Seccagno sta per secco, che non ha bisogno d’acqua. Qualcosa che ha tempra o buccia spessa. Come il pomodoro di Salina e forse anche un po’ come Michele Oliva, il produttore che ha investito vita e lavoro su questo prodotto. Messinese di nascita e catanese per studi – laurea in agraria – Michele nel 2009 si è trasferito qui, a Salina, una delle sette isole dell’arcipelago delle Eolie per fare un’agricoltura semplice e faticosa al contempo. Semplice perché è un luogo benedetto grazie ai suoli vulcanici, alla rugiada della sera che scende dalle “montagne”, alla brezza marina, al clima clemente. Faticosa perché si fa tutto a mano, si trova poca manovalanza, perché se serve qualcosa bisogna andare sul “continente” a prendersela.

Lavorare la terra di Salina

L’agronomo Michele però è contento così, lo è anche la moglie Daniela e la piccola Beatrice nella loro casa a Pollara, con vista sul mare e sulla piantagione di pomodori. Dopo anni passati a studiare le antiche sementi dei “Pumamuri”, il dottore in Agraria voleva mettere le mani in campo e capire se ciò che aveva appreso sui libri potesse trasformarsi realmente in un pomodoro di altissima qualità.

Sono passati più di dieci anni dalla sua tesi sperimentale e Oliva è “ufficialmente” un contadino, uno dei tanti però che non può dirsi “sistemato”, perché fare l’agricoltore su un’isola non basta a far tornare i conti: «È la vita che ho scelto di fare e Daniela è con me. Lei si occupa della pro loco di Malfa (uno dei tre comuni dell’isola, ndr) durante la bassa stagione, d’estate lavora in un’agenzia turistica. Le piace inventare occasioni culturali, come il concorso fotografico dedicato al più bel tramonto dell’isola. Il tempo può essere molto lungo da passare e le spese ci sono. Sbaglia chi pensa che qui tutto sia più economico. Al contrario, attraversare il mare rende tutto caro».

In inverno ci si “reinventa” e si fa fruttare la laurea: «Seguo qualche giardino di seconde case dell’isola – spiega Oliva – occupandomi della loro manutenzione e quando mi chiamano corro a fare delle supplenze nelle scuole, anche al Nord». Il ritorno però è sempre a Pollara, una frazione di Malfa, diventata nota per essere stata l’ambientazione dell’ultimo film di Massimo Troisi, Il Postino.

L’agricoltura che Michele ha scelto da fare è quella sostenibile e un prodotto che non ha bisogno di acqua indubbiamente lo è: «La mia tesi di laurea trattava vari ecotipi di pomodoro che si sviluppano senza acqua, tra questi c’era il pomodoro Seccagno di Salina. È piccolo, dal colore rosso acceso e ha la punta. Si protegge dalla calura con una buccia spessa e ricca d’acqua, ma dentro ha poco liquido. Ciò consente di conservarlo anche dai sei ai nove mesi appeso in luoghi freschi e all’ombra, proprio come fanno i salinari sui terrazzi di casa».

Da settembre in poi questi pendoli di pomodori accendono di rosso gli intonaci bianco/rosa/celeste/ocra delle case e si usa fino alla primavera successiva. Giusto il tempo di una nuova semina.

Poca acqua

Il Seccagno è il pomodoro che ce l’ha fatta, quello che si accontenta di poca acqua, come la pianta di cappero, altro prodotto che Michele raccoglie e trasforma: «Sapevo di non poter comprare della terra, così andavo in comune, facevo delle visure catastali e risalivo ai proprietari di terreni ai quali proponevo un accordo: io mi prendo cura del terreno e in cambio voi mi date il prodotto. Un comodato d’uso gratuito per capirci che mi ha permesso negli anni di fare agricoltura a modo mio. Così raccolgo anche agrumi e frutta che trasformo in marmellate e confetture insieme a un’altra azienda dell’isola, Sapori Eoliani».

Il “forestiero” Oliva ha conquistato la fiducia dei più e fa anche l’orto invernale con cui riempie cassette che vende agli abitanti dell’isola o che porta al supermercato di Malfa. Il grosso del lavoro è concentrato in estate con la raccolta e il taglio dei pomodori, perché la produzione si concentra su quelli secchi: «Da un chilo di pomodoro fresco ottengo cento grammi di prodotto essiccato e i pomodori vanno tagliati a mano e poi appoggiati sui “cannizzi” (stuoie fatte con il bambù, ndr) al sole. Dopo due giorni, coperti dal sale, sono pronti. Si sta in campo da metà a luglio fino alla fine di agosto e la produzione si aggira tra le cinque/sei tonnellate l’anno. Per fortuna vendo tutto, ma devo anche pensare a come differenziare l’azienda per renderla sostenibile economicamente».

La creatività del contadino

Il pomodoro non è il vino, non è redditizio come la Malvasia delle Lipari. La ricchezza di Salina d’altronde è legata a quest’uva che è la protagonista di un’epopea che fa dell’isola e dei suoi abitanti gente ricca nel XIX secolo e successivamente migranti per fame verso gli Stati Uniti e l’Australia.

A interrompere sogni e agiatezza ci pensò la fillossera, l’afide distruttore di tutto il vigneto europeo a inizio Novecento. Anche Michele ha la passione per il vino e a Salina ha fatto le vendemmie fin da ragazzino, da quando veniva sull’isola a passare le estati, ma sono stati i due anni di tesi sperimentale a dirottarlo sul pomodoro: «Facevo ricerca su trenta ecotipi di pomodoro da serbo siciliani – continua l’agricoltore – tra questi ne ho selezionati tre di Salina.

Diciamo che ho “preso in prestito” qualche seme dal Cnr e li ho piantati a Malfa. Il più resistente è diventato il pomodoro che oggi coltivo, dall’acidità spiccata, salino, che sa leggermente di brace, come se assorbisse le caratteristiche minerali del terreno vulcanico».

Michele sta piantando anche altre varietà, quelle più adatte a fare la salsa di pomodoro, insieme a qualche prova con semi ricevuti da un collega dell’università di Napoli che provengono dalla zona del Beneventano. Inoltre prepara pesti e paté. Tutto su fazzoletti di terra incorniciati da un paesaggio di rara bellezza: da un lato il mare, dall’altro le vette di Salina, Monte Fossa delle Felci e Monte dei Porri, due ex vulcani che raggiungono quasi quota mille. In mezzo una sella verdissima che è un esempio di biodiversità da manuale con vigneti, capperi, frutteti, ortaggi, ginestre, olivi.

«Qui – racconta Oliva – ci sono i terreni più belli, quelli di Valdichiesa che arrivano quasi a quattrocento metri e dove c’è sempre vento e frescura. Come agronomo ho il dovere di intervenire quando ce n’è bisogno, ma lo faccio solo con prodotti naturali come le alghe per la concimazione e il trichoderma, un fungicida naturale, antagonista dei funghi dannosi». 

Per i resto bisogna ingegnarsi, anche per far passare l’inverno, e quando si va per qualche giorno sull’isola grande, la Sicilia, si stipa ben bene l’auto di tutto ciò che serve. Almeno fino alla prossima estate.


La copertina del primo numero di Cibo, il nuovo inserto mensile di Domani. Dal 25 giugno in edicola e in digitale

© Riproduzione riservata