Vuoi perdere peso e combattere l’obesità? Prova a mangiare come un maiale! No, non è un nuovo slogan pubblicitario, almeno per il momento, ma è quanto sostengono due ricercatori americani, Theo van Kempen e Ruurd Zijlstra, in un articolo pubblicato lo scorso marzo sulla rivista scientifica Metabolites. Gli scienziati, agronomi ed esperi in nutrizione suina, sostengono infatti che i maiali mangerebbero ciò che meglio si adatta alle loro esigenze metaboliche cosa che gli esseri umani non fanno più. Per questo motivo la loro alimentazione è diventata oggetto di studio anche per cercare di carpire qualche buona abitudine da applicare all’uomo.

UOMO VS MAIALE 

L’obesità e i relativi problemi di salute metabolica rappresentano una crescente minaccia per l’uomo e molteplici sono le teorie sulle sue cause. Secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il numero delle persone obese nel mondo è raddoppiato a partire da 1980: nel 2014 oltre 1,9 miliardi di adulti erano in sovrappeso, tra cui 600 milioni di obesi.

Per combattere l’obesità, nel corso degli anni sono nate numerosissime diete strategiche: dalla Dukan alla mima digiuno, dalla tisanoreica alla dieta del pugno ma, per quanto ne sappiamo, il concetto di “mangiare come un maiale” non è mai stato preso in considerazione.

I maiali sono tipicamente considerati come animali sporchi, trasandati e obesi tanto è vero che l’appellativo maiale ha generalmente una connotazione fortemente negativa e la definizione che ne da la Treccani è «individuo che mangia con animalesca ingordigia»

Winston Churchill alla fine del 1800 affermava «Mi piacciono i maiali. I cani ci guardano dal basso. I gatti ci guardano dall'alto. I maiali ci trattano da loro pari» e, dobbiamo dire che, fisiologicamente parlando, ci aveva visto giusto. Da un punto di vista nutrizionale infatti, l’uomo ha molto in comune con i maiali. Entrambi sono onnivori, consumano una grande varietà di prodotti vegetali, radici, frutti, oltre a miele, uova e carne. Anche i loro tratti digestivi sono notevolmente simili. Inoltre la somiglianza tra le due specie la si ritrova anche da un punto di vista metabolico, tanto è vero che prima dell’introduzione dell’insulina prodotta con le biotecnologie, quella derivata dal maiale era utilizzata per il trattamento del diabete di tipo I. Una marcata differenza però tra l’uomo moderno e il maiale esiste: l’uomo moderno segue tipicamente un’alimentazione guidata per lo più dalle emozioni e in momenti della giornata che si adattano alle norme sociali intrecciate con le esigenze quotidiane. Quello che emerge dallo studio di van Kempen e Zijlstra e che sebbene i porcellini possano apparire paffutelli, generalmente non hanno problemi di obesità. Anzi, anche quando sperimentalmente viene dato loro accesso illimitato al cibo, i suini non mangiano mai a sazietà. Di solito scelgono di consumare piccoli pasti più volte nel corso della giornata, concentrati soprattutto al mattino presto e nel tardo pomeriggio. Inoltre i test di palatabilità hanno indicato che, pur non prediligendo certi sapori, i maiali li scelgono quando non hanno alternative e consumano il cibo negli orari che corrispondono ai loro bisogni fisiologici.

PRENDIAMO ESEMPIO DAI MAIALI

I risultati della ricerca dimostrano chiaramente che il principale arbitro dell’aumento di peso è il bilancio energetico. Un preciso calcolo delle calorie è infatti un metodo su cui si fa molto affidamento nell’alimentazione suina la qual cosa dovrebbe essere chiaramente vera anche per l’uomo, ma purtroppo non sempre facilmente applicabile. La maggior parte degli esseri umani dovrebbe infatti essere in grado di perdere peso consumando meno calorie al netto di piccole differenze come genotipo e sesso. Ma non è così semplice! Il contenuto energetico degli alimenti viene misurato in calorie e può essere stimato utilizzando un calorimetro. In un calorimetro, un alimento viene semplicemente bruciato e misurata l'energia rilasciata sottoforma di calore. Questo valore energetico rappresenta la quantità di energia lorda che una persona consumerebbe mangiando quell’alimento. Gli alimenti in genere però non sono digeribili al 100% e la digestione stessa richiede energia. Nella nutrizione umana, la maggior parte dei calcoli è eseguita sul contenuto energetico totale degli alimenti (le linee guida dietetiche EFSA e USDA). Sebbene si è cercato di determinare con maggiore precisione il contenuto energetico digeribile, il set di dati non è completo cosa che non permette ai nutrizionisti di calcolare l’apporto calorico in diete complesse. Questo anche e soprattutto perché l’uomo ha accesso ad una vasta gamma di alimenti e ha un’alimentazione ricchissima e complessa cosa che rende praticamente impossibile la totale e precisa stima del contenuto calorico. Per l’alimentazione suina sono invece utilizzati solo un numero limitato di alimenti che cambiano a un ritmo relativamente lento. Ciò ha consentito una precisa caratterizzazione di ciascuno in termini di utilizzo energetico da parte dell'animale.

LA RISPOSTA GLICEMICA

Anche la risposta glicemica gioca un ruolo di primo piano: niente di nuovo sotto al sole ma ora ulteriormente confermato. La risposta glicemica è la variazione del valore di glucosio nel sangue registrato dopo un pasto contenete una fonte di carboidrati. Elevati livelli di glucosio sono dannosi poiché questa molecola reagisce con altre formando i prodotti finali della glicazione avanzata (AGE), un gruppo di molecole prodotte dall'interazione tra zuccheri e proteine, acidi nucleici e lipidi. Il meccanismo che controlla il quantitativo di glucosio ematico è regolato dall’insulina, un ormone che comunica all’organismo di iniziare a metabolizzare il glucosio. Ma, quando l’organismo è in sovraccarico di glucosio, l’insulina promuove la formazione di trigliceridi dai carboidrati, favorendo l'immagazzinamento dei grassi nel tessuto adiposo. Detto in soldoni se si è in grado di evitare che la glicemia superi una determinata soglia, è possibile limitare anche l’accumulo del grasso. La risposta glicemica inoltre, influisce anche sull’appetibilità e sulla velocità del transito intestinale, regolando dunque il senso di sazietà.

Quello che hanno stressato i ricercatori guardando all’alimentazione dei maiali oggetto di studio è che non è tanto una dieta con un alto indice glicemico a indurre di per sé l’obesità quanto il carico glicemico del pasto. Il carico glicemico è un parametro più completo rispetto all'indice glicemico. Infatti, il carico glicemico tiene conto non solo della velocità con cui un alimento aumenta i livelli di zucchero nel sangue, ma anche della quantità di carboidrati presenti in una porzione di quel cibo. Quindi, mentre un alimento può avere un alto indice glicemico, il suo carico glicemico potrebbe essere basso se la quantità di carboidrati presenti in una porzione è limitata. Allo stesso modo, un alimento con un basso indice glicemico può avere un alto carico glicemico se la porzione contiene una grande quantità di carboidrati. Una valida strategia per combattere l’obesità e allora quella di ridurre il carico glicemico di un pasto e questo è tecnicamente possibile diminuendo la quantità di carboidrati negli alimenti, consumando pasti più frequenti e più piccoli e/o prediligendo fonti di amido ad alto contenuto di amilosio.

E allora la Pig-diet potrebbe essere la nuova dieta di moda in un futuro non troppo lontano! 

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