La prima tappa è al casolare dove Peppino Impastato è stato ucciso 44 anni fa. A Cinisi, in provincia di Palermo, è il giorno del ricordo. Il 9 maggio 1978 la mafia di Tano Badalamenti, il boss condannato come mandante del delitto, uccide il militante, intellettuale e attivista Peppino Impastato.

Il fratello Giovanni, la nipote Luisa, l’associazione degli amici di Peppino, Casa memoria hanno organizzato una settimana di incontri, dibattiti e confronti affrontando il tema della guerra, del femminismo, dell'antimafia nel trentennale delle stragi del 1992.

Al casolare, che sorge ai piedi del monte Pecoraro e di fronte all’aeroporto, il ricordo della figura di Peppino Impastato, del suo impegno antimafia, dell’esperienza di Radio Aut. La radio libera dalla quale il collettivo denunciava abusivismo edilizio, strapotere mafioso e la costruzione della terza pista dell'aeroporto trasformato in smercio di stupefacenti da raffinare sulla costa, utilizzato per i viaggi tra Stati Uniti e Sicilia degli uomini della mafia.

Al casolare ci sono le autorità, le ragazze e i ragazzi delle scuole, i familiari, gli amici di Peppino. Una di loro interviene e scuote i presenti.

«Io ricordo Peppino ogni giorno, non bisogna cedere alla logica della passerella, da allora è passato troppo tempo, ma non dimentichiamo il depistaggio, l'isolamento e quel noi che è la nostra storia. Mi porto tutto dentro, non c'era solo l'impegno, ma anche il quotidiano, la condivisione», dice Marcella Stagno, compagna di Peppino e memoria di quegli anni di lotta e impegno.

Lei donna e femminista non vuole che il ricordo si esaurisca in queste ore, ma sia costante e presenza quotidiana. Il corpo di Peppino fu trovato dilaniato perché i mafiosi che lo uccisero simularono un attentato fallito ai binari della ferrovia. «Noi lo capimmo subito che Peppino era stato ucciso dalla mafia, altro che attentato, ma le indagini furono depistate, il luogo del delitto contaminato, le prove ignorate», dice Pino Manzella, un altro compagno di Peppino.

L'impegno degli amici conduce le indagini verso un'altra verità, anni dopo inizia il processo con la condanna di Tano Badalamenti come mandante dell'omicidio. Un ritardo che trova compiutamente una ricostruzione nella relazione della commissione antimafia, firmata dal senatore Giovanni Russo Spena.

«Perché la realtà processuale che è oggi all’esame della Corte d’Assise di Palermo è giunta 22 anni dopo il delitto? L’indagine ha, cioè, dovuto ricostruire l’anatomia di una deviazione, che ha, dalla immediatezza del delitto, impedito di ricercare e di individuare i mandanti e gli esecutori materiali dell’omicidio», si legge nella relazione, approvata nel 2000.

Peppino si era candidato alle elezioni comunali con Democrazia proletaria, fu eletto da morto ammazzato. Era riuscito in vita a rompere i rapporti con il padre mafioso, Luigi, uomo di Tano Badalamenti, che fu ucciso nel settembre del 1977, un anno prima dell'omicidio di Peppino.

Nel pomeriggio, dopo l'iniziativa al casolare, è prevista la marcia che partirà dalla sede di Radio Aut, a Terrasini, e arriverà sul corso di Cinisi dove c'è Casa memoria dove viveva Peppino proprio a cento metri dalla casa di Tano Badalamenti.

La marcia ricorda la figura di Peppino e anche di sua madre Felicia, morta il 7 dicembre 2004, dopo una vita alla ricerca della verità e denunciando la mafia che gli aveva fatto a pezzi il figlio.

Casa Felicia

Al centro dei dibattiti di questi giorni c'è anche il destino di casa Felicia, immobile confiscato a Tano Badalamenti e affidato a Casa memoria.

Un ricorso di Leonardo Badalamenti, figlio di Tano e condannato in Brasile per fatti di droga, è stato accolto perché è emerso un errore nell'indicazione della particella e quindi il bene, oggetto di ristrutturazione con soldi pubblici, dovrebbe tornare ai Badalamenti. Il comune di Cinisi ha presentato ricorso ed è pronto ad acquistarlo (al valore iniziale dell'immobile) per continuare il progetto di rilancio.

In testa al corteo, come ogni anno, ci sarà lo striscione “Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”. Lo striscione che le compagne e i compagni, da anni, portano in giro per denunciare le menzogne di stato, ricordare Peppino e continuare a urlare che la mafia è una «montagna di merda».

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