Non si interrompe la detenzione di Maja T. La sesta udienza a carico dell’attivista antifascista, sotto processo a Budapest nello stesso procedimento che vede imputata Ilaria Salis, si è conclusa con il respingimento della richiesta di domiciliari avanzata la scorsa settimana. Una decisione necessaria secondo il giudice, che in aula ha dichiarato che «le manifestazioni di solidarietà dimostrano che l'imputata è membro di un'organizzazione il cui scopo è commettere reati». Maja rimane così in carcere mentre prosegue il suo sciopero della fame, ormai arrivato al 16 giorno.

L’udienza

Mentre fuori dal tribunale si radunavano un centinaio di militanti di estrema destra per intimidire i presenti, all’interno dell’aula è andato in scena solito copione. Con un rito ormai tristemente noto, Maja è stata accompagnata in aula incatenata, scortata da agenti a volto coperto e armati. Una volta in aula, dove erano presenti numerosi sostenitori dell’attivista, ha atteso la decisione del giudice prendendo atto del rifiuto alla sua richiesta.

Una pronuncia che lascia l’amaro in bocca anche, e soprattutto, per l’assurda motivazione secondo cui le manifestazioni di solidarietà ne dimostrerebbero la colpevolezza. «Cosa vi preoccupa? - ha chiesto Maja - È l'aiuto dei genitori che si preoccupano per i propri figli? O quello di chi si sente di agire quando assiste a un’ingiustizia? Condizioni di detenzione disumane, isolamento, impossibilità di continuare la scuola, di lavorare: questa è la mia realtà».

Condizioni di detenzione divenute ormai insostenibili tanto da spingere l’attivista a iniziare, il 4 giugno, uno sciopero della fame che dura da ormai 16 giorni. «Mi considerano così pericolos* da costringermi a indossare una cavigliera elettronica con una cauzione esorbitante? Tutto questo non mi dissuaderà dal difendere la mia dignità e quella di chi è nelle mie condizioni. Sono quindi costrett* a continuare il mio sciopero della fame».

Esprime sconcerto anche Wolfram Jarosch, padre di Maja, che accusa il giudice di strumentalizzare politicamente la vicenda di su* figli* e denuncia le gravi carenze nella valutazione delle sue condizioni di salute. «La decisione - ha dichiarato al termine dell’udienza - mostra chiaramente che qui non si tratta di giustizia ma di un atto politico. Particolarmente inquietante è il fatto che, dopo due settimane di sciopero della fame, lo stato di salute di Maja sia stato valutato da un medico che non parla né tedesco né inglese e che non è riuscito a comunicare con lei. Ciononostante, il tribunale ritiene Maja idonea a sostenere il processo».

Il clima

Fuori dal tribunale, come già accaduto nel corso delle scorse udienze, si è radunato un nutrito gruppo di militanti di estrema destra legati a vari gruppi ungheresi e non. Tra di loro anche diversi esponenti di “Betyàrsereg”, gruppo paramilitare noto per azioni violente e intimidatorie nei confronti di immigrati e antifascisti. Come da copione, tristemente noto dopo sei udienze, diversi militanti neonazisti hanno fotografato e ripreso i volti e le azioni di chi si apprestava a seguire l’udienza e di chi nelle vicinanze del tribunale esprimeva solidarietà a Maja. Una sorta di attività di dossieraggio da parte dell’estrema destra che sembra sempre più diffusa con l’intento, non troppo nascosto, di intimidire chi prova ad esprimere la sua vicinanza all’imputat*.

La storia


Accusat* di aver preso parte ad azioni violente contro militanti dell’estrema destra ungherese durante il "Giorno dell'onore" a Budapest nel febbraio 2023, Maja è stat* estradat* in Ungheria dalla Germania nel giugno 2024, nonostante una sospensiva della Corte costituzionale tedesca. L’estradizione è avvenuta in circostanze controverse: Maja è stat* trasferit* incatenat*, con un cappuccio in testa e senza contatti con i propri legali, suscitando preoccupazione e indignazione. Una volta arrivat* nell’Ungheria che vieta i Pride, è stat* detenut* in isolamento in condizioni definite degradanti.

La Corte costituzionale tedesca è intervenuta subito dopo l’estradizione, dichiarandola incostituzionale e sottolineando come le condizioni carcerarie in Ungheria possano violare l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, che vieta trattamenti inumani o degradanti. Una pronuncia arrivata però troppo tardi: Maja era già stat* trasferit* a Budapest, dove ora rischia una condanna fino a 24 anni di carcere. La decisione della Corte ha lasciato l’amaro in bocca, confermando le gravi preoccupazioni sulle modalità e le conseguenze dell’estradizione.

Nello stesso procedimento, e con le medesime accuse, è imputata anche l’europarlamentare italiana Ilaria Salis. Nelle scorse settimane l’Ungheria ha chiesto, al momento invano, la revoca dell’immunità parlamentare per poterla processare a Budapest. Nei giorni scorsi la Commissione affari giuridici del parlamento europeo ha rinviato la decisione che sarà ricalendarizzata a metà luglio o dopo l’estate. «Apprendo che il voto in Parlamento europeo sulla richiesta di revoca della mia immunità è stato rinviato - il commento di Salis. - Grazie di cuore a tutte e tutti per i tanti messaggi di solidarietà e sostegno. In mezzo alla solita, scontata campagna d’odio e manipolazione dell’estrema destra alleata di Orbán, il vostro affetto e senso di giustizia fanno grande piacere. La battaglia continua!».

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