Alla vigilia del Budapest Pride, Milano si collega con Budapest e Londra in una serata, in collaborazione con Domani, di testimonianze e analisi. Eszter Mihály di Amnesty avverte: «Se l’Unione europea ci abbandona, quello che accade in Ungheria diventerà la norma altrove»
Milano e Budapest, unite da uno schermo, da una paura condivisa e da una stessa determinazione: resistere. Succede nella notte tra il 27 e il 28 giugno, poche ore prima della parata del Pride ungherese e di quella milanese. A Piazzale Lavater, cuore simbolico della comunità Lgbtq di Milano, prende forma una serata che è al tempo stesso dibattito, racconto collettivo e gesto politico. Un evento voluto da Milano Pride in collaborazione con il quotidiano Domani, che ha scelto di chiamarsi “Siamo tuttə a Budapest”. Un’affermazione, non un’ipotesi. «Perché la posta in gioco in Ungheria non è più solo un diritto negato: è la definizione stessa di democrazia», dicono gli organizzatori.
Negli ultimi anni, l’Ungheria è diventata il laboratorio europeo dell’autoritarismo legale. Un modello di smantellamento sistematico dei diritti Lgbtq Con il premier Orbán che ora minaccia sanzioni penali per i diplomatici che parteciperanno al Pride.
Il fronte unico
«Il Pride è stato vietato. Partecipare a un evento del genere costituisce un reato punibile fino a un anno di carcere», ha scritto il ministro della Giustizia Bence Tuzson in una lettera inviata a tutte le ambasciate accreditate a Budapest. Un testo che richiama le leggi russe «contro la propaganda Lgbt». Perché, come ha detto Orbán in diretta alla radio pubblica ungherese: «l’Ungheria non è una colonia. Se non rispettano le nostre leggi, ci saranno conseguenze».
La notte prima della parata è un momento sospeso in cui Milano tende la mano a Budapest, Londra si collega in diretta, e la solidarietà prende forma. «Noi siamo qui e non andremo da nessuna parte», dice Hágédus, portavoce del Budapest Pride, in collegamento dalla capitale ungherese: «Ci aspettiamo più di 50.000 persone. Sarà la più grande marcia della storia del nostro Paese».
Poi la parola passa a chi, in Ungheria, ogni giorno affronta le conseguenze legali e sociali della repressione. Eszter Mihály ricercatrice e avvocata per i diritti Lgbtq di Amnesty International Ungheria racconta l’erosione quotidiana. «Il governo dipinge la comunità Lgbtq come una minaccia per i bambini. E adesso vuole mettere in lista nera i media indipendenti e le Ong. E chiudere Amnesty. Nonostante questo la comunità resiste. La società è più avanti del governo. Ma serve il vostro aiuto: Il nostro Pride non è una festa. È un test. Per noi, e per voi».
La connessione si sposta a Londra: Stelios Foteinopoulos di Kaleidoscope Trust, entra in scena con parole nette: «Quando ci chiedono come siamo arrivati fin qui, la risposta è semplice: il fallimento del sistema economico ha generato sfiducia, rabbia, paura. La destra estrema ha capitalizzato, trasformando la difesa dei diritti in un presunto privilegio da combattere. L’obiettivo non sono solo le persone Lgbtq, ma la democrazia stessa». Gli fa eco Roberto Muzzetta, responsabile delle relazioni internazionali di Arcigay: «Le battaglie sulla “remigration”, la narrazione dell’immigrazione come fattore di sostituzione, e l’ideologia anti-gender, sono gli strumenti con cui le destre cercano di mantenere il consenso. Solo superando le divisioni e riconoscendo le lotte comuni possiamo costruire un fronte compatto».
Natascia Maesi, presidente di Arcigay vede un parallelismo tra Ungheria e l’Italia: «Si moltiplicano le leggi, anche creando nuovi reati con chiari intenti intimidatori, e si utilizza una macchina normativa che mina lo Stato di diritto. Si inventa un nemico per giustificare l’autoritarismo: l’alternativa è il caos, e solo loro possono garantire ordine e stabilità».
E la solidarietà transnazionale è oggi più che mai una necessità politica. Arcigay partecipa alla rete Pride 7. Per questo Milano Pride ha scelto di fare da eco a Budapest. Perché, come ha detto Mihály di Amnesty: «La nostra oppressione non deve diventare un rumore di fondo». Si scrivono così alleanze e si preparano risposte: oggi si scende in piazza. Qui e là. Senza paura.
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