«La situazione è molto semplice: noi abbiamo fatto due settimane fa l’accordo, ma a oggi non ci sono state ancora comunicate le modalità con cui ci passeranno i dati». Giorgio Parisi è un fisico e in qualità di presidente dell’Accademia dei Lincei, una delle più prestigiose istituzioni scientifiche italiane, a metà novembre ha raggiunto un accordo di con collaborazione con l’Istituto superiore di sanità per la condivisione dei dati sul contagio.

Oggi, soltanto una parte di questi dati viene pubblicata con regolarità. Mancano ad esempio numeri precisi sul contagio livello comunale, dati sulle età dei malati, sul luogo di contagio e la professione. La comunità scientifica, la stampa e i ricercatori indipendenti hanno sottoscritto numerosi appelli per chiedere maggiore trasparenza nelle comunicazioni pubbliche. Come ha scritto su Domani il vicepresidente del Consiglio superiore di sanità Paolo Vineis, studiare un’epidemia è un esercizio complesso che necessità l’impegno dell’intera comunità scientifica italiana. Ma affinché questo impegno si materializzi, servono dati pubblici accessibili a tutti.

Iss e Accademia dei Lincei sono stati criticati per aver fatto un accordo bilaterale che non costituisce l’attesa apertura alla trasparenza. Alle critiche, il professor Parisi risponde dicendo che l’obiettivo dell’Accademia rimane la libertà di accesso ai dati e che considera l'accordo con l’Iss un primo passo in questa direzione. Una volta avuto accesso ai dati, sostiene, l’Accademia potrà aiutare l’Iss fornendo proposte su come anonimizzare quelli più delicati e rendere così più semplice la loro pubblicazione. Ma al momento, anche questo accordo è rimasto soltanto sulla carta. Parisi e l’Iss confermano che al momento la procedura è nelle mani dei funzionari addetti alla tutela della privacy, che stanno valutando quali dati consegnare e in quali forme. Si tratta di un episodio che mette in luce le difficoltà e i problemi nella gestione dei dati durante la pandemia.

I problemi di privacy

Le leggi sulla privacy sono uno dei principali ostacoli alla trasparenza sui dati tra quelli indicati dalle autorità pubbliche. La principale di queste leggi è il regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea, più noto come Gdpr, che impone un generale divieto al trattamento dei «dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica». A questo divieto generale sono previste eccezioni, ma si tratta di un terreno giuridicamente scivoloso, in cui è facile commettere errori.

Il garante per la privacy, la principale autorità indipendente incaricata di vigilare sul rispetto della Gdpr, è stato molto attivo durante l’epidemia. All’inizio di novembre, ad esempio, ha aperto un’istruttoria contro l’Ats di Milano perché su una delle sue piattaforme era possibile scoprire l’identità di circa 3.400 persone risultate positive al tampone.

Se l’azione contro Ats deriva da un errore dell’azienda sanitaria, altri casi non sono altrettanto chiari. All’inizio novembre, il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi ha detto che il garante aveva vietato a quattro dipendenti del servizio elaborazione dati del comune di aiutare l’azienda sanitaria locale nell’attività di tracciamento per motivi, ha spiegato «legati alla riservatezza dei dati che i due enti, Asl e Comune, andrebbero a integrare».

Maneggiare i dati degli utenti è una questione delicata. È possibile farlo, avendo adeguato personale, tempo e conoscenze, ma quando queste risorse mancano, la cosa più semplice è pubblicare soltanto quello che si è certi di poter pubblicare, che spesso non è molto.

Personale e ritardi

In Italia la sanità è una materia di competenza regionale e sono le regioni a raccogliere i dati sull’epidemia e a trasmetterli poi al ministero della Salute e all’Istituto superiore di sanità. Quasi nessuna regione, però, ha le strutture e le capacità necessarie a gestire l’immensa mole di dati generata dall’epidemia nei tempi rapidi richiesti durante un’emergenza.

Un elenco non esaustivo dei problemi che sono emersi nella raccolta dati da parte delle regioni include: incertezza nel numero delle terapie intensive, con dubbi sulla loro esatta definizione; variazioni continue e a volte inspiegabili nel numero di posti letto disponibili; difficoltà nel contare i focolai e nel registrare la data di insorgenza dei sintomi nei casi positivi, un dato fondamentale per calcolare l’indice di diffusione del contagio Rt. Infine, un costante ritardo nel fornire dati definitivi, il che costringe le autorità sanitarie a parlare quasi sempre di dati «non ancora consolidati». In Campania, ad esempio, il consolidamento dei dati tra metà ottobre e metà novembre, ha portato alla scoperta di 302 morti non conteggiati nei precedenti bollettini quotidiani.

Da settimane l’Iss è costretto a inserire un avvertimento in ognuno dei suoi bollettini in cui parla delle difficoltà «nel mantenere elevata la qualità» dei dati che riceve «sia per tempestività sia per completezza». Il fatto che i dati che dovrebbero essere diffusi sono così manchevoli, e quindi non del tutto adatti a una vasta circolazione, è un’altra delle ragioni che le amministrazioni utilizzano per spiegare problemi e ritardi.

Italia ed Europa

Il modello nella diffusione dei dati che i ricercatori indipendenti citano spesso è la Germania, dove il celebre Istituto Koch pubblica tavole di dati e grafici aggiornati con cadenza quotidiana e con un dettaglio che arriva fino a ciascuna delle 250 circoscrizioni in cui è diviso il paese.

Ma la Germania rappresenta un’eccezione in Europa, non la regola. In Spagna, per gran parte della prima ondata le comunità autonome hanno fornito i dati sul contagio in maniera totalmente differente l’una dall’altra. La Francia ha avuto il problema opposto, con dati che arrivavano costantemente in ritardo a causa della fortissima centralizzazione del suo sistema.

Nel frattempo, qualcosa sta migliorando, anche in Italia. Dall’inizio di novembre, l’Iss ha cominciato a pubblicare il suo monitoraggio settimanale in cui mostra l’andamento dei 21 indicatori che servono a determinare in che zona collocare ciascuna regione. Si tratta di un file pdf, non di un foglio di lavoro facilmente usabile da altri ricercatori. Per il momento, però, è già un passo avanti.

 

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