti da tutt’Italia. «Anche noi facciamo la nostra parte – dice Mauro –. È da questa mattina che vedo la mia coda diventare sempre più lunga. Ogni ora sono sempre di più quelli che si uniscono, non avevo mai visto così tanta gente. È giusto che sia così, lui se lo meritava e secondo me ci avrebbe voluti abbracciare e salutare tutti».

Così come aveva fatto, fino alla fine, la scorsa domenica. L’impressione è che quel messaggio, incarnato dai suoi ultimi respiri sofferenti, sia arrivato al cuore di molti. Di chi oggi, tra la gente, non smette di parlare di lui, delle sue parole. Di chi prova un senso di riconoscenza per quell’uomo che, con la sua semplicità, riusciva davvero a sfiorare le corde dell’anima. Di chi, nei scorsi giorni, si è messo in fila per salutarlo come un caro amico.

Di chi, infine, è tornato a sperare in un’umanità che, come la piazza che gli ha donato il suo ultimo abbraccio, si scopra davvero fatta di “fratelli tutti”. Così come Francesco scriveva nella sua enciclica più celebre.

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