A ventiquattro ore dal Pride di Budapest, Viktor Orbán alza il tono. «L’Ungheria non è una colonia», ha dichiarato all'emittente pubblica Kossuth Radio, in risposta a Ursula von der Leyen che aveva chiesto di permettere lo svolgimento della marcia. «Proprio come l'Unione sovietica: vogliono dire all'Ungheria cosa è permesso e cosa non lo è».

Un affondo e una minaccia: «Raccomando a tutti di rispettare le leggi, io lo faccio, e consiglierei loro di fare lo stesso. Se non lo fanno, devono tenere conto delle chiare conseguenze legali. La polizia potrebbe interrompere tali eventi se volesse ma l'Ungheria è un paese civile».

È l’ennesimo atto di uno scontro che non è più solo giuridico, ma simbolico: su cosa voglia dire essere europei, oggi, in un Paese che rivendica di appartenere all’Unione, ma ne contesta i valori fondamentali.

La lettera del governo ungherese

Poche ore prima, il governo ungherese aveva inviato una lettera formale a tutte le ambasciate accreditate a Budapest. Un monito, scritto nero su bianco dal ministro della Giustizia Bence Tuzson: «Il Pride è stato vietato dalle autorità. Partecipare a un evento del genere costituisce un reato punibile con la detenzione fino a un anno».

Un avvertimento che ha raggiunto anche i consolati e i rappresentanti delle istituzioni europee e fa esplicito riferimento agli articoli del codice penale e alla legge sulla “protezione dell’infanzia” entrata in vigore nel 2021, la stessa che equipara l’espressione dell’identità di genere alla diffusione di contenuti inappropriati per minori.

È la prima volta, nella storia recente dell’Unione, che un governo minaccia sanzioni penali a rappresentanti stranieri per aver preso parte a una manifestazione pacifica. Il Pride, che si terrà domani, è diventato il simbolo di una frattura profonda: tra la società civile ungherese e le sue istituzioni, tra il governo di Orbán e il resto d’Europa. Tra due idee di libertà.

Ma i segnali che qualcosa sarebbe successo c’erano tutti. Il 12 giugno, la polizia ha vietato formalmente il corteo, citando “motivi di sicurezza e di tutela dei minori”. La Curia, il tribunale supremo, ha confermato il divieto. Il sindaco di Budapest Gergely Karácsony ha denunciato la decisione come «un attacco alla libertà di espressione», ma ha scelto di non opporsi formalmente, aprendo invece una via legale: autorizzare la parata come evento promosso dal Comune. Una zona franca, un espediente per consentire alla città di esprimersi nonostante il divieto imposto dall’alto.

«Budapest è libera», ha ripetuto Karácsony in queste settimane. Ma è una libertà fragile. Minacciata dalla battaglia culturale in corso in Ungheria. Uno scontro che va oltre la comunità arcobaleno, tocca l’autonomia delle scuole, dei tribunali, della stampa. E che vede Orbán in prima linea: l’uomo che ha trasformato un piccolo Paese dell’Europa centrale nel laboratorio della destra radicale continentale. Il premier ungherese ha mutuato il linguaggio del movimento MAGA statunitense, accusando le istituzioni europee di «decadenza», i media di «corruzione morale», le minoranze di voler «imporre un’ideologia».

Negli anni Duemila, l’Ungheria era tra i paesi più avanzati dell’Europa orientale in tema di diritti Lgbtqia+. Ma l’ascesa al potere di Orbán nel 2010 ha segnato una rottura netta: il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato vietato, così come l’adozione. Nel 2020 è stata vietata la rettifica del sesso nei documenti. E nel 2021 è arrivata la legge sulla “protezione dei minori”, che vieta ogni contenuto che «promuova l’omosessualità o la transizione di genere». Da marzo 2024, è vietata ogni manifestazione pubblica che «esibisca contenuti Lgbtqia+». È questa la base legale con cui il governo ha vietato il corteo.

L’opposizione interna e i partecipanti europei

Sul Pride l’opposizione politica interna si divide. Il partito Tisza, principale forza avversaria di Fidesz, ha scelto di non partecipare. «Non vogliamo essere usati da Orbán in una guerra culturale che serve solo a distogliere l’attenzione dai problemi reali», ha spiegato a Politico l’eurodeputato Zoltán Tarr aggiungendo: «Un governo guidato da Tisza non metterebbe in discussione la libertà di manifestare». La piazza intanto è pronta: «Marceremo comunque», fanno sapere gli attivisti Lgbtq da Budapest.

Restano due incognite: la preoccupazione sull’eventuale uso della tecnologia di riconoscimento facciale da parte del governo per multare i partecipanti, una pratica che la Commissione europea sta esaminando, poiché potrebbe violare le normative dell’Ue. E la possibile multa ai partecipanti come forma di ritorsione politica.

Sono oltre settanta eurodeputati hanno annunciato la loro partecipazione alla marcia, tra cui ministri, sindaci e leader politici da tutta Europa. Per l’Italia la segretaria del Pd Elly Schlein con l’eurodeputato dem Alessandro Zan, la senatrice del M5s Alessandro Maiorino con una delegazione pentastellata. Presente anche Arcigay.

Alla vigilia del Pride ungherese in Italia si terrà l’evento “Siamo tutti a Budapest” organizzato da Milano Pride, in collaborazione con Domani alle ore 19.40 in Piazzale Lavater, per discutere in collegamento con esperti e attivisti ungheresi di resistenza e solidarietà.

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